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BOSNIA: Il controverso caso della discarica di Sarajevo

Le conseguenze negative dell’irrazionale situazione amministrativa in cui si trova la Bosnia Erzegovina si riflettono ogni giorno sulla vita dei suoi cittadini e sulle loro azioni quotidiane. Questa volta il problema riguarda gli abitanti di Sarajevo e la gestione dei rifiuti, tema particolarmente caro all’Unione Europea che richiede a gran voce alla Bosnia Erzegovina di adeguarsi alle normative comunitarie. Com’è possibile, viene da chiedersi, quando ci si trova di fronte a situazioni come quella della discarica di Sarajevo?

Ma andiamo con ordine. In seguito agli accordi di Dayton del 1995, Sarajevo viene divisa in due parti: una appartenente alla Federazione croato-musulmana e l’altra, che si trova dieci minuti ad est del centro storico, alla Republika Srpska. Quest’ultima assume il ruolo di vera e propria città con il nome di Istočno Sarajevo, ovvero Sarajevo Est. In Federazione lo smaltimento dei rifiuti è di competenza cantonale* ed è perciò il cantone di Sarajevo che si occupa della raccolta e dello stoccaggio nelle discariche. Dal territorio del cantone Sarajevo è però esclusa la città di Sarajevo Est in quanto si trova sotto la giurisdizione di un’altra entità, quella a maggioranza serba. Di conseguenza, i rifiuti dei cittadini di Sarajevo Est che prima venivano smaltiti nella discarica di Sarajevo hanno dovuto trovare una sistemazione differente. In mancanza di una discarica a norma, sono stati ammassati nell’ex cava di Krupac, alla periferia della città. La situazione potrebbe risultare semplicemente assurda e complicata se non costituisse una vera e propria minaccia ambientale per i cittadini di entrambe le città.

Infatti, già durante la guerra i cittadini di Sarajevo Est, impossibilitati ad usare la discarica della capitale, avevano trasformato la cava di Krupac in discarica temporanea e avevano iniziato a portarci ogni tipo di spazzatura senza distinzione. La situazione avrebbe dovuto essere di emergenza, e quindi temporanea, ma così come gli accordi di Dayton congelarono la situazione del 1995, lo stesso si verificò con la discarica. Tuttora i rifiuti prodotti dai circa 80.000 cittadini di Sarajevo Est continuano ad essere ammassati nella cava, senza alcun tipo di criterio né di trattamento sanitario. Negli ultimi anni la situazione si è deteriorata e, a causa delle piogge, i rifiuti accumulati rischiano di inquinare le falde acquifere del fiume Željeznica che si trova nella zona sottostante la cava e che fornisce acqua ai cittadini di entrambe le città.

Come riporta il think thank bosniaco “Populari”, che si è occupato della questione assieme ad alcune associazioni ambientaliste di Sarajevo tra cui “Ekotim”, in materia di gestione dei rifiuti dovrebbe essere seguito il principio di prossimità decretato a livello europeo, che stabilisce di smaltire i rifiuti il più vicino possibile al luogo in cui vengono prodotti. Tradotto in pratica, gli abitanti di Sarajevo Est dovrebbero usare la discarica che adoperavano prima guerra, ovvero quella a norma della città di Sarajevo. Di fatto, dopo diversi tentativi falliti di risolvere il problema, la collaborazione tra le due municipalità ed entità non sembra essere possibile, nonostante appaia come la più logica e la più vantaggiosa anche in termini economici. La soluzione più accreditata è invece la creazione di un’altra discarica che serva i cittadini di Sarajevo Est e che sia in linea con gli standard europei. Oltre al costo relativo al progetto, c’è anche un problema temporale: si stima infatti che passeranno almeno otto anni prima che questa discarica sia pronta. Nel frattempo c’è da sperare che le falde acquifere sottostanti la cava non vengano contaminate e che qualcuno cominci ad occuparsi seriamente della questione.

Il problema, di nuovo, è di natura politica ed economica. Ma la discarica di Krupac rischia di avvelenare l’acqua dei cittadini di entrambe le entità, e questo è un pericolo che non ha nulla a che vedere con confini amministrativi e politici.

*la Federazione croato-musulmana è divisa in dieci unità amministrative chiamate cantoni.

Chi è Chiara Milan

Assegnista di ricerca presso la Scuola Normale Superiore, dottorato in Scienze politiche e sociali presso l'Istituto Universitario Europeo di Fiesole (Firenze). Si occupa di ricerca sulla società civile e i movimenti sociali nell'Est Europa, e di rifugiati lunga la rotta balcanica.

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