CINEMA: “Il bambino n. 44” e le 44 sfumature di disgusto di Vladimir Medinskij

#Russia: La censura cela involontariamente il fiasco internazionale di “Child 44”, thriller storico prodotto da Ridley Scott in uscita il 30 aprile nelle sale italiane. Ma quali i motivi di questa ennesima censura?

Da Lione – Russa, europea, americana, poco importa la nazionalità. In Russia ormai qualsiasi tipo di opera cinematografica viene minuziosamente studiata dagli alti funzionari di stato che si occupano di cultura e… censura. Dopo il film di Zvjagincev, “Leviathan”, rivisto e riadattato appositamente per il pubblico russo, è il turno di “Child 44” (in italiano: “Il bambino n. 44”). Ma forse questa volta lo zampino della censura russa può aiutare a nascondere il fiasco del trio Espinosa-Scott-Hardy ai botteghini internazionali.

“44 sfumature di disgusto”

Non è il titolo di una parodia del rinomato “50 sfumature di grigio”, ma l’acido commento uscito dalla bocca di Vladimir Medinskij, Ministro della Cultura russo, lo scorso 15 aprile, il giorno prima della presunta uscita nelle sale nazionali del nuovo film hollywoodiano diretto dallo svedese-cileno Daniel Espinosa e prodotto e distribuito nientedimeno che da Ridley Scott.

“Child 44” era atteso nelle sale russe il 16 aprile, ma alla vigilia il ministro russo ha deciso senza indugi di proibirne la distribuzione nel paese, affermando che film del genere non dovrebbero assolutamente vedere la luce in Russia né nell’anno del 70° anniversario della vittoria contro i nazisti, né mai. Il Ministro degli Affari Esteri Alexej Puškov, della stessa opinione, rincara la dose definendo l’intreccio come “robaccia” e i contenuti “di una spazzatura più unica che rara”.

Oltre alla Russia, anche Bielorussia, Kirghizistan, Kazakistan e Uzbekistan hanno rifiutato di distribuire il film a livello nazionale. In Georgia la prima è stata per ora semplicemente rinviata a ottobre, mentre in Ucraina il film è stato ritirato dalla compagnia di distribuzione su richiesta della sorella russa “Central Partnership“, che detiene i diritti sulla pellicola sul territorio della Federazione russa e dell’Ucraina.

Mangiatori di bambini

Il tanto criticato thriller è una trasposizione cinematografica del primo romanzo della trilogia best-seller di Tom Rob Smith, edito in Italia da Sperling & Kupfer. Le vicende narrate dal giovane britannico e adattate allo schermo si ispirano alla storia vera di Andrej Čikatilo, uno dei più prolifici serial killer della storia, conosciuto come il Mostro di Rostov e condannato a morte il 15 ottobre 1992 per aver ucciso 52 donne e bambini tra il 1978 e il 1990.

Siamo nella Mosca sovietica del 1953. Leo Demidov, il protagonista interpretato dall’avvincente Tom Hardy, è una delle menti più geniali dei servizi segreti sovietici, un eroe in patria, alle prese con una complicata missione per stanare uno spietato serial killer, mangiatore di bambini. L’ostruzionismo del regime gli rende però complicate le indagini: un assassino seriale sul paradisiaco territorio comunista non può esistere, potrebbe solo essere frutto della crudeltà capitalista. Accusato perciò di altro tradimento dal collega rivale Vasilij (Joel Kinnaman), Demidov perde il suo incarico, il suo potere e la sua casa, ed è costretto all’esilio in uno squallido avamposto provinciale. Ma Leo e la moglie Raisa (Noomi Rapace), non si danno per vinti e, con l’aiuto del Generale Nesterov (Gary Oldman) continuano le ricerche per scovare l’aberrante mostro e ribaltare l’idea che “non esistono omicidi in Paradiso”.

Questo thriller molto cupo potrebbe essere invitante per gli amanti del genere allo stato puro, ma non per un pubblico che si aspetta un’interpretazione psicologica più profonda: per oltre due ore incongruenze e inverosimiglianze sui fatti storici non mancano e di certo non fanno piacere ai russi, che sono costretti a guardare scene di puro cannibalismo e violenza.

Il dramma ci proietta subito all’interno del rigoroso regime totalitario guidato da Stalin, dove regna il terrore, la paura, la preoccupazione, dove il clima è cupo e pesante e la paranoia è all’ordine del giorno, insieme ai sospetti e alle denunce. L’atmosfera è lugubre e infelice. Insomma, nemmeno in piena guerra fredda la propaganda antisovietica da parte degli americani era così spietata nei confronti del loro nemico numero uno. Come nota il critico cinematografico della rivista “Variety”, Peter Debruge, il film è una rappresentazione propagandistica antisovietica “vecchia scuola”.

Una nuova provocazione nei confronti della Russia attuale? Sembrerebbe risultare proprio così agli occhi di Medinskij e del suo entourage che denuncia la distorsione dei fatti storici e un’interpretazione alquanto originale di un’epoca storica complessa. Ne vede un dipinto dei suoi concittadini sovietici come una sottocategoria umana immorale, una massa di orchi assetati di sangue e di spiriti malefici, e un paese che non è la Russia ma assomiglia a Mordor, il regno immaginario de “Il signore degli anelli”.

La pellicola così duramente giudicata ad Est, se può consolare, nemmeno negli Stati Uniti pare raggiungere il successo tanto ambito dagli operatori dietro le quinte: “Il bambino n. 44”, nelle sale italiane dal 30 aprile, si è rivelato una vera catastrofe. Malgrado un budget di 50 milioni di dollari, un produttore di spicco (Ridley Scott) e un cast altrettanto interessante (Tom Hardy, Noomi Rapace, Gary Oldman e Vincent Cassel, per citarne alcuni) gli incassi mondiali non arrivano nemmeno a 2,5 milioni di dollari. Forse, per una volta, è un bene che sia intervenuta la censura russa.

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Chi è Claudia Bettiol

Nata lo stesso giorno di Gorbačëv nell'anno della catastrofe di Chernobyl, sono una slavista di formazione. Grande appassionata di architettura sovietica, dopo un anno di studio alla pari ad Astrakhan, un Erasmus a Tartu e un volontariato a Sumy, ho lasciato definitivamente l'Italia per l'Ucraina, dove attualmente abito e lavoro. Collaboro con East Journal e Osservatorio Balcani e Caucaso, occupandomi principalmente di Ucraina e dell'area russofona.

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