Rivoluzione araba. L'erronea analogia con l'Europa dell'est

Il parallelo tra i disordini popolari in Egitto, Tunisia e Marocco e la caduta della Cortina di Ferro nel 1989, è sbagliato. Come possono essere messi a paragone i principi alla base della democrazia nel mondo arabo con quelli dell’Europa dell’Est?

Il confronto tra il 2011 e il “nostro” 1989 non può reggere per una serie di motivi, soprattutto perché, a differenza del Nord Africa, la maggior parte delle persone che facevano parte dell’ex blocco comunista aveva, a quel tempo, un’idea discreta, anche se distorta, di quello che era la democrazia e di come funzionava. Questo era dovuto al fatto che provenivano da una cultura che aveva creato da sé la democrazia e che già possedeva consuetudini sociali e istituti informali che hanno reso più facile il passaggio verso la democrazia.

Qual è la situazione in Medio Oriente?
La maggior parte dei regimi arabi di oggi discendono da colpi di stato militari risalenti, per lo più, agli anni ‘50 e ’60. Così come Lenin, un tempo, aveva abbozzato l’equazione: Sovietici + Elettrificazione = comunismo, i colonnelli che guidarono le rivoluzioni in Egitto, Siria, Iraq e Libia coniarono l’equazione araba: Nazionalismo + un esercito = Indipendenza. Eccezion fatta per le monarchie sopravvissute al fervore rivoluzionario, si affermò, così, un modello per tali regimi che sembrò garantire una risposta discreta ai problemi del tempo. Gli Stati edificarono nuove dighe sui fiumi, costruirono sistemi per l’istruzione e la salute, nazionalizzarono le industrie conquistando anche una significativa ritirata dal blocco sovietico.
Altri fattori, tuttavia, erano in moto contro la democrazia.
Il mondo arabo ignorava, semplicemente, che i principi essenziali della democrazia erano esistiti anche nell’Europa dell’Est prima del 1989, quantomeno in una forma imperfetta. Si pensi alla società civile, al concetto di libertà personale, alla tradizione del confronto senza pregiudizi e alla responsabilità individuale. Un esempio su tutti: il nome alla piazza di Città del Cairo, Piazza Liberazione, (teatro dell’assembramento di una moltitudine di gente in occasione della grande manifestazione per la libertà) non è stato dato per sottolineare la speranza di conquista delle libertà civili, ma in riferimento al colpo di stato del 1952 per mano del Colonnello Nasser. Il rimando, qui, è all’indipendenza collettiva nazionale, non all’autonomia individuale dei cittadini, come nei Paesi occidentali.

Le società arabe sono anche molto più radicate nella fede verso l’autorità
Il vero nazionalismo arabo – paradossalmente ispirato al socialismo e al nazionalismo europeo – partiva da un’ideologia che aveva come scopo quello di sostituire alcuni dettami occidentali, come il diritto alla “ricerca della felicità”, cosa in cui è riuscito dopo qualche tempo. Ha fornito alla gente il senso dell’identità e anche degli obiettivi per i quali essa è stata felice di rinunciare a qualsiasi cosa. Si ricordi che il regime egiziano, sentendosi indebolito, ha tentato, recentemente, di giocare la carta nazionale rilanciando un nuovo sentimento di devozione.

I giovani del Cairo (le donne, qui, sono molto meno visibili rispetto alla più “profana” Tunisia) gridano anche slogan come “libertà“. Ma quando viene chiesto loro di spiegare più in dettaglio quello che cercano, essi si aggrappano a parole come “giustizia” (in contrapposizione a “corruzione” e “disuguaglianza”) o “dignità” (a fronte di uno stato di polizia o di misure degradanti).

Le società arabe sono molto più radicate, per quel che riguarda la fede nell’autorità, anche rispetto alle società occidentali. Le opinioni degli anziani o dei superiori devono essere rispettate. Parlare ad alta voce è considerata una cosa sgradevole e la diversità di opinioni è spesso percepita come un problema. La cultura del dialogo e, soprattutto, il commento critico è qualcosa che dovrà, essenzialmente, ancora svilupparsi se esiste una possibilità per la democrazia.

E, dunque, in Egitto ci sarà la democrazia o un regime fondamentalista?
Il Medio Oriente non è stato, di certo, un focolaio di libertà – in termini di scelte di vita individuali e riguardo alla libertà di diffondere le proprie opinioni personali – ma, nemmeno, un terreno fertile per l’assolutismo. Ci sono sempre stati concetti ben radicati di governo giusto e legittimo, limitati non solo dalla legge religiosa, ma anche dalla tradizione, da figure autorevoli e da varie istituzioni stabilite.
Inoltre, l’Islam crede nella fondamentale uguaglianza umana, cosa che rende il contesto più adatto per la democrazia di quanto lo sia, diciamo, il sistema delle caste in India.

E’ opportuno, comunque, rivolgere la nostra attenzione agli sviluppi presenti. I riflessi sulla ripetizione della “scenario tunisino” in Egitto non si basano solo su una erronea analogia con l’Europa dell’Est, ma anche sulle somiglianze apparenti tra i due regimi nord africani. Il governo di Ben Ali era la dittatura personale di una sola classe sociale, il cui destino è stato segnato quando l’esercito si è opposto. Non può accadere esattamente lo stesso in Egitto. La partenza involontaria di Mubarak non cambierà la natura fondamentale del regime, in cui gli uomini dell’esercito godono di posizioni di primo piano.

E, allora, assisteremo alla proclamazione della democrazia in Egitto o al riaffermarsi di un regime fondamentalista?
Nessuno lo può prevedere. A questo proposito,può essere interessante l’osservazione di Alexis de Tocqueville sull’avvento, 180 anni fa, della democrazia nel mondo occidentale. Egli ha osservato che, se da un lato, il governo ad opera delle masse presenta molti pericoli, opporsi ad una evoluzione inevitabile è, d’altro canto, in definitiva, ancora più pericoloso di quanto non sia cercare di camminare con esse e guidarle.
Da nessuna parte sta scritto che la democrazia egiziana deve essere assolutamente irreprensibile.
Anche noi, nella Repubblica Ceca, siamo ben consapevoli che nessuna democrazia, degna di questo nome, è mai nata senza problemi.

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* JanFingerland è nato nel 1972aCarlsbad, Repubblica ceca. Hastudiato scienze politiche, filosofiaed ebraismo a Praga, York, Stoccolma eGerusalemme. Attualmente stalavorandocomericercatorepost-dottorato presso ilCentroShalema Gerusalemme e scrive per il sito ceco Český rozhlas 6.

Chi è Daniela Ferrara

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