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MONTENEGRO: Accordo con la Chiesa ortodossa serba, siamo a un punto di svolta?

Lo scorso venerdì 8 luglio, il governo del Montenegro si è espresso a favore di un “accordo fondamentale” con la Chiesa ortodossa serba (SPC). Tale accordo era stato proposto dal ministro della giustizia, Marko Kovač, e supportato dal primo ministro, Dritan Abazović, volenteroso di chiudere una volta per tutte l’annosa questione dei diritti e delle libertà della principale istituzione religiosa del Paese. Sono 13 i ministri che lo hanno votato favorevolmente, 5 quelli contrari e 3 gli assenti. Ora la palla passa al Sinodo della SPC e al parlamento montenegrino, che dovranno esprimere il proprio giudizio sull’accordo. Tuttavia, esso rischia di frantumare gli equilibri fragilissimi su cui si regge l’attuale governo.

Che cosa prevede l’accordo

L’accordo disciplina quelle questioni che, a seguito della controversa – e poi emendata in seguito alle grandi proteste scoppiate nel Paese – legge sulle libertà religiose promossa nel 2019 dal presidente del Montenegro, Milo Djukanović, sono state oggetto di recenti tensioni politiche e sociali all’interno del paese. La parte più importante di tale accordo è sicuramente quella che riguarda le proprietà religiose. Esso prevede l’obbligo di registrare tutte le chiese ortodosse e i monasteri come appartenenti alla SPC e la restituzione delle proprietà di tale istituzione che sono state nazionalizzate o confiscate dalle autorità comuniste durante e dopo la seconda guerra mondiale.

Inoltre, lo Stato non potrebbe concedere permessi di costruzione di altre chiese ortodosse senza l’approvazione della SPC. Si tratterebbe di un duro colpo per la Chiesa ortodossa montenegrina, nella quale si identifica il 30% dei credenti di fede ortodossa del Paese. (Ri)fondata nel 1993, la sua autocefalia non viene riconosciuta da nessun’altra Chiesa ortodossa e trae legittimità dal riconoscimento da parte dello Stato montenegrino. Le disposizioni originarie della legge sulle libertà religiose promossa da Djukanović ne avrebbero ulteriormente rafforzato la posizione ai danni della SPC, mentre il recente accordo potrebbe minarne fortemente l’autorità. Infatti, oltre a quelli già citati, uno dei suoi punti chiave risiede nel riconoscimento della soggettività della Chiesa ortodossa serba anche in antecedenza al 1918, anno in cui l’allora esistente Chiesa ortodossa montenegrina e le sue proprietà caddero sotto il controllo del Patriarcato serbo a seguito dell’unificazione tra Serbia e Montenegro.

Dovesse essere tramutata in legge, tale disposizione chiuderebbe una volta per tutte il vaso di pandora aperto da Djukanović con la legge del 2019, la quale richiedeva alle comunità religiose di documentare il legittimo possesso dei luoghi di culto di loro proprietà, pena la confisca e il passaggio a controllo statale. Per la SPC sarebbe stato difficile farlo, mentre ora non sarebbe più necessario. Non è un caso se il metropolita della Chiesa ortodossa montenegrina Mihailo ha chiesto un equo trattamento dell’istituzione religiosa di cui è capo, affermando che i luoghi di culto ortodossi nel Paese “sono di proprietà dello Stato del Montenegro, non della Chiesa ortodossa serba”.

Governo a rischio?

L’accordo è stato elogiato dagli esponenti della Chiesa ortodossa serba, i quali ritengono che ponga fine a “discriminazioni” nei confronti della più grande comunità religiosa del paese. In precedenza, il Patriarca ortodosso serbo Porfirije aveva dichiarato che la finalizzazione dell’accordo avrebbe segnato “il coronamento della normalizzazione dei rapporti tra il Montenegro e la sua Chiesa”.

Umori contrastanti e tensioni si registrano, invece, in ambito governativo e parlamentare. I 13 ministri che hanno votato l’accordo favorevolmente fanno parte della coalizione guidata Azione Unitaria per le Riforme (URA) a cui fa capo Abazović, del filo-serbo Partito Popolare Socialista del Montenegro (SNP) e dei partiti etnici albanesi. Tra i contrari ci sono, invece, i ministri provenienti dal Partito Social Democractico (SDP) alleato di Djukanović, dal Partito Bosgnacco e dall’Iniziativa Civica Croata. Si tratta di una spaccatura che mette a rischio la stabilità dell’attuale esecutivo di minoranza, il quale si è formato a seguito del voto di sfiducia nei confronti del precedente governo guidato dal leader della coalizione “Per il futuro del Montenegro” Zdravko Krivokapić e che si regge su una risicata maggioranza (45 voti su 81) garantita dal supporto esterno del Partito Democratico dei Socialisti (DPS) di Djukanović.

Il partito del presidente è però fortemente contrario all’accordo, in quanto ritiene che la Chiesa ortodossa serba voglia minare la statualità montenegrina. Sia l’SDP che il DPS hanno accusato il governo di non offrire un ampio dibattito pubblico sulla questione e hanno minacciato di sfiduciarlo. Il primo ministro Abazović ha risposto a tali dichiarazioni affermando che sia l’SDP che il DPS erano state preventivamente informate sul contenuto dell’accordo e che non si erano espresse a riguardo. Inoltre, Abazović ha affermato che nel caso in cui non ci fosse altra soluzione, si andrebbe ad elezioni anticipate. Nonostante le grandi tensioni che si respirano all’interno dell’esecutivo montenegrino, alcuni esperti ritengono che ci sia un modo per arrivare quantomeno all’approvazione parlamentare dell’accordo. I voti necessari potrebbero arrivare, paradossalmente, dal partito filo-serbo Fronte Democratico (DF) guidato da Aleksa Bečić e dalla coalizione “La Pace è La Nostra Nazione”, ovvero gli ex alleati di Abazović nel governo formatosi a seguito delle elezioni del 2020 e che proprio l’attuale primo ministro montenegrino aveva fatto cadere presentando una mozione di sfiducia.

Quale futuro per il Montenegro?

Si attende, dunque, la prova del parlamento per vedere il destino di tale accordo e l’impatto sugli equilibri non solo politici, ma anche sociali di un Paese in cui la questione dei rapporti con la Chiesa ortodossa serba è spesso motivo di tensioni e a volte anche di scontri.

Tali sviluppi avranno un impatto non solo a livello domestico, ma anche regionale. La Serbia, a cui il Montenegro era legato da un Unione Statale fino al 2006, guarda chiaramente con particolare interessi a quello che succederà. Lo scorso 29 giugno, Abazović si è recato a Belgrado, dove ha incontrato la prima ministra serba Ana Brnabić e il presidente Aleksandar Vučić. Durante tale visita, nella quale si è anche parlato dell’accordo tra governo montenegrino e SPC, Abazović ha affermato che i due Paesi stanno aprendo “una nuova pagina” nelle loro relazioni bilaterali. L’effettiva bontà di tale svolta rimane ancora tutta da scoprire.

Foto: Wikimedia commons

Chi è Kevin Dobra

Studente al secondo anno di magistrale (MIREES) presso l'Università di Bologna, dove ha anche conseguito la sua laurea triennale in Scienze internazionali e diplomatiche (SID). Le sue origini albanesi lo portano a occuparsi principalmente di Albania e Kosovo, in particolare dei loro rapporti con l'Unione europea e con i paesi vicini.

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