ALBANIA: 25 anni fa, quando la Rai parlò di noi

25 anni fa cominciava il grande esodo dei profughi albanesi verso l’Italia. Tra la notte del 6 e la mattina del 7 marzo del 1991, una prima ondata di persone in fuga dall’Albania si riversò sulle coste pugliesi. Era il preludio al drammatico viaggio verso Bari della nave Vlora che ad agosto attraccò in Puglia con 20 mila passeggeri a bordo.

La storia

Il crollo del muro Berlino e la morte violenta dei coniugi Ceausescu in Romania nel 1989 aveva scosso i regimi comunisti nell’ est Europa e sopratutto Tirana. Per 45 anni l’Albania fu sottomessa a dura prova da un regime stalinista guidata con metodi spietati dal dittatore Enver Hoxha. Questa prova consisteva nell’impoverimento materiale e spirituale di tre milioni di persone. Centinaia di chiese, mosche e altri luoghi di culto furono distrutte e decine di chierici persero la vita perla volontà cieca di estirpare con la violenza la fede nelle persone per sostituirla con il culto del partito.

L’Albania arrivava nei primi anni ‘90 come il terzo paese più povero del mondo dopo l’Uganda e l’Angola e dove la proprietà privata, la libera impresa, la libertà e i diritti umani fondamentali erano stati vietati per Costituzione. Durante il regime comunista la mobilità interna ed esterna erano totalmente proibite. La propaganda contro la migrazione e immigrazione era massiccia e rappresentata come una piaga sociale frutto del capitalismo. La propaganda totalitaria fino alla morte di Enver Hoxha nel 1985 rappresentava nell’immaginario collettivo albanese il fenomeno migratorio come una deportazione territoriale simile a quella per gli oppositori politici.

Il regime comunista del post-Hoxha guidata da Ramiz Alia cercò di allentare la presa della repressione dando l’idea di prossime riforme economiche e sociali, ma l’ incapacità e l’atrofia politica della classe dirigente deluse subito le aspettative. In condizioni di povertà diffusa, di disoccupazione crescente e di mancanza di reali prospettive per il futuro,l’emigrazione sembrava l’unica strada percorribile per una generazione che non aveva nulla da perdere.

Nel luglio del 1990 centinaia di giovani si diressero, spinti dalla speranza di una vita migliore, verso i cancelli delle ambasciate occidentali come fossero una casa sicura per chiedere asilo politico e una nave che li avrebbe guidati verso l’occidente. I primi dati sono spaventosi per la credibilità del regime, circa tremila persone si rifugiarono all’ambasciata tedesca; altre cinquemila in quelle italiane, francesi, greche, turche, polacche, ecc.

A Tirana il malcontento si manifestò ormai apertamente e diversi gruppi sociali e sindacali organizzarono scioperi e manifestazioni. Quelli che diedero un colpo definitivo al regime comunista furono gli studenti universitari che scesero in piazza in numero sempre maggiore: anche se in un primo momento le loro richieste erano limitate alle condizioni di studio, ben presto acquisirono una maggiore connotazione politica. Il passaggio da un regime totalitario a un sistema democratico di tipo liberale coincise con una grave crisi economica del paese, in un momento storico in cui la globalizzazione cominciava a far sentire i suoi effetti. Alla povertà ereditata si aggiunse la piaga della disoccupazione che in una società molto giovane come quella albanese incentivò le forti spinte migratorie.

Verso l’Italia

In questa confusione politica, economica e sociale, alla vigilia delle prime elezioni libere nel marzo del 1991, l’Albania era un paese in rovina, in cui regnava il caos e il sogno dell’occidente,in particolare l’ Italia, vista solo alla televisione. La Rai e i canali mediaset, anche se il fenomeno non e’ ancora scientificamente studiato, furono uno dei più importanti spiragli che mantenne vivo nell’immaginario collettivo il desiderio di libertà e la possibilità di una alternativa.

Nella primavera del 1991 l’Italia scoprì di essere la terra promessa per migliaia di albanesi.Dal 7 marzo 1991, gli albanesi entrarono a pieno titolo sulla scena continentale con quello che fu denominato “l’ esodo biblico”. I legami con l’Italia erano stati sempre di amore e odio. L’amore per essere cosi simili: “due popoli, un mare”. Anche nel medioevo, gli albanesi per scappare all’ invasione ottomana sbarcavano in Sicilia o in Puglia come ci dimostra la presenza della comunità arberesh nel sud Italia. L’Italia era sempre stata vista come un porto sicuro. Tuttavia, gli albanesi residenti in Italia nel lontano 1980 erano appena 514; nel 1990, 2.034.

Tutto questo stava per cambiare.La prima calorosa accoglienza nelle ambasciate occidentali confermò il desiderio di molti giovani di provare a scappare dal non-vivere. La voce per la partenza delle navi dal porto di Durazzo aveva fatto sì che centinaia di giovani di Tirana percorressero a piedi o in bicicletta 40 chilometri che dividono la capitale dalla città di mare. Una maratona verso la libertà. In quei giorni migliaia di giovani albanesi “assaltarono” la nave “Vlora”, una bellissima nave italiana costruita a Genova negli anni 60. La Rai stava finalmente parlando di loro. Per la prima volta, loro erano la notizia.

Chi è Lavdrim Lita

Giornalista albanese, classe 1985, per East Journal si occupa di Albania, Kosovo, Macedonia e Montenegro. Cofondatore di #ZeriIntegrimit, piattaforma sull'Integrazione Europea. Policy analyst, PR e editorialista con varie testate nei Balcani. Per 4 anni è stato direttore del Centro Pubblicazioni del Ministero della Difesa Albanese. MA in giornalismo alla Sapienza e Alti Studi Europei al Collegio Europeo di Parma.

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