GRECIA: Se Atene processa il Fondo monetario internazionale

La notizia è passata un po’ in sordina, ma ha dell’interessante. Si è aperta ad Atene un’indagine giudiziaria nei confronti del Fondo monetario internazionale (Fmi). L’indagine è stata ordinata dal Procuratore ellenico per l’Economia in seguito alle dichiarazioni di Panagiotis Rumeliotis, ex rappresentante della Grecia presso il Fmi. Rumeliotis ha rilasciato delle dichiarazioni secondo le quali l’organismo internazionale era al corrente sin dall’inizio che il programma di risanamento economico del Paese ellenico non avrebbe avuto successo.

L’indagine si è aperta con la deposizione in Procura dell’ex ministro dell’economia, Luca Katseli, cui ne seguiranno altre: ministri, soprattutto, dei tanti che dal 2009 si sono succeduti nei governi ellenici preda della crisi. Alla fine delle deposizioni il Procratore deciderà se procedere contro il Fmi, inviando formale richiesta al parlamento. Non è difficile immaginare la portata di un tale atto. La Grecia, stritolata dall’austerity, avrebbe allora ingurgitato litri di medicinali scaduti, inadeguati a risolvere la crisi in cui versa. Non solo. Quanto fatto fin qui non sarebbe stato altro che tempo perso, compresi i sacrifici, l’indigenza e i suicidi.

Ipotizziamo che, in uno slancio di autonomia, la Grecia “processi” davvero il Fmi. La prima domanda sarebbe, ma il Fmi cosa ci guadagna dal somministrare consapevolmente ricette sbagliate? Ci guadagna che si crea un sistema di debitocrazia che consolida le economie forti e distrugge quelle deboli (il Fmi è al soldo di chi lo finanzia), favorendo processi di colonizzazione economica. Il Fmi è la voce delle economie più potenti, che versano maggiormente i loro quattrini indirizzandone, di fatto, le politiche. Come osservato da Joseph Stigliz, in Europa orientale, alla fine del comunismo, il Fmi ha appoggiato coloro che si pronunciavano per una privatizzazione rapida, che in assenza delle istituzioni necessarie ha danneggiato i cittadini e rimpinguato le tasche di politici corrotti e uomini d’affari disonesti. E’ ovvio che chi presta denaro chieda condizioni. Le condizioni chieste dal Fmi sono sempre le stesse: austerità, liberalizzazioni, specializzazione economica. Queste “condizioni” sono anche figlie della lezione ultraliberista, quella di von Hayek per intenderci, tanto cara a Regan e alla Tatcher, che tutt’ora resistono malgrado l’evidente fallimento di tali concezioni nella crisi in corso.

Le misure chieste dal Fmi infatti svuotano lo Stato del suo patrimonio che, liberalizzato, diventa proprietà di holding e società estere. La specializzazione economica, inoltre, rende i singoli Paesi produttori d’eccellenza in certi settori rendendoli però dipendenti dalle importazioni. Infine l’austerità – per dirla con Paul Krugman – serve a cavalcare la crisi, non a risolverla: “la corsa all’austerity in realtà non ha nulla a che vedere col debito e con il deficit; si tratta dell’uso del panico da deficit come scusa per smantellare i programmi sociali”.

Smantellare lo stato sociale (welfare state) è forse pre-requisito fondamentale affinché le nostre società possano competere con l’economia cinese o indiana? Certo, i costi dello stato sociale sono elevati ma, diceva Keynes: “Il tempo giusto per le misure di austerità è durante un boom, non durante la depressione”. Gli fa eco Krugman che, il 4 agosto scorso, sulle colonne del NY Times scrive: “Anche in presenza di un problema di deficit a lungo termine (e chi non ce l’ha?), tagliare le spese quando l’economia è profondamente depressa è una strategia di auto-sconfitta, perché non fa altro che ingrandire la depressione”.

La spiegazione è semplice. Dice Krugman: “Il nostro debito è composto in maggioranza di soldi che ci dobbiamo l’un l’altro; cosa ancora più importante: il nostro reddito viene principalmente dal venderci cose a vicenda. La tua spesa è il mio introito, e la mia spesa è il tuo introito. E allora cosa succede quando tutti, simultaneamente, diminuiscono le proprie spese nel tentativo di pagare il debito? La risposta è che il reddito di tutti cala – il mio perché tu spendi meno, il tuo perché io spendo meno.- E mentre il nostro reddito cala, il nostro problema di debito peggiora, non migliora”.

Il Fmi, nel costringere i Paesi che hanno fatto richiesta di un prestito a misure di austerità, produce un secondo effetto negativo (il primo, secondo Krugman, è quello di peggiorare la crisi): la riduzione della democrazia. Secondo il Nobel per l’economia, Joseph Stiglitz, il Fmi impone le sue decisioni ai governi democraticamente eletti che si trovano così a perdere la sovranità sulle loro politiche economiche. Va però detto che quei governi hanno prima accettato l’aiuto economico del Fondo e che la sovranità nazionale può non essere un dogma (si pensi all’Unione Europea che è, anch’essa, una riduzione volontaria di sovranità nazionale). Si tratta comunque di un problema grave in quanto il Fmi è l’unico offerente e rifiutarne l’aiuto può voler dire andare incontro alla bancarotta. Accettarlo, invece, significa applicare misure di austerità che possono colpire gravemente lo stato sociale (pensioni, sanità, istruzione) senza escludere che si può comunque andare in bancarotta (il Senegal e l’Argentina sono lì a dimostrarlo). I mali del Fmi li riassume bene Michel Chossudovsky, importante economista canadese, che spiega come le politiche economiche del Fmi sono obbligatorie, e scavalcano la consultazione dei cittadini: la democrazia ne esce perciò impoverita. I cittadini, esasperati dalla disoccupazione e dall’inflazione, protestano invano contro le misure di austerità e contro i governi che le hanno introdotte (accettando l’aiuto del Fondo).  Il fatto è che le misure imposte dal Fondo non sono negoziabili. Le proteste, così frustrate, si fanno sempre più violente. Diventa allora necessario rafforzare gli organi di sicurezza e reprimere il dissenso. Così la democrazia viene messa ulteriormente in serio pericolo.
Ecco perché quanto sta avvenendo in Grecia potrebbe avere ripercussioni notevoli: nell’utopico e assurdo caso in cui il Fmi venisse riconosciuto colpevole di aver imposto misure economiche di cui sapeva l’inefficacia, si aprirebbero gli spazi per una ri-definizione del ruolo del Fmi e per una discussione sui modelli economici di cui si fa portatore.Forse non succederà. Ma intanto ad Atene l’indagine è iniziata.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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6 commenti

  1. Valentino Roiatti

    Interessante e adesso che lo sappiamo?
    Valentino Roiatti

  2. Matteo: ma credi davvero che le misure del Fmi “svuotino il patrimonio dello stato greco?” Ma quale patrimonio, se lo stato greco è fallito? Cosa gli porta via, i debiti?

    ma l’hai visto dove stava/sta il debito greco (170% pil)? E quello italiano (120%)? E la bolla politico-bancaria spagnola? L’hai vista la spesa pubblica italiana dov’è (52%)? E quella degli altri stati deboli dell’euro? La Grecia pre-crisi era Krugman-Keynes-Stigliz nella loro gloria per anni: spesa pubblica, soldi pubblici, debito. Quell’approccio lì ha portato al macello economico e sociale che si vede ora (con conseguente crisi delle istituzioni e rafforzamento di forze radicali), mica i capitalisti cattivi speculatori o le lobby del fondo monetario o le fallimentari teorie “ultraliberiste”. Ragazzi, quando scriviamo, occhio almeno a un paio di dati di base, altrimenti si rischia di dire cose del tutto paradossali.

    Secondo Krugman e co. la cura ai fallimenti da indebitamento è altro indebitamento, un po’ come curare un alcolizzato a furia di vodka. Davvero qui o il fmi non c’entrano nulla: la grecia, se vuole sviluppare un’economia sana, (cioè, non fondata sulle “buche” di Keynes – leggi sprechi, burocrazia, corruzione, posti di lavoro assurdi), deve per forza passare dalle riforme. Euro o non euro, aiuti o meno, fmi o meno, o anche se decide “che io il debito non lo pago”.

    • Ciao Leo

      ci siamo confrontati molte volte su questi temi. Sai che non sono favorevole all’applicazione delle teorie ultraliberiste (non metto le virgolette, mi rifaccio a van Hayek) in questo contesto. E non lo sono per due motivi. Il primo, preponderante, è ideale: da social-liberale non posso accettare il progressivo smantellamento del welfare che tali pratiche realizzano. Il secondo è che credo nella proprietà pubblica, e non nella privatizzazione. Tu obietti che lo stato greco è fallito, quindi nulla gli appartiene. Fino a un certo punto, poiché lo Stato ha il potere di sottrarsi al “pignoramento” rifiutandosi di pagare il debito e/o rinegoziandolo. La sovranità è dello Stato, non degli organismi finanziari. Questo credo. E non puoi fingere di non sapere che il debito pubblico greco è frutto, più che delle dottrine keynesiane, della corruzione della classe politica greca. E nemmeno puoi fingere di ignorare che i creditori sono (in modo diretto o indiretto) altri paesi che non hanno il benché minimo interesse a che in Grecia si mantenga vivo il welfare state, ma solo del loro credito si curano. Un credito per altro già ripagato se consideriamo che lo spread (meccanismo finanziario arbitrario) fa aumentare i tassi d’interesse al punto che solo di interessi la Grecia ha già restituito quanto preso in prestito.

      Infine, non sono certo io che parlo di capitalisti brutti e cattivi, sembra piuttosto un tuo pregiudizio. Capitalisti brutti e cattivi lo pensano, forse, i veterocomunisti e i radicali di destra. Non io. E siccome nessuno dei due è un economista, poco mi spiego la cattedra dietro la quale siedi. Un saluto collega!
      matteo

  3. grazie Matteo per l’articolo, del resto Il FMI sappiamo purtroppo cosa e’:. e come purtroppo funziona, quindi non mi meraviglio!

  4. Si ma il fondo monetario e stato istituito dagli stati aderenti compresa la Grecia tutti hanno delle quote diseguali questo fondo pone un interrogativo: la menomazione dell.eguaglianza sovrana degli stati esiste?la non ingerenza negli affari interni degli stati e rispettata compreso l.attuazione che ogni governo debba avere un potere esclusivo e dunque una sovranità esclusiva compresa quella monetaria.inoltre le cessioni di sovranità degli stati sono concesse a parità con gli altri stati? In ultimo perché non è stata inserita sulla carta onu specificatamente e chiaramente che la coercizione economica o la minaccia economica sono equiparate alle minacce belliche se provocano effetti simili o addirittura peggiori?

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