GEORGIA: Abbattuta l'ultima statua di Stalin, l'unica che rendeva

Il presente articolo è ripreso dal blog Est Est Est, di Astrit Dakli. Come spesso accade, riportiamo il lavoro altrui quando questo è migliore di quanto noi possiamo sperare di fare. Dakli è un giornalista del Manifesto che con il suo blog segue vicende di un est a volte per noi troppo lontano.

Era stata eretta nel 1952, solo un anno prima della morte del suo titolare. Quella sulla piazza centrale di Gori, Georgia, era una delle ultime grandi statue di Josif Dzhugashvili detto Stalin erette nell’Unione sovietica (dopo il ’53 non se ne fecero più) ed è stata la più longeva, restando al suo posto fino alla notte del 25 giugno, quando una squadra di operai l’ha smontata dal suo piedestallo, caricata su un grosso autocarro e portata via, depositandola per il momento in un imprecisato magazzino in attesa di una futura ricollocazione all’interno del museo che a Stalin è dedicato, sempre a Gori – la città che al Piccolo Padre diede i natali nel 1879.

L’ordine di smontare la grossa statua – un attrezzo mica da ridere, sei metri di bronzo che raffigurano il vozhd in piedi, sopra un piedestallo di pietra alto almeno una decina di metri – è ufficialmente partito dalla municipalità di Gori; ma nessuno ci crede, perché è davvero assurdo pensare che l’amministrazione comunale possa aver preso per conto suo una decisione di tale risonanza mondiale e di tale gravità economica per la città (a parte Tbilisi, l’unica località georgiana ad attirare un certo flusso turistico internazionale è proprio Gori, e proprio in virtù del suo famosissimo figlio e del fatto che era l’unica ad avere un grande museo e una grande statua a lui dedicate). E’ chiaro quindi che la decisione è stata presa ai massimi vertici del paese, cioè dal presidente Saakashvili – che infatti si è immediatamente dichiarato assai soddisfatto, affermando che “era inammissibile che coesistessero un museo dedicato all’occupazione (della Georgia da parte dell’Urss fra il 1921 e il 1991, ndr) e una statua dedicata a chi quell’occupazione guidò”.

Può darsi. Resta il fatto che moltissimi georgiani e soprattutto gli abitanti di Gori non saranno per nulla contenti di questa decisione. Ci sono motivi economici, come detto prima: intorno ai memorabilia staliniani campa un sacco di gente, che in un paese devastato dalla recessione come la Georgia – e in particolare a Gori, la cui economia è stata frantumata durante la guerra con la Russia del 2008 – non ha molte altre risorse a cui attingere. E poi, nonostante tutto quel che di Stalin si possa pensare, per moltissimi georgiani la sua figura è rimasta quella di un grande compatriota, l’unico nel bene e nel male assurto a un livello di importanza planetario. Azzerare la sua memoria non sarà un’operazione tanto liscia, in Georgia.

Tant’è che finora non era stata mai presa nessuna seria iniziativa in merito, pur essendo la questione aperta fin dal 1956: con la destalinizzazione avviata da Khruscev non furono in pochi, nell’Urss e in particolare in Georgia, a porsi il problema di abbattere anche a Gori – come in tutte le città sovietiche – la statua di Stalin, ma proprio Khruscev si oppose. Più tardi la questione si pose altre volte e in modo particolarmente vivace nel 1991, quando la Georgia si proclamò indipendente da un’Urss ormai in totale sfacelo. Pure, né il governo ultranazionalista di Zviad Gamsakhurdia né quello più moderato e “continuista” di Eduard Shevardnadze vollero autorizzare lo smantellamento delle vestigia staliniane a Gori.

Nella breve guerra dell’agosto 2008, le truppe russe inseguirono i georgiani che avevano cercato di occupare la Sud Ossezia; gli aerei bombardarono Gori (alcune bombe caddero anche sulla piazza dominata da Stalin, senza danneggiare la statua)  e poi i tank entrarono in città (che dista pochi chilometri dalla frontiera sud osseta), occupandola per alcuni giorni. Nei mesi successivi a Tbilisi, sull’onda di revanscismo nazionalista seguita alla sconfitta, venne nuovamente posto il problema di togliere di mezzo Stalin (considerato evidentemente un falso georgiano, venduto a Mosca) ma la proposta trovò molta opposizione in parlamento e ancor di più tra i cittadini di Gori. Adesso, il presidente Georgiano sembra aver deciso di procedere comunque.

Sapendo in ogni caso di fare una scelta impopolare: non per niente la rimozione della statua è avvenuta senza alcun preavviso, nel cuor della notte e con un folto schieramento di polizia a impedire che nascessero delle proteste in piazza (gli unici ammessi a osservare la scena sono stati alcuni fedelissimi del presidente, qualche decina in tutto) e addirittura tenendo alla larga giornalisti e telecamere. Una troupe della tv privata locale Trialeti Tv è stata fermata e malmenata, e le apparecchiature sequestrate. Addirittura è stata oscurata per alcune ore una telecamera a circuito chiuso installata sulla piazza per un servizio di webcam, che riprendeva appunto il monumento gloria cittadina.

Evidentemente Saakashvili e i suoi erano memori della pessima figura e delle proteste sollevate nel dicembre scorso dalla distruzione del grande monumento dedicato ai caduti della seconda guerra mondiale, nella città di Kutaisi. La demolizione, filmata di nascosto da una troupe televisiva georgiana, andò in onda ovunque provocando uno scandalo. Adesso al posto del monumento a Stalin, viene detto, sarà eretto un monumento ai caduti della guerra del 2008. Curioso modo di pesare il valore dei morti, in effetti: nella guerra ’41-’45 morirono circa trecentomila georgiani, e il monumento dedicato a loro è stato distrutto; nella guerra del 2008 le vittime, tra civili e militari, sono state circa quattrocento, e per loro si farà un monumento nuovo.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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