BOSNIA: Chiude il Museo Nazionale. Il “culturicidio” di Sarajevo

Negli ultimi giorni, Sarajevo ha mostrato orgogliosamente al mondo il volto rinnovato della sua storica Biblioteca. La splendida Viječnica, uno dei principali simboli architettonici, culturali e spirituali della città, fu mandata al rogo dalle granate dell’esercito serbobosniaco nell’agosto 1992. Ora, dopo lavori di restauro durati diversi anni, la sua facciata è stata liberata dalle impalcature e troneggia nuovamente sul paesaggio urbano sarajevese.

Proprio questi giorni coincidono però con un’altra vicenda, dai contorni molto meno idillici. Dopo 124 anni di attività, alle 11.00 di giovedì 4 ottobre 2012 il Museo Nazionale della Bosnia Erzegovina ha chiuso le porte al pubblico. La ragione è semplice e laconica: mancanza di fondi. In effetti, la crisi finanziaria del museo era precaria sin dalla fine del conflitto (1995). Nella Bosnia post-Dayton non esiste una legge che regoli lo status legale ed economico degli enti culturali pubblici, e che definisca con chiarezza quale istituzione sia responsabile per finanziare il museo. Questo ruolo fu assunto de facto dal Ministero per gli Affari Civili fino alla fine del 2010. Poi venne il 2011, l’ anno senza governo della Bosnia-Erzegovina. La paralisi istituzionale ha implicato lo stop ai fondi ministeriali per il Museo, mai più ripristinati. Ovviamente ha influito anche la cronica dispersione delle risorse dovuta alla divisione etnico-istituzionale del paese: la Republika Srpska, ad esempio, si gestisce e finanzia un Museo Nazionale tutto proprio.

Nel 2012 il Museo Nazionale bosniaco ha ricevuto solo piccoli finanziamenti ad hoc che peraltro non possono, per legge, coprire le spese di gestione della struttura. Da quasi un anno i circa 60 dipendenti non ricevevano lo stipendio. Nello scorso inverno, l’edificio già aveva chiuso al pubblico durante alcune settimane per il mancato pagamento del riscaldamento. Negli ultimi tempi, la chiusura era stata paventata più volte fino a diventare, lo scorso giovedì, una triste realtà.

Le parole dell’attuale direttore del museo, Adnan Busuladžić, sono gonfie di rabbia e amarezza:“ Durante 15 anni abbiamo improvvisato, e negli ultimi due anni ancora di più. Ma adesso basta! […] Se il Museo non serve a nessuno, allora si può gettare benzina sopra e dargli fuoco”. Sul (non) ruolo delle istituzioni, Busuladžić ha aggiunto: “Non esiste istituzione a cui non ci siamo rivolti e che non abbiamo cercato e supplicato. Ci siamo rivolti anche all’OHR [L’Alto Rappresentante della Comunità internazionale, NdA], alle ambasciate, alla comunità internazionale, affinché stimolassero le istituzioni locali ad agire, ma non è servito a niente”. Alla chiusura ha presenziato il direttore del Museo durante l’assedio di Sarajevo del 1992-95, Enver Imamović, che ha commentato con durezza: “È uno scandalo! Una vergogna! Tutti devono vergognarsi. Il museo non è mai rimasto chiuso, nemmeno durante l’assedio [del 1992-95, nda]. E invece chiude adesso, che siamo nel 2012!”

Nel giorno della chiusura, sono state organizzate varie proteste e iniziative. Il Museo di Storia Nazionale ha chiuso le porte in segno di solidarietà con i colleghi, mentre due attivisti di un’associazione che si batte per la riforma della costituzione (i cosiddetti “Anti-Dayton”) si sono incatenati all’edificio del Museo per protestare contro la chiusura e denunciare l’irresponsabilità della classe politica bosniaca di fronte alla vicenda. Soprattutto, c’è da registrare l’iniziativa degli studenti dell’Università di Sarajevo che hanno organizzato una “Marcia al Museo”. Un corteo di circa 1.000 persone si è mosso per diverse vie della città, tentando – invano, per l’intervento della Polizia – di presidiare il palazzo della Presidenza nazionale. Poi ha proseguito fino a concludersi di fronte all’ingresso già sbarrato del museo. Sugli striscioni degli studenti c’era scritto: “Vergognatevi!”, “Non svendiamo le istituzioni culturali”. “Non permetteremo che questo culturicidio avvenga nella nostra città”, ha dichiarato a Radiosarajevo.ba uno degli promotori della marcia, la quale chiedeva a gran voce le dimissioni dei vertici politici responsabili della chiusura.

Il caso del Museo Nazionale non è isolato: altri sette enti culturali nazionali della BiH si trovano sull’orlo della chiusura definitiva, tra cui la Galleria d’arte Nazionale, la Cineteca Nazionale, la Biblioteca Universitaria Nazionale, il Museo della Lettaratura e il Museo di Storia. Tutte queste istituzioni lavorano da mesi con orari e servizi ridotti, stipendi dei dipendenti non pagati, assenza di manutenzione.

Si tratta di una vicenda surreale, rara o forse unica in Europa: un paese rimane privo di un proprio Museo nazionale, che sarebbe per definizione il custode della propria identita’ artistica, culturale e storica. L’edificio contiene l’Haggadah, il leggendario e preziosissimo manoscritto ebraico sefardita proveniente dalla Spagna pre-inquisizione, ed altri numerosi materiali d’inestimabile valore etnografico ed archeologico. La chiusura del Museo Nazionale è l’ennesimo indicatore dell’ “emergenza cronica” in cui versa la tempo la Bosnia-Erzegovina, l’ennesimo simbolo della sua fragilissima sopravvivenza. Una crisi che coinvolge anche la sua capitale. In vent’anni, Sarajevo è passata dall’ “urbicidio” compiuto dall’esercito serbo-bosniaco al “culturicidio” perpetrato dall’inerzia politica.

Chi è Alfredo Sasso

Dottore di ricerca in storia contemporanea dei Balcani all'Università Autonoma di Barcellona (UAB); assegnista all'Università di Rijeka (CAS-UNIRI), è redattore di East Journal dal 2011 e collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso. Attualmente è presidente dell'Associazione Most attraverso cui coordina e promuove le attività off-line del progetto East Journal.

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