ESTONIA: "Non ho visto nessuna austerity in Grecia". Un punto di vista baltico sulla crisi

Onestamente non ho visto nessuna austerity in Grecia. E’ un paese ricco con un alto livello di consumi, la situazione attuale in Grecia è molto migliore di quella che abbiamo attraversato in Estonia nei primi anni ’90. Stanno spendendo molto – di più di quanto guadagnino – per cui non può essere chiamata austerity, ma hanno bisogno di introdurre cambiamenti e riaggiustamenti.”

Così Jürgen Ligi, ministro delle finanze dell’Estonia (Partito della Riforma, liberali), in un’intervista al blog della LSE. La crisi dell’euro e della Grecia, vista da nord-est, appare in maniera diversa. I paesi baltici – economie aperte e votate all’esportazione – sono stati tra i primi ad essere colpiti, quando lo tsunami dei sub-prime ha raggiunto l’Europa. Ma sono stati anche i primi a riprendersi, e in maniera sostanziale. Certo la dimensione aiuta: un paese piccolo, con un’economia necessariamente aperta agli scambi, rischia maggiormente di “importare” crisi, ma ha anche maggiori risorse interne, in termini di flessibilità, per adattarsi velocemente alle condizioni economiche internazionali.

In secondo luogo, a Riga e a Tallinn, austerity ha un significato diverso. Non rimanda, nella mente, alla benzina razionata durante la crisi petrolifera del 1973. Piuttosto, rimanda all’Unione Sovietica e ai primi anni della transizione economica, quando era necessario costruire dalle fondamenta un nuovo modello di economia di mercato adatto al paese, allo stesso tempo in cui si costruivano le fondamenta per l’indipendenza dello stesso. Estonia e Lettonia possono essere due casi da tenere a mente, di come piccoli paesi europei possano uscire dalla crisi.

L’Estonia ha avuto una crescita del PIL attorno al 7% dal 2001 al 2007. Poi, la crisi e il rimbalzo: -3,7% (2008), -14,3 (2009), +2,3% (2010), +8% (2011, quando Tallin ha introdotto l’euro). E il debito pubblico estone è rimasto pressoché inesistente, al 6% del PIL. Come hanno fatto? “Posso rispondere con una sola parola: austerity. Austerity, austerity, austerity,” dice Peeter Koppel, investment strategist della SEB Bank. “È stato difficile ma ce l’abbiamo fatta”, spiegava il ministro dell’economia Juhan Parts. L’Estonia ha tagliato i salari pubblici del 10% (e del 20% quelli dei ministri). E gli estoni non hanno protestato particolarmente. Ad aiutarli, la consapevolezza che l’unità in tempo di crisi è fondamentale per mantenere la tanto sudata sovranità, in questi tempi di interdipendenza. “L’Europa occidentale non ha sperimentato un declino dei propri standard di vita dal tempo della seconda guerra mondiale – ha aggiunto Koppel. – Storicamente, l’austerità è inevitabile, ma non è parte della cultura dell’Europa occidentale di oggi. Questo è ciò che ci differenzia, noi siamo stati in grado di capirlo”.

Nel caso della Lettonia, come ha ben spiegato Fabrizio Goria, la soluzione è venuta dalla parziale messa in atto delle riforme richieste dal FMI, condite con le ricette UE e adattate alla situazione del paese. La stessa Estonia ha partecipato al bailout dei propri vicini meridionali.

Dopo la recessione del 2009, in cui il Pil crollò del 17,7%, nel 2010 il primo miglioramento, con un Pil in contrazione dello 0,9 per cento. Nel 2011 il rimbalzo, con l’economia in crescita del 5,5%, anche grazie a un bailout internazionale, una massiccia svalutazione interna e una serie di accordi commerciali fra Riga e la Cina”

Negli anni a venire, la crescita del PIL lettone dovrebbe assestarsi attorno al 4%, e il debito attorno al 45% del PIL. Fondamentali macroeconomici che permetteranno a Riga di andare avanti col piano di introduzione dell’euro nel 2014.

L’Estonia non è l’unico dei nuovi paesi membri UE (e membri dell’eurozona) a non vedere di buon occhio le misure di sostegno alla Grecia. La stessa questione – perchè pagare per un paese con un PIL più alto del proprio? – aveva portato alle dimissioni del governo di Iveta Radičová in Slovacchia nel 2011, ed era stata richiamata dal nuovo premier Robert Fico. Un fatto sottolineato anche da Jacques Rupnik:

il governo Radičová è stato uno delle numerose vittime della crisi dell’euro. In questo caso, è stato un fatto rivelatore: la Grecia era stata ammessa nell’eurozona per ragioni politiche (principalmente il patrocinio della Francia) senza essere economicamente, finanziariamente e istituzionalmente pronta. La Slovacchia, al contrario, ha dimostrato di essere preparata economicamente e finanziariamente, per quanto politicamente impreparata”

Saranno i baltici un buon esempio per gli altri piccoli paesi UE colpiti dalla crisi Slovenia e Cipro in testa? Nel frattempo, sembra che avesse ragione sempre Jacques Rupnik quando ammoniva che le fratture storiche in Europa stanno cambiando.

l’Europa è oggi divisa tra un nord e un sud, anziché tra un est e un ovest“.

I paesi baltici sono ormai pieno nord – la storia ha raggiunto la geografia.

Foto: I3aac, Flickr

Chi è Davide Denti

Dottore di ricerca in Studi Internazionali presso l’Università di Trento, si occupa di integrazione europea dei Balcani occidentali, specialmente Bosnia-Erzegovina.

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10 commenti

  1. Con tutto il rispetto lei non ha idea di come sia la situazione in Lettonia. Il paese è quasi alla fame, la disoccupazione è enorme e l’emigrazione ha raggiunto livelli di massa. Il PIL e il debito pubblico non spiegano nulla in questo caso, la realtà è ben altra e i lettoni hanno ragione a non voler pagare per la Grecia, loro i sacrifici li stanno facendo sul serio ! Quanto all’Estonia, è un paese finto, tutta l’economia è basata sulla finanza ed è in mano alle banche scandinave. Riguardo all’entrata della Lettonia nell’euro, la stragrande maggioranza della popolazione è contraria ma sarà democraticamente costretta a subire (e a pagare). I paesi baltici sono un fallimento, un esempio da non seguire. A 20 anni dall’indipendenza, l’Estonia è una dependance delle banche svedesie e la Lettonia una colonia russa (come e peggio di prima).

  2. Ti credo che l’F.M.I e tutta la cricca finanziaria internazionale loda le “riforme” fatte dal governo lettone, è la ricetta che vorrebbero propinare anche a noi tramite il governo Monti. Affamare la gente per ingrassare la finanza, in Lettonia è questo che stanno facendo. Certo che il paese ha ricominciato ad esportare, con i salari tagliati del 30 per cento le merci lettoni sono tornate competitive, ma la gente tira letteralmente la cinghia. Le repubbliche baltiche da 20 anni fanno da cavie per gli esperimenti dell’F.M.I., adesso stanno provando sulla loro pelle il metodo “affama (loro) e ingrassa (noi)”. Se l’esperimento riesce poi lo applicheranno a tutti, italiani per primi. In Estonia e Lettonia non c’è una solo azienda importante che sia locale, quasi tutta l’economia è in mano a scandinavi e russi, che rimarranno finchè il governo riuscirà a tenere bassi i salari, poi scapperanno in cerca di schiavi più a buon mercato lasciandosi dietro il deserto.

    • credo che tu sia semplicemente russo( visto i tuoi post), i paesi Baltici non hanno nulla a che fare con i russi tranne che condividere lo stesso gruppo linguistico, mentalmente e culturalmente sono “scandinavi”

      • Due piccole puntualizzazioni.

        1) Il lettone e il lituano non sono lingue slave, bensì baltiche, mentre l’estone non è neanche una lingua indoeuropea, bensì uralica (è molto simile al finnico).

        2) Sono d’accordo che i Baltici sono culturalmente scandinavi (ad eccezione dei Lituani che invece sono quasi Polacchi e quindi centroeuropei), ma in Estonia e in Lettonia vivono forti minoranze di Russi, Ucraini e Bielorussi. E loro non sono certo scandinavi o centroeuropei (salvo che non vengano dalla zona di Leopoli…)

  3. Estonia sarà la nuova Cipro, facile fare l 8% con i soldi degli altri. Irlanda, cipro, slovenia e la prossima e l estonia! Gli squali di wall street di franco forte hanno la bava alla bocca, spero che gli diano una bella lezione agli estoni e al loro peeter koppel

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