La rivoluzione islandese, un modello esportabile?

C’è un’isola tra i ghiacci e i vulcani che rischiava di affondare tra i debiti della finanza creativa, un’isola che ha combattuto lo sciacallaggio delle banche, che ha rifiutato il giogo del Fondo monetario internazionale e si è sottratta alla morsa russa. E’ l’Islanda, il cui popolo ha detto che il debito contratto era in realtà odioso, poiché contratto contro la volontà e gli interessi dei cittadini che – quindi – non sono obbligati a onorarlo. Così oggi, tra i geyser degli iperborei, va in scena quella che alcuni chiamano “rivoluzione“.

La “rivoluzione” islandese passa attraverso tre fasi. Figlia di una solida economia cresciuta dagli anni Novanta alla fine degli anni Duemila, l’Islanda aveva un tenore di vita tale da permettersi di rifiutare  sia l’euromoneta sia l’ingresso nell’Unione Europea. Ma la sua corona era fluttuante, non ancorata a nessuna valuta forte e legata all’andamento delle borse. Così, quando nel 2008 si scatena la crisi americana dei mutui, l’Islanda se la prende sui denti. Intanto le tre banche principali dell’isola – Landsbanki, Glitnir e Kaupthing – operano con un’esposizione di 11 volte il Pil islandese, chiaramente impossibile da rimborsare per gli istituti e per lo Stato. Il governo si dichiara sull’orlo del fallimento. Siamo nel 2009, e i russi propongono un prestito che Reykjavík non accetta: avrebbe significato diventare un protettorato di Mosca nella corsa al gas artico. Arrivano allora i soldi del Fmi, con tanto di misure di austerity. Esattamente come sta accadendo in Grecia. Ma entrano in scena i cittadini, che non ci stanno, e scendono in piazza garbati e decisi.

In prima battuta si elegge un nuovo primo ministro, una donna lesbica, Jóhanna Sigurðardóttir, che nel 2010 appoggia il movimento di opinione che intende bloccare il rimborso del debito estero. L’inizativa sfocerà in un referendum: il 93% degli islandesi voterà contro la legge di rimborso. Una nuova proposta di rimborso è ugualmente stata bocciata mediante referendum nel marzo del 2011. Il debito estero viene così “cancellato” anziché pagato. Gli islandesi non ci stanno a risarcire un debito dovuto ad azioni criminose di politici e banchieri. Partono le inchieste della magistratura, alcuni politici finiscono in carcere, i banchieri fuggono all’estero inseguiti da mandati di cattura internazionali.

Nel frattempo si avvia una rifondazione democratica. Attraverso il crowdsourcing, un metodo di partecipazione aperta dal basso e non organizzata veicolato dal web, gli islandesi eleggono un’autoproclamatisi Assemblea Costituente (Stjórnlagaráð) votando 25 tra 522 candidati. La nuova Assemblea si compone di docenti universitari, avvocati, giornalisti ed anche da un sindacalista, un contadino, un pastore e un regista. Le loro riflessioni partono, inoltre, da un documento di oltre 700 pagine scritte da una commissione in base alle osservazioni di 950 islandesi selezionati a caso e riuniti nel National Forum.

Il 29 luglio scorso l’Assemblea consegna al Parlamento le linee guida per la nuova Costituzione. I temi più caldi sono economia e finanza, con nuove regole che separino banche di credito e banche d’investimento; risorse energetiche, di cui l’Islanda è ricca e di cui vuole restare padrona; protezione del web da qualsiasi tipo di censura e diritto garantito ad avere un accesso a internet per ogni cittadino. Dopo aver vagliato le proposte il Parlamento le accettate inserendole nella nuova carta costituzionale: d’ora in poi in Islanda sarà vietata dalla legge la speculazione finanziaria, le risorse energetiche resteranno pubbliche e internet diventerà un diritto per tutti.

La rivoluzione islandese sembra però difficilmente esportabile: la partecipazione dal basso in una società tanto piccola (320 mila abitanti) è un elemento tradizionale e necessario. Il web è il veicolo di questa rivoluzione, non l’origine. L’esperienza islandese, come il fenomeno dei partiti pirata in Germania o dell’uso di facebook nella rivolta tunisina, sono i frutti migliori della rivoluzione elettronica in cui – però – lo strumento resta tale. Sono le persone a farne buono o cattivo uso. Quindi, al di là dai facili entusiasmi, twitter non ci salverà se non ci salveremo da soli.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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6 commenti

  1. matteo, l’islanda è stata assistita dal fmi, vedi http://bit.ly/uHv5EY

  2. Nel pezzo scrivo: ” Arrivano allora i soldi del Fmi, con tanto di misure di austerity. Esattamente come sta accadendo in Grecia”. Ma dal 2010, come scrivo oltre, i cittadini non ci stanno. Si organizzano, temono che l’Fmi possa nuocere alla loro economia. L’iniziativa popolare, unita a un rigore economico, allontana l’Fmi (è roba di questi giorni) che se ne va. Soddisfatto l’Fmi, e pure gli islandesi. Di cosa? Di non pagare il debito. E’ il debito, non l’Fmi, che viene cancellato. Leggi i pezzi prima, magari aiuta…

  3. L’islanda ha ricevuto dal fmi e da vari paesi 5 mld di euro, il 40% del pil nazionale. Il programma del fmi (che oltre ai prestiti prevedeva misure precise di ristrutturazione bancaria, consolidamento fiscale ecc) è iniziato a novembre del 2008, subito dopo il collasso delle banche, è andato avanti tranquillamente dopo il referendum del 2010 e si è concluso ad agosto, con grande soddisfazione dell’fmi, data la precisione con cui l’islanda si è attenuta alle sue prescrizoni. Altro che iniziativa popolare che allontana il ‘giogo del fmi’.

    http://www.imf.org/external/np/sec/pr/2011/pr11316.htm

    http://www.voxeu.org/index.php?q=node/7235

    Ma tu credi davvero che senza questo supporto l’islanda ce l’avrebbe fatta a risollevarsi, semplicemente non pagando i debiti? E non entro nell’aspetto etico dell’operazione (il non pagare i debiti, a casa mia, e immagino degli inglesi che avevano i quattrini nelle banche islandesi, si chiama furto). E’ vero che gli islandesi non hanno colpe per le decisioni dei loro banchieri, ma lo è altrettanto che grazie agli assurdi indebitamenti di quei banchieri hanno vissuto a lungo molto al di sopra delle loro possibilità (altro che solida economia). Forse avrebbero fatto bene a stare un po’ più attenti a dove mettevano i loro soldini, invece di far pagare oggi agli odiosi creditori inglesi il loro benessere.

    • oh Leo, sembra un dialogo tra sordi. Che non provo simpatie per l’Fmi è cosa nota e, per quel che conta, l’ho scritto più volte in questo piccolo spazio che coltivo. Il pezzo sull’Islanda non intendeva né dire populisticamente che la “gente” ha scacciato l’Fmi né che l’Islanda ce l’avrebbe fatta senza. Non è proprio argomento di discussione, nel pezzo. E non lo è perché non lo so se l’Islanda ce l’avrebbe fatta. A me quello che interessa è che un Paese, che pure conta meno di uno sputo e che ha l’economia della provincia di Verona, ha attivato un progesso di palingenesi democratica dovuto a una nuova consapevolezza dei cittadini. E mi è piaciuto che il loro premier abbia accolto l’iniziativa con serietà e rispetto.

      A me quel che sembra è che tu cerchi di porre tutto su un piano ideologico. Il gioco dialettico funziona così: tu a favore del modello liberista e delle istituzioni di Bretton Woods, io critico nei confronti di queste ultime e contrario al liberismo. Ma non tutto si può ricondurre alla dicotomia ideologica tra liberismo e anti-liberismo. Non tutto quello che viene modestamente pubblicato su queste colonne.

  4. Articolo interessante, col pregio di riassumere in poche parole ciò su cui tanti sproloquiano ultimamente (e amen per le questioni FMI si FMI no).

    Per rispondere alla domanda del titolo, temo basti l’ultimo paragrafo.

  5. L’inizativa sfocerà in un referendum: il 93% degli islandesi voterà contro la legge di rimborso. Una nuova proposta di rimborso è ugualmente stata bocciata mediante referendum nel marzo del 2011. Il debito estero viene così “cancellato” anziché pagato….. AVRESTI DOVUTO SCRIVERE “POSTICIPATO” scritto così è una bufala … il resto dell’articolo è abbastanza corretto ma questo “cancellato” è scandaloso.. informati

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