Luke Harding, la verità unilaterale del potere russo

La verità ai tempi dell’Urss era la “Pravda”, il giornale del Partito. La scelta del nome non fu casuale, dato che in russo “pravda” significa verità e l’informazione era totalmente controllata dal Pcus, il partito comunista dell’Unione sovietica. Quando nel 1993, dopo il tentativo di riforma di Gorbaciov, Eltsin prese il potere promettendo democrazia e aprendo la Russia all’economia di mercato, in molti pensavano che questo cambiamento coinvolgesse anche il mondo dei media. Purtroppo, dall’avvento di Vladimir Putin nel 2000, l’informazione è tornata a essere sorvegliata speciale del Cremlino.

Nel giro di pochi mesi, sia il canale televisivo indipendente Ntv e, in seguito, Tv6 e Tvs sono passate sotto il controllo diretto di Gazprom, il colosso energetico (semi)statale. Ovviamente, le due principali reti pubbliche – Rtr e Ort – funzionano da megafoni del Cremlino. Durante le elezioni presidenziali del 2008, conclusesi con la vittoria di Dmitrij Medvedev, il 75% della loro programmazione (dati Rsf) è stato dedicato al partito governativo “Russia Unita”. Il partito di Putin, per capirci. Il resto, solo briciole per l’opposizione “legale”, ovvero il redivivo partito comunista (Kprf) di Gennadij Zjuganov (18% dei consensi alle ultime elezioni, nel marzo 2008). La Russia insomma, al 141° posto nell’indice sulla libertà di stampa stilato annualmente da Reporters sans frontières, resta un paese dove la pravda, la verità, è sempre è soltanto una sola: quella di chi detiene il potere.

Oltre al caso di Anna Politkovskaja, sono numerosi gli omicidi di giornalisti russi che non hanno colpevoli, ma un solo movente: far tacere chi sa. Tra gli ultimi a cadere sotto i colpi di “misteriosi” sicari, Anastasiya Baburova, venticinquenne studentessa della scuola di giornalismo e giovane collaboratrice della Novaya Gazeta: il 19 gennaio è stata freddata insieme a Stanislav Markelov, già avvocato della Politkovskaja, difensore delle famiglie dei ceceni rapiti e torturati dalle milizie filorusse, e dei parenti di Elza Kungayev, giovanissima cecena stuprata e uccisa da militari russi. Dal 1992 a oggi, sono più di 200 i giornalisti che hanno perso la vita.

Una nuova legge sulla protezione dei giornalisti che indagano su casi di corruzione (malattia atavica nell’ex impero sovietico) dovrebbe entrare in vigore quest’anno, su sollecitazione dell’ex delfino putiniano, ora presidente, Medvedev. In molti però, all’estero come in patria, non credono molto in un cambio di rotta nella politica del Cremlino.

«Con Medvedev presidente e Putin primo ministro, le cose non sono assolutamente cambiate, né cambieranno». Ne è convinto Luke Harding, corrispondente da Mosca per il quotidiano londinese “The Guardian”: «I giornalisti continuano a essere uccisi, e la Baburova è solo l’ultima di una lunga serie». Da due anni inviato in Russia, Harding, con esperienze in Iraq e Afghanistan, afferma deciso che l’ex Urss «resta il paese più duro e difficile in cui ho lavorato come giornalista». La lingua rappresenta la prima barriera: «Lo Stato usa il cirillico come un’arma per nascondere certe verità scomode. Quindi il gap tra quello che io scrivo e quello che si vede in televisione si fa di giorno in giorno sempre più grande». Harding definisce la Russia, nel suo rapporto con i media, «una sorta di avanzata e postmoderna autocrazia». Un esempio, il caso Politkovskaja: «I media locali hanno sì coperto la vicenda della giornalista della Novaya Gazeta, ma non con la stessa attenzione con la quale l’abbiamo fatto noi giornalisti “occidentali”». Lo stesso interesse per la successiva inchiesta, sottolinea Harding, «è stato maggiore in Europa che a Mosca».

Il problema è che Bruxelles non può spingersi troppo in là nelle critiche al regime putiniano. Questo perché la Russia rappresenta il principale produttore di gas naturale del pianeta, una vera e propria  potenza energetica in grado di minacciare sia gli ex stati satelliti sovietici come l’Ucraina, che – anche se indirettamente – la stessa Europa occidentale (attraverso Kiev passa infatti il gasdotto che alimenta, tra gli altri, l’Italia). «Penso che gli ultimi sviluppi – afferma Harding – siano positivi». Il corrispondente del Guardian si riferisce al fatto che la Russia ha recentemente accettato i termini dell’arbitrato europeo sull’invio di osservatori indipendenti “in tutti i siti rilevanti” per monitorare le forniture di gas all’Unione europea attraverso il gasdotto ucraino.

«Il problema – sostiene il giornalista inglese – è che la Russia non è l’Afghanistan: questo vuol dire che l’Europa non può fare molto di più di quello che fa per migliorare la situazione dei diritti umani, o della libertà di stampa». Poi, in sostanza, conclude Harding, «io non sono un politico, sono solo un giornalista, posso solo raccontare». Esattamente come faceva Anna Politkovskaja, e quelli che come lei hanno perso la vita raccontando la verità negata dal potere.

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