Il fantasma di Tuđman, l’UE e l’immaginario dei Balcani. Intervista a Katarina Luketic

Barbari, i Balcani? Arretrati, primitivi? Luoghi comuni che sono duri a morire. Nel suo ultimo libro, “Balkan : od geografije do fantazije” (Balcani: dalla geografia alla fantasia) la critica letteraria Katarina Luketic analizza il “trauma dei Balcani”. Come nel 1990 la percezione di una regione dalle identità meticce si è frammentata in favore del concetto di “identità nazionale” e del suo corollario di violenza. Oggi, se la Croazia ha una immagine negativa dei Balcani, quale immagine l’Unione europea ha della Croazia?

Di tutte le penisole d’Europa, la penisola balcanica è economicamente la più arretrata e culturalmente la più disprezzato. I Balcani, disprezzati dall’Europa così come dai loro abitanti, soffrono di questo peso simbolico da oltre due secoli. Nell’immaginario collettivo dominante, non hanno alcuna possibilità di essere visti come le altre parti d’Europa, vale a dire senza stereotipi negativi

H-Alter (HA): Lei definisce i Balcani in termini di “geografia” e “immaginario”. Lo sguardo dominante focalizzato sui Balcani, tanto sul piano simbolico che su quello politico, è costituito essenzialmente da questi due concetti?

Katarina Luketic(KL): La specificità dei Balcani, rispetto ad altre parti d’Europa, è che è impossibile definirli geograficamente, anche solo come spazio culturale, a causa di un sovraccarico di stereotipi e metafore, dal più negativo al più positivo. Lo spazio è raffigurato come una terra di odio e di violenza. Una regione arretrata, condannata a vivere in epoca premoderna e nella stagnazione. Un paese primitivo e barbaro. Rispetto ai valori europei, questo dispositivo è lo spazio dell’alterità. La questione della fantasia è cruciale. Questa fantasia si basa su un sistema binario di cliché e fantasmi, lontani dalle identità ibride della realtà.

HA: Si parla molto nel suo libro del trauma della Croazia rispetto ai Balcani. La percezione contemporanea dei Balcani in Croazia è dovuta alle politiche degli anni ’90. Come erano percepiti i Balcani sotto Tudjman?

KL: Gli anni ’90 sono essenziali per comprendere la nostra identità contemporanea e assimilare quello che oggi è chiamata l’identità nazionale. La costruzione binaria Europa-Balcani, civiltà-barbarie è centrale. I Balcani sono il pari della Serbia, della Jugoslavia, della violenza, del primitivismo e di ogni altro concetto a connotazione negativa intrinseca. Sottolineare le differenze e la dualità, creare categorie inconciliabili, costruire identità rigide, si tratta di un pregiudizio politico pericoloso. Tanto più in una regione caratterizzata da eterogeneità e dalla diversità delle identità. La Jugoslavia è stata un periodo di convivenza di cui si può dire, senza idealizzazione, che ci sono stati legami, rimescolamenti, una dinamica comune, un incrocio di culture, la creazione di una narrazione di identità transnazionali. Al contrario, Franjo Tudjman e i suoi accolti si sono concentrati su una identità pura e fissa, che esclude immediatamente più persone di quante ne possa. Questo concetto ci ha culturalmente impoverito. Ma è ancora d’attualità. Ecco perché è fondamentale decostruire, per aprirsi agli altri e ricostruire noi stessi al fine di rendere alla nostra identità le sue caratteristiche multiformi.

HA: Nonostante il politicamente corretto, la fantasia e stereotipi dei Balcani sono ancora validi. Così, il Primo Ministro Milanovic ha preso le distanze dai “bizantini” e dai “balcanici”

KL: Questo esempio illustra come  il concetto di “Balcani” può essere pieno di significati oppure un guscio vuoto. Un’idea che si tira fuori a piacere, un trucco demagogico, un argomento forte nel discorso politico e nei battibecchi pubblici tra élite. Citiamo l’ex primo ministro Jadranka Kosor nel corso di un congresso della HDZ nel 2011: “Noi non vogliamo la Jugosfera” Con ciò, Kosor fa rivivere la visione di integrazione Tuđman dei Balcani. La Jugosfera ha nulla a che vedere con l’integrazione politica e nessuno lotta per un tale principio. Un altro esempio di minaccia balcanica [si ha] in una clip TV andata in onda prima del referendum su ingresso nell’UE. Votare “No”, è aprire la porta a tutti i tipi di alleanze balcaniche. Scegliere l’Unione, al contrario, è allontanarsi da tali associazioni. Quanto a Milanovic, dicendo “Noi vogliamo la Scandinavia, chi vuole Bisanzio vada a Bisanzio “, si limita a ripetere un tema dell’orientalismo uniformizzante Oriente / Balcani / Bisanzio / ex-Jugoslavia / Europa orientale. E’ esasperante! Nel ventunesimo secolo, un rappresentante della élite politica nella stessa frase confronta termini inconciliabili come la Scandinavia e Bisanzio. Finchè le élite riprodurranno questo discorso, non sarà sorprendente sentire gli studenti dire dei balcannici che sono barbari, arretrati, depravati, corrotti e sporchi, che tendono a non fare nulla, ma solo a bere caffè per ore … nei Balcani, non ci vogliono vivere.

HA: Le persone influenzate dal discorso della élite politica e dei media pensano che con l’adesione all’UE la Croazia sfuggirà i Balcani e che il 1 luglio potremo finalmente essere “europei”. Come pensa che gli altri paesi dell’Unione europea valutino la questione?

KL: La percezione europea dei Balcani è cambiata in modo significativo dagli anni ’90. Ma il dualismo tra “noi” e “loro” è vivo e vegeto. Le opposizioni binarie ideologiche di ieri, comunismo/capitalismo, sono diventate economiche: tra chi riuscirà e chi fallirà nel seguire i principi e le logiche del capitalismo neoliberale. L’Europa meridionale rappresenta una alterità disobbediente. Le persone sono ribelli pigri incapaci di rispettare le normative europee, e si danno allo spreco. Sono pronta a credere che, dopo la sua adesione all’UE, la Croazia diventerà nel discorso egemonico creato dalla burocrazia tedesca questo Altro simbolico, anormale, questo Sud selvaggio e barbaro che deve essere domato.

Intervista originale apparso in croato su H-Alter. Traduzione in francese di Jovana Papović per Le Courrier des Balkans, in italiano di Davide Denti.

Foto: Gerrigje Engelen, Flickr

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2 commenti

  1. . . . un articolo negativo,fuorviante ed inconcludente. X fortuna la Croazia reale e’ differente!

  2. Traduzione di Jovana Popovic, un nome una garanzia. Da una lunga intervista di 13 domande ne ha scelto ed ha interpretato 4 guardandosi bene di non toccare gli argomenti che la potevano riguardare…
    Cmq grazie di averci segnalato il libro di questa critica letteraria che, dopo aver letto l intervista intera, mi sembra interessante.

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