GRECIA: Scontri ad Atene, un morto. Cronache dalla debitocrazia

La guerriglia urbana riesplode ad Atene, nella piazza simbolo della crisi europea, piazza Syntagma. Mentre il governo greco era radunato dentro il Parlamento, asserragliato e difeso da cordoni di polizia in tenuta antisommossa, fuori si scatenava la rabbia di chi non ha più altro verbo che la violenza: senza lavoro, senza medicine, senza cibo (sono sempre più frequenti i casi di malnutrizione tra i bambini), il popolo greco ha riversato per l’ennesima volta tutto il suo malcontento davanti al palazzo del potere. Un potere sempre meno democratico, ostaggio dei commissari del Fondo Monetario Internazionale e delle misure di austerity, ritenute necessarie per uscire dalla crisi ma che scavalcano la consultazione popolare. Secondo le migliori previsioni, prima del 2020 la Grecia non ricomincerà a crescere. Che fare dunque? L’attesa, a molti, non è sembrata la migliore risposta e piazza Syntagma è nuovamente diventata teatro di battaglia.

Come sempre in questi casi, alla rabbia dei manifestanti si unisce la violenza organizzata dei gruppi politici extraparlamentari, gruppi ingrossati da giovani ritrovatisi senza futuro da quando la crisi greca è iniziata. Sono così volate molotov, pietre e addirittura pezzi di marmo divelti dai palazzi circostanti contro la polizia di guardia al Parlamento che ha risposto con fumogeni e bombe stordenti. E’ in quel trambusto il cuore di un uomo, di cui non sappiamo ancora il nome, si è fermato. L’uomo era un marittimo, aveva perso il lavoro ed era iscritto al Pame, il sindacato vicino al Partito comunista di Grecia (Kke). Era presente alla manifestazione, la seconda in tre settimane, decisa per protestare contro le misure di austerità, voluta in concomitanza con il vertice europeo che si riuniva a Bruxelles.

Le manifestazioni, in verità, sono state due: una si è svolta alle 11 nella piazza di Pediou tou Areos, organizzata da Gsee e Adedy  (che raggruppano rispettivamente gli impiegati del settore privato e di quello pubblico), e una alle 10.30 nella centralissima piazza Omonia, organizzata proprio dal Pame. Entrambe sono poi confluite in piazza Syntagma. C’erano tutti:  i liberi professionisti, i commercianti, i medici ospedalieri, i dipendenti delle banche e degli Enti previdenziali, gli impiegati nelle imprese a partecipazione statale e i marittimi. Gli avvocati sono in sciopero da tre giorni mentre i giornalisti e gli addetti ai mezzi d’informazione si sono astenuti dal lavoro. Uno sciopero generale in piena regola, conclusosi con un lutto.

Ma la partita greca si gioca in Germania, dove il futuro del Paese ellenico è oggetto di campagna elettorale per frau Merkel. Angela Merkel ha infatti espresso sostegno alla proposta sul supercommissario di Wolfgang Schaeuble al Bundestag: la Germania è favorevole a che si faccia un passo avanti nell’Europa – ha detto – e si accordi “un effettivo diritto di ingerenza sui bilanci nazionali” al commissario europeo della moneta. Berlino aspetta la Troika, “non voglio anticipare il rapporto, ma ripeto quello che ho detto ad Atene: io mi auguro che la Grecia resti nell’eurozona”. Lo ha detto Angela Merkel parlando al Bundestag prima del vertice a Bruxelles.

Gli ha risposto subito Hollande, il presidente francese: “noi abbiamo una responsabilità comune che è di fare uscire la zona dell’euro dalla crisi. Ci siamo quasi, ma la migliore strada per farcela del tutto è rispettare le decisioni che abbiamo preso insieme”. Più dura la reazione dell’opposizione. Peer Steinbrueck, candidato dell’Spd alle federali del 2013, prende la parola subito dopo la cancelliera nel Bundestag per attaccarla duramente nel giorno del vertice europeo: “E’ stato un errore fare mobbing sulla Grecia con la Sua coalizione di governo”, ha detto rivolgendosi a lei. “La Germania non è mai stata così isolata in Europa come oggi”, ha detto.

Intanto la Grecia incassa una dilazione nell’applicazione delle misure di austerità, ma questo non tranquillizza nessuno anche se la Trojka ha promesso che la tranche da 31,5 miliardi del prestito arriverà comunque. Senza di essa le casse dello Stato sarebbero vuote. Ma lo sono in ogni caso. Quei soldi serviranno solo in parte a pagare stipendi, pensione, sanità, scuola. Molti andranno a pagare gli interessi sul debito (e non il debito stesso). Interessi che, fin qui, raggiungono una cifra superiore a quella del debito contratto. Secondo il bilancio del 2012, si pagherà per interessi l’8,3% del PIL (nel 2011 il 7,4%). Anche le economie più stabili, nel tempo collasserebbero se dovessero pagare questi interessi ai creditori. In Grecia per l’anno in corso, se non si dovessero pagare gli interessi sul debito, si avrebbe un deficit di soli 1.4 miliardi di euro: è quanto stimato dal governo greco. A causa degli interessi, il deficit greco cresce però di nove volte fino a 12.5 miliardi di euro – deficit che viene poi coperto con i prestiti del Fmi e della Bce. un cane che si morde la coda. E’ l’interesse, insomma, la leva della debitocrazia. Ma l’abolizione dell’interesse sul debito, ce ne rendiamo conto, è fantascienza.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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