ASIA CENTRALE: Le conseguenze del ritiro americano dall'Afghanistan

Riportando tutto a casa è il titolo di uno dei primi e più toccanti album dei Modena City Ramblers, una band che si autodefinisce combat folk, ma anche quello che l‘esercito statunitense si sta apprestando a fare in Afghanistan. E’ infatti ufficiale, almeno stando a quanto dichiarato da Barack Obama, che gli USA lasceranno il suolo afghano nel 2014; è anzi notizia recente che il Segretario alla difesa statunitense Leon Panetta nel quadro di una ricerca di accordi con i Talibani abbia anticipato la data del ritiro di un anno.

Ma se arrivare in Afghanistan è stato (relativamente) facile lasciare il paese non lo sarà altrettanto. Agli USA si impone infatti un problema logistico, come tornare a casa? E che farne di tutto il materiale bellico? La domanda appare forse banale ma la ricerca di una risposta ha profondissime implicazioni geopolitiche in Asia Centrale.

Infatti il ritiro dell’esercito statunitense, abbandonando di fatto l’Afghanistan a sè stesso, da un lato lascia un enorme “buco nero” in una delle aree al momento più strategiche del pianeta, dall’altro impone di stringere accordi con i paesi confinanti con l’Afghanistan per trovare vie che permettano il ritorno in patria.

Relativamente al primo punto non è un caso che al recente vertice della SCO (Shanghai Cooperation Organisation) l’Afghanistan sia stato ammesso come paese osservatore come non è un caso l’intensificarsi delle relazioni tra Afghanistan e paesi centroasiatici: il Kirghizistan ha appena firmato un accordo con Kabul per l’esportazione di petrolio e derivati, non vendibili nel mercato domestico per problematiche legati a standard di qualita’, mentre il Ministro degli Esteri kazako, Yerzhan Kazykhanov, si è recentemente incontrato con il Presidente afghano Hamid Karzai, intavolando discussioni ad ampio raggio su futuri accordi commerciali e possibili sfere d’investimento kazako in Afghanistan.

Per quanto riguarda invece le relazioni tra USA e paesi centroasiatici va sottolineato come gli Stati Uniti stiano tentando di mettere a punto una serie di trattati, mediante la NATO, con i paesi della regione per permettere il passaggio delle proprie truppe una volta lasciato l’Afghanistan; accordi che tuttavia esistono già relativamente al diritto di passaggio per materiale civile.

Gli americani infatti sono alle prese anche con la questione di come gestire il proprio patrimonio bellico una volta intrapresa la loro personale anabasi. Le cifre redatte dagli analisti parlano di beni per un valore 60 miliardi di dollari: dagli armamenti alle vettovaglie passando per vestiario e logistica, decisamente una cifra importante che certo l’esercito afghano non sarà in grado di assorbire e che rischia di alimentare un florido mercato nero con conseguenze non immaginabili.

Accordi sono in corso di definizione con Kazakistan, Uzbekistan e Tagikistan (mentre sono gia’ stati ufficialmente siglati con il Kirghizistan) e rischiano di avere un vero e proprio effetto destabilizzante sulla regione: paesi come Uzbekistan e Tagikistan sono stati attori protagonisti del conflitto afghano, anche su fronti contrapposti, ed il ritiro americano potrebbe portare allo scoppio di nuove tensioni. Altro fattore da valutare sara’ l’uso delle basi che gli americani hanno in Asia Centrale, come la base di Manas, da sempre vero e proprio termometro dello stato delle relazioni americane-khirghise, il cui uso viene da tempo revocato e concesso a seconda dello stato del rapporto tra i due paesi.

Ma all’interno dell’amministrazione Obama non tutti concordano sul percorso settentrionale, che prevede addirittura il passaggio in territorio russo, e insistono per un miglioramento dei rapporti con il Pachistan preferendo una via verso il mare attraverso la regione di Karachi, ma le relazioni tra USA e Pakistan restano tese dopo l’incidente del novembre 2011 in cui persero la vita 24 militari pachistani.

Sia che gli americani decidano di tornare in patria definitivamente sia che scelgano di costruire “teste di ponte” in Asia Centrale il rischio di una destabilizzazione della regione sembra davvero alto.

Chi è Pietro Acquistapace

Laureato in storia, bibliofilo, blogger e appassionato di geopolitica, scrive per East Journal di Asia Centrale. Da sempre controcorrente, durante la pandemia è diventato accompagnatore turistico. Viaggia da anni tra Europa ed Asia alla ricerca di storie e contatti locali. Scrive contenuti per un'infinità di siti e per il suo blog Farfalle e Trincee. Costantemente in fuga, lo fregano i sentimenti.

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2 commenti

  1. Bonaiti Emilio

    Sarebbe estremamente interessante sapere come si sono regolati in Irak. Personalmente ritengo che il ritiro americano avrà come conseguenza il ritorno dei Talebani. Rivedremo in TV austeri, barbuti guerriglieri che bacchetteranno sul sedere giovani donne che hanno osato mettersi lo smalto sulle unghie dei piedi. Le bacchettate solleveranno il giusto sdegno di esponenti dei gruppi democratici eurpei che tuoneranno: “Ma che cosa fa l’Europa?”.

  2. Salve Sig. Emilio, in effetti i Talebani controllano ancora ampie zone del paese e la ricerca di accordi con loro e’ al centro della politica americana in Afghanistan. Il problema afghano e’ che tocca anche gli equilibri interni Pakistani. I Talebani sono profondamente legati ai serivzi segreti ed all’esercito pakistano, che non vedono molto bene gl USA. I rapporti USA/Pakistan sono pessimi. Al punto da far cercare una “rotta nord” che risulta una vera e propria sfida alla Russia.
    L’amministazione americana e’ divisa e la ricomparsa dei Talebani, seguita da forti scossoni in Pakistan, e’ possibile.

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