BOSNIA: Chi specula sul “pericolo islamista” nei Balcani

Periodicamente appaiono report sul “pericolo islamista” nei Balcani e specialmente in Bosnia. Ma da dove nascono? Un’indagine su chi, in Bosnia come all’estero, vive dell’allarmismo sull’Islam nei Balcani

Il villaggio di Ošve, nuova roccaforte dell’ISIS?

L’ultimo caso è stato quello del Sunday Mirror: il tabloid britannico, a una settimana dal ventennale di Srebrenica, pubblica un reportage dalla Bosnia in cui i giornalisti, Patrick Hill e Ed Wright, vengono condotti al villaggio di Ošve, nei pressi di Maglaj, presentato come “roccaforte” dove l’ISIS avrebbe installato dei campi di addestramento per terroristi in Europa. Qualche foto alle povere case senza intonaco, un selfie con cartello stradale, la citazione di un vicino che afferma di sentire degli spari nel bosco, ed il reportage è fatto: senza neanche cercare di interagire con gli abitanti, ché sarebbe “troppo pericoloso”.

La realtà è molto più prosaica: ad Ošve – come nel resto della Bosnia – non c’è l’ISIS nè campi di addestramento per terroristi, ma un villaggio rurale in cui risiede una comunità salafita. Seguace di una forma d’Islam diversa da quella della maggioranza della Comunità islamica bosniaca, ma non per questo necessariamente violenta o pericolosa – e comunque tenuta sotto stretta osservanza, come i colleghi di Gornja Maoča, dai servizi segreti bosniaci, la SIPA.

A guidare i giornalisti inglesi, d’altronde, era l'”esperto di terrorismo” Dževad Galijašević. Come scrive Rodolfo Toé per il Courrier des Balkans, Galijašević è nome conosciuto a chi è dell’ambiente: “contributore regolare dei giornali della Republika Srpska, è conosciuto per il suo allarmismo sul ‘pericolo islamista’ nei Balcani, ma anche per le sue posizioni revisioniste sul massacro di Srebrenica e le sue critiche al movimento delle Donne in Nero di Belgrado. E’ stato membro di un ‘comitato d’esperti’ contro il terrorismo, prima di esserne allontanato nel 2013 perché ‘faceva ostruzionismo ai lavori del gruppo’, i cui veri obiettivi in realtà non sono mai stati chiari”.

Bakir Izetbegovic, quinta colonna dei Fratelli Musulmani?

Quello del Sunday Mirror non è l’unico caso di mezzi d’informazione che si lasciano trascinare, per incompetenza o per malafede, dalla narrazione tossica sul pericolo islamista nei Balcani. Sempre nei giorni scorsi il giornale belgradese Informer rilanciava la notizia – ripresa pure dall’Ansa – che Bakir Izetbegovic, membro della presidenza tripartita bosniaca, sarebbe “uno dei leader degli islamisti radicali” in Bosnia-Erzegovina, e legato ai Fratelli Musulmani. Come fonte, si citava l’articolo “Islamism and Security in Bosnia-Herzegovina“, di Leslie S. Lebl, pubblicato nel maggio 2014 dall’Institute for Security Studies dello US Army War College (USAWC), e convenientemente ripescato attorno al ventennale di Srebrenica.

L’articolo di Lebl accusa gli alti papaveri della leadership bosgnacca – dal defunto Alija Izetbegovic a suo figlio Bakir, all’ex ministro degli esteri Haris Silajdzić e all’ex leader religioso Mustafa Cerić – di essere quinte colonne dei Fratelli Musulmani, intenzionati a reintrodurre la sharia in Europa, in combutta con la leadership turca e l’Organizzazione della Cooperazione Islamica (OIC).

Come scrive Bosnia Today, “ci sono molte cose per cui [Izetbegovic] dovrebbe essere criticato e di cui chiedergli conto, a partire dalla diffusa corruzione, nepotismo, povertà e mancanza di sviluppo economico. Ma le accuse che [Izetbegovic] sia a capo di islamisti radicali sono false e pericolose. Se , come leader di una nazione e di un paese, egli è capo di un movimento islamista radicale, allora i bosgnacchi come popolo sono islamisti radicali. E’ una visione che si addice alla Serbia, che può così presentarsi come frontiera tra l’Europa civilizzata e il barbarico Oriente, e protettore del mondo civilizzato occidentale. Può anche aiutare la Serbia a giustificare il proprio ruolo nella guerra del ’92-’95, facendo sembrare che sia stata combattuta contro pericolosi islamisti, anziché contro una popolazione locale malamente armata.”

L’autrice del rapport USAWC, Leslie S. Lebl, d’altronde, è una analista di politica estera esplicitamente repubblicana e conservatrice, che in passato ha sostenuto la “visione positiva” della presidenza G.W. Bush e che oggi critica senza sconti quella di Barack Obama. In un articolo del 2013, Lebl scriveva che “la Fratellanza e l’OIC vedono l’Europa come parte di un futuro Califfato globale, un impero islamico governato da una versione islamista della legge islamica tradizionale, la sharia“. Anche solo il numero di volte che il termine islam e i suoi derivati sono citati in una singola frase fanno pensare alla mono-maniacalità, al limite dell’islamofobia, dell’autrice. In altri scritti, Lebl accusa l’Europa di essere in una fase di “esaurimento di civiltà” e di preferire l'”appeasement” con gli islamisti.

Nel 2008 Lebl redigeva d’altronde una critica positiva di altri due libri sul “pericolo islamico” in Bosnia, di Chris Deliso e John R. Schindler, considerati di nessun valore scientifico (qui una book review degli stessi volumi da parte di Marko A. Hoare). Anche Schindler, d’altronde, è un repubblicano conservatore, revisionista di Srebrenica, di cui contesta la scala e le modalità, scrivendo nei suoi libri (nonostante le varie sentenze di due diverse corti internazionali) che “è difficile definirlo genocidio“. Una visione contigua a quella di Efraim Zuroff, cittadino israelo-statunitense e direttore del Centro Wiesenthal di Gerusalemme, ben accolto a Belgrado per le sue posizioni revisioniste su Srebrenica, cui nega la qualifica di genocidio.

Non mancano nel report di Lebl che accusa Izetbegovic certi passaggi esilaranti, come quello (p. 40) in cui l’autrice riconosce che “il governo bosniaco ha fatto più delle sue controparti UE per combattere l’islamismo” citando la presunta crescita in varie città europee occidentali di enclavi in cui viene fatta rispettare la sharia: “al contrario i governi UE categorizzano queste aree come no-go zone e consigliano ai non musulmani di evitarle.” Una credenza ridicola ma evidentemente diffusa tra i conservatori statunitensi, come dimostra anche il caso dell'”esperto di terrorismo” Steve Emerson apparso su Fox News nel gennaio 2015, che dichiarò la stessa cosa riguardo a Birmingham attirandosi il ridicolo della rete e l’insulto del premier conservatore britannico David Cameron (“chiaramente un completo idiota“).

Esiste ancora un circolo di personalità che hanno prosperato durante il decennio bushista della “lotta al terrore” e che oggi speculano sul “pericolo islamista” nei Balcani e in Europa, riprendendo talvolta i tòpoi della pubblicistica serba degli anni ’80-’90 e vivendo di tale allarmismo. Conoscerli e riconoscerli è importante, per i mezzi d’informazione, per sapere con chi si ha a che fare.

Foto: Bob, Flickr

Chi è Davide Denti

Dottore di ricerca in Studi Internazionali presso l’Università di Trento, si occupa di integrazione europea dei Balcani occidentali, specialmente Bosnia-Erzegovina.

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