UCRAINA: Al Bano e Toto Cutugno sono spie di Mosca? Quando manca la felicità

Una lunga fila di auto in coda alla frontiera, sole che riarde il metallo, grasse guardie di confine grondano sudore dai larghi cappelli mentre, ciondolando, fingono di controllare i documenti. Ogni tanto un intoppo, ma finto, giusto per far sembrare che stanno lavorando: l’auto da accostare, un timbro da apporre a non si sa bene quale foglio, assolutamente inventato. Le ore si allungano, il timbro non arriva. Cercare quello col cappello più grosso, chiedere ragioni. Lui ci vede e grugnisce, poi si accorge: italiani! Sì, italiani. Tutti a braccetto con la guardia obesa si passa il confine turco e si entra in Bulgaria cantando “Italiano vero” e “Felicità”. La canzone italiana, passaporto per il mondo.

Specialmente per l’Europa orientale. Dove la passione per Toto Cutugno, Pupo, Celentano e Al Bano risale ai tempi scuri della dittatura comunista quando l’occidente era una chimera, un sogno lontano, proibito, ma Sanremo si riusciva a vederlo in Eurovisione anche dagli squallidi appartamenti di Varsavia. E c’era una ragazza, anni fa, con cui condividere anni di liceo e qualcosa dopo, a raccontarmi che quando è nata in Polonia correva l’anno 1983, c’era il coprifuoco e Jaruzelski aveva proclamato lo stato d’assedio. La città sotto il tallone del regime, i negozi vuoti, non un sollievo, ma tutti cantavano a memoria “Felicità”, senza capire un’acca di quel che dicevano, trovando tuttavia quel poco di gioia di vivere che una canzone può comunque dare. Quella canzone, davvero, era il passaporto per qualche minuto di libertà.

La “felicità” che Al Bano ha regalato nei momenti bui del sovietismo non è stata dimenticata. Ancora la voce di Cellino San Marco echeggia nei palazzetti incontrando successi che l’Italia è più avida a regalargli. In Russia è un idolo popolare, come lo è Toto Cutugno, simbolo di un’italianità che, da quelle parti, è una romantica idea di sole e bellezza.

I due alfieri del bel canto hanno sempre ricambiato l’amore, forse troppo, spingendosi a dichiarare la propria ammirazione incondizionata per il presidente russo, Vladimir Putin. Nulla di male, ma ultimamente l’inquilino del Cremlino non è molto amato all’estero e, per la proprietà transitiva, anche i suoi sostenitori non sono apprezzati. E poi c’è la guerra, che certo non rende lungimiranti i governi, che semina rancori e paure. In Ucraina, c’è la guerra. Una guerra portata dai russi con l’occupazione illegale della Crimea, prima, e il sostegno dei separatisti in Donbass, poi.

Certo i servizi segreti ucraini potrebbero spendere meglio il proprio tempo, ma pare che abbiano individuato nei nostri due cantanti delle pericolose “spie” di Mosca, non più ambasciatori dell’italianità ma agitatori del Cremlino, inserendoli in una lista nera di persone non gradite nel paese. Stando a quanto riferito all’ANSA, un gruppo di deputati ucraini ha chiesto allo Sbu, il servizio segreto ucraino, di utilizzare misure preventive verso i due cantanti, impedendo loro l’ingresso nel territorio ucraino. Una decisione motivata dal fatto che Cutugno e Al Bano sarebbero membri di una associazione propagandistica russa, gli “Amici di Putin”, e avrebbero rilasciato dichiarazioni a favore dell’annessione della Crimea alla Russia.

La decisione ucraina, se da un lato conferma la popolarità dei due cantanti in quella parte d’Europa, dall’altra mostra quanto disperata sia la situazione a Kiev. Appare infatti improbabile che Al Bano e Toto Cutugno siano “spie del Cremlino”, mentre è evidente lo smarrimento di una classe politica, e in fondo di un paese, che da quattro anni affronta una guerra che non può combattere né vincere. A Kiev ci sono reduci, persone mutilate nel corpo e nella mente. A Kiev c’è l’angoscia di un conflitto aperto che rende impossibile qualsiasi sviluppo in senso democratico del paese: la guerra, in fondo, fa comodo anche agli oligarchi al potere, diversi ma uguali a quelli di prima, sempre impegnati a gestire i propri affari prima che pensare al benessere del paese. Ed ecco che anche Al Bano e Toto Cutugno diventano utili a distogliere l’attenzione dei cittadini dai problemi veri, specialmente in vista delle imminenti elezioni. L’oscurità del presente pare infatti essere tanto buia da non potersi più squarciare con una canzone e agli ucraini, per la felicità, non basteranno un panino e un bicchiere di vino.

 

 

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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