Fumetti e Medioriente. Intervista a Zerocalcare e Fares Garabet

di Sara Trusciglio

La rappresentazione che l’immaginario collettivo occidentale ha del Medioriente risponde a una visione piuttosto stereotipata: da una parte, l’esotismo da cartolina, fatto di avventure nel deserto, beduini sui cammelli, strade assolate e polverose; dall’altra, un senso di arretratezza e degrado, tra guerre, decapitazioni sommarie, donne imbacuccate e prive di diritti, autobombe e fanatismi religiosi. Per dirla con Edward Said, “per molti, gli arabi sono venali, lascivi, potenziali terroristi, con nasi adunchi, e per lo più a dorso di cammello; la ricchezza di alcuni popoli e paesi arabi è fortuita o addirittura disonesta, frutto dell’estorsione petrolifera a danno delle nazioni veramente civili”.

Questo tipo di rappresentazione non pecca solo di superficialità: infatti, risulta pericolosa perché si fa espressione di un’egemonia culturale e, di conseguenza, fondamentale premessa per avvallare politiche aggressive. Esportare la democrazia con le bombe non è fantapolitica ma risponde a una strategia coloniale ben precisa, che si nutre proprio di un costante lavorio culturale e mediatico di costruzione di due identità definite e contrapposte (“noi” e “loro”) e della valutazione etico-morale dell’una e dell’altra, secondo dicotomie quali giusto/sbagliato, migliore/peggiore, buoni/cattivi. Tale atteggiamento non fa altro che alimentare il grado di conflittualità tra le parti in causa.

La strage di Charlie Hebdo ha fornito l’occasione per rimarcare, ancora una volta, questa distinzione tra “noi” e “loro”. Tale visione monolitica non è alimentata solo dai media mainstream: abbiamo visto i principali capi di Stato europei (e non solo) sfilare per le vie di Parigi; abbiamo notato una certa spocchia nell’auto-eleggersi sostenitori ufficiali di valori quali laicità e libertà d’espressione; li abbiamo sentiti infarcire i loro discorsi di parole altisonanti come “democrazia” e “libertà”, attribuendole rigorosamente a una sola parte di mondo: la nostra.

In questo contesto, può essere utile una riflessione a freddo su questioni identitarie, satira e libertà d’espressione, proprio nell’ottica di rifiutare le soluzioni “semplici” e adottare, invece, uno sguardo più aperto alla complessità.

Pertanto, abbiamo pensato di interpellare due fumettisti, le cui vicende umane e professionali possono offrire spunti di riflessione inediti e interessanti. Il primo, Zerocalcare, di Roma, non si occupa prettamente di satira politica ma ha condiviso, attraverso il lavoro di fumettista, la sua recente esperienza a Kobane; il siriano Fares Garabet, invece, ci offre un piccolo spaccato di ciò che significa vivere a Damasco e occuparsi di satira.

Puoi descrivere il clima culturale in cui senti di essere immerso? Hai mai subito delle forme di censura nel tuo lavoro?

Zerocalcare: Non mi sono trovato in situazioni di censura, in parte perché non faccio, appunto, satira politica, e finora non ho mai trovato ostracismo rispetto a posizioni mie che sono note a tutti. E’ vero però che, quando ho fatto la locandina della manifestazione “Mai con Salvini” a Roma, mi son trovato un attacco fortissimo: sulla pagina ufficiale di Salvini è apparso un fotomontaggio con la faccia mia con scritto “lui non ci verrà”, mi son trovato con degli account fake miei aperti su twitter, una marea di mail di insulti e di minacce. È una cosa che trovo molto buffa visto che sono le stesse persone che dicono “je suis charlie” e che fanno la battaglia per la libertà di espressione contro gli islamici cattivi. E quindi ciò che è successo in Francia non ha tanto a che fare con la libertà di espressione ma con qualcosa che può essere inscritto come una forma di fascismo e quel tipo di roba ci sta anche in Italia e si può declinare sia in senso religioso –in quel caso islamico- sia in senso politico, perché l’altra faccia dell’integralismo islamico di quella natura là è l’integralismo di Salvini.

Quali aspetti della tua identità ha smosso la vicenda di Charlie Hebdo?

Zerocalcare: Non m’ha smosso, in realtà, come fumettista, ma perché io non l’ho percepito come un attacco ai fumettisti. Non lo trovo un attacco alla categoria anche perché poi si sono sentite coinvolte persone cui non gliene è mai fregato niente né della satira né di questi temi. E’ una cosa che –io sono francese in realtà di nazionalità-  mi ha posto dei problemi sulla mia identità di francese, nel senso che io sono francese come gli attentatori, ma tolto che io sono un francese anomalo perché poi abito in Italia da sempre e il mio legame con la Francia è di natura familiare (non vivo la quotidianità francese), però mi ha spinto a interrogarmi sui modi diversi di essere francese: non sto dicendo che non hanno gli stessi diritti anche se poi vedi che l’accesso all’educazione, al lavoro e così via è evidentemente molto diverso tra uno che ha il cognome arabo e uno che, invece, ha il cognome francese. Evidentemente, però, i primi non si percepiscono come cittadini francesi, o comunque non a tutti gli effetti o con gli stessi privilegi degli altri. Cosa che porta a una contraddizione con i francesi che, invece, si possono percepire come cittadini a tutti gli effetti.

Pensi che esista un limite che la satira non deve superare?

Zerocalcare: Gipi ha detto una roba che secondo me è molto vera, anche se in un altro contesto, e cioè chela satira per sua natura va contro il potere dal basso verso l’alto. Se la satira va dall’alto verso il basso non si può più chiamare satira ma diventa propaganda, diventa fascismo, diventa anche prepotenza in qualche modo. Ora, io non sto dicendo che Charlie Hebdo era parato o era l’”alto”, però il problema è che dipende anche da come vieni percepito, non basta quello che sei. Se da un pezzo grosso di società francese tu vieni percepito come la classe dirigente coloniale -tra l’altro-, tu questo problema te lo devi porre, non puoi fare finta che questa versione non esista.

In generale, soprattutto nei giorni successivi all’attentato, c’è stato un clima che ha reso difficile riflettere su queste questioni. Dopodiché, al di là del lutto, se uno vuole pensare a come fare in modo che queste cose non succedano, secondo me molte delle cose che son state messe in campo, specie dalle istituzioni, tipo la manifestazione dei capi di Stato, c’entrano molto poco. Provare a fare una riflessione non significa giustificare gli attentati. Io penso che le persone che stanno più di tutte combattendo contro questa roba in questo momento sono quelli che a Kobane gli stanno sparando addosso, molto più di quegli uomini politici che abbiamo visto sfilare e che magari son gli stessi che finanziano e aiutano quelle formazioni là.

Puoi descrivere il ruolo della satira in Siria? Che tipo di collocazione trova sui vari mezzi di comunicazione –internet, quotidiani, riviste, televisione?

Fares Garabet: La situazione dei fumetti non è diversa in Siria rispetto al resto dei paesi arabi, ormai sono diventati una scenografia fondamentale nei giornali, masenza alcun contenuto degno di nota, ma dopo la crisi che ha colpito il paese il margine si è ristretto e la responsabilità è ricaduta sui disegnatori e nonostante la diffusione dei social media il disegnatore rimane prigioniero della sua paura.

Vivi in Siria? Com’è la vita del fumettista?

Fares Garabet: Sì, vivo in Siria e disegno rimanendo entro i margini consentiti.

Pensi che esista un limite che la satira non deve superare?

Fares Garabet: Per quanto mi riguarda, penso di meritare piena libertà di espressione ma la religione e i sistemi politici temono i fumetti e ciò significa che il problema è loro, e non dei fumetti in sé.

Nel dibattito politico internazionale, vi è la percezione di una forte dicotomia tra un occidente portatore di valori di democrazia e libertà d’espressione e un Medioriente arretrato e repressivo: qual è la tua opinione in merito?

Fares Garabet: Il problema principale è, in realtà, dell’occidente, il quale ha testato l’importanza della democrazia nei propri paesi ma mostra la sua riluttanza quando è il momento di esercitare quella stessa democrazia in Medioriente. Trovo, però, che ci sia una questione poco chiara. E la domanda è: la libertà di espressione nel mondo occidentale per quanto concerne l’Olocausto nazista vale quanto la questione delpopolo palestinese, per esempio?

Quali aspetti della tua identità ha smosso la vicenda di C.H.?

Fares Garabet: Non sono musulmano ma ovviamente sono contrario a ciò che è successo al giornale. Più che da fumettista, ho provato dolore in quanto essere umano.

Secondo te, di chi è la responsabilità della strage?

Fares Garabet: La domanda è: ­­­pensi che a compiere questa operazione siano stati francesi musulmani o musulmani francesi? Il mondo occidentale ha una responsabilità, in quanto gli attentatori erano in primo luogo francesi, nati e cresciuti in Francia: persone francesi per cultura e istruzione. Le loro origini algerine e la fede musulmana risultano una componente secondaria della loro identità.

 

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