CITTA’: Le rose di Sarajevo e l’asfalto dell’assedio

Fare un viaggio a Sarajevo è fare un viaggio nel tempo. Oggi, vent’anni fa, la città era sprofondata nell’assedio. Vent’anni dopo, la ricostruzione ha riportato la capitale della Bosnia ai suoi fasti. Il palazzo del Parlamento e del Consiglio dei ministri, e le torri gemelle “Momo e Uzeir” di Ivan Štraus del 1986 sono stati rimessi a nuovo. Il restauro della Biblioteca Nazionale (Vijećnica), già distrutta dalle bombe incendiarie, sta per essere completato, così come quello del vicino Ponte Latino dove 99 anni fa venne ucciso Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria (alle celebrazioni del centenario hanno già confermato la loro partecipazione Angela Merkel e François Hollande, mentre non ci sarà papa Francesco). Da cinque anni, la Avaz Twist Tower svetta sopra Marijin Dvor, facendo sembrare il distretto più simile alla Malmö del Turning Torso che ai Balcani.

Ma se dall’alto lo sguardo si sposta invece verso il basso, è l’asfalto a riportare indietro nel tempo. I marciapiedi della città sono stati rifatti per l’ultima volta negli anni ’80, la guerra li ha attraversati e i successivi diciotto anni di pace e ricostruzione non li hanno toccati. Passeggiando tra gli alberi sull’argine della Miljacka, così come nel centro storico e nella Baščaršija ottomana, i piedi camminano sopra l’asfalto dell’assedio, dove le bombe e i colpi di mortaio hanno lasciato il loro segno. Le chiamano “rose di Sarajevo“, e quelle ricoperte di resina rossa sono quelle che si sono portate via la vita di uno o più cittadini sarajevesi. Scrive Jasminko Halilović:

Durante l’assedio eravamo suddivisi tra quelli che hanno con le loro vite hanno piantato le rose, e quelli sopravvissuti che le annaffiavano con le loro lacrime”.

Così, passeggiando per la città, i nostri occhi sono all’altezza della vita e del presente, mentre i nostri piedi camminano sul passato recente e sanguinoso. Il tempo ci attraversa.

@davidedenti

Foto: Becky Tappin, Flickr

Chi è Davide Denti

Dottore di ricerca in Studi Internazionali presso l’Università di Trento, si occupa di integrazione europea dei Balcani occidentali, specialmente Bosnia-Erzegovina.

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