CINEMA: Serata ucraina al festival CinEast. Quando l'Europa orientale non fa ridere

da LUSSEMBURGO – Il cinema dell’Europa orientale ha un problema, ovvero il pubblico dell’Europa occidentale. In queste settimane, dal 9 al 26 ottobre, è in corso a Lussemburgo un interessante festival cinematografico dedicato a pellicole e registi dell’Europa centro-orientale. CinEast, questo il nome della rassegna, è giunto ormai alla sua settima edizione e presenta cinquanta lungometraggi e quaranta cortometraggi.

Una serata particolare è stata quella dedicata al cinema ucraino, con la proiezione di Business as usual, di Valentyn Vasyanovych, e di una serie di “corti” realizzati da Yehven Matvienko, Volodimir Tykhyy e Myroslav Slaboshpitsky (autore del bellissimo “The Tribe“). Nomi certo non noti al pubblico occidentale ma capaci di restituire con crudo realismo le atmosfere dell’Ucraina di oggi. Crudezza che non disdegna l’allegoria e il ricorso al sogno, all’impossibile, per descrivere il vero. L’ironia, quando c’è, è rovesciamento ma non umorismo.

Non è dunque chiaro perché il pubblico rida in pellicole drammatiche, confondendo con battute comiche quelle che sono ciniche considerazioni sulla gravità della vita  (la pellicola di Vasyanovich è, in questo, magistrale) e amare riflessioni su un’esistenza costretta nella barbarie del lavoro inumano (come quei “rifiuti nucleari” di Slaboshpitsky, operai di una fabbrica di smaltimento di scorie radioattive che vivono la desolante routine di una vita ai margini del mondo, nei pressi di una centrale dimenticata, in ambienti dalla scarsa igiene e sicurezza – sono loro, le persone, i “rifiuti” del titolo).

L’Ucraina che esce da quelle pellicole è gravida di solitudini, silenzi pesantissimi ed eloquenti, abbandono ed emigrazione, ma anche di soffocante corruzione e sopruso. Ma il pubblico ride. E lo fa perché crede sia iperbole quello che è realismo, ma anche perché la diseducazione dei film à la Kosturica ha abituato lo spettatore al comico. No, l’Europa orientale non fa sempre ridere. Esistono asprezze che non si vogliono riconoscere, verso cui non si prova alcuna empatia, e che testimoniano l’indifferenza degli europei dell’ovest verso i loro “compatrioti” dell’est.

Le pellicole, girate prima della rivoluzione di Maidan, non fanno alcun riferimento politico esplicito né denunciano corruzione o malgoverno: sono questi elementi sempre presenti sullo sfondo ma è la vita delle persone – una vita franta e sempre prossima a perdersi – che interessa ai registi ucraini. La vita della gente, quella che non fa notizia in occidente, dove i giornali sono pieni di valutazioni geopolitiche e dimenticano che dietro ogni numero ci sono persone.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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