UCRAINA: Le elezioni presidenziali e la guerra di tutti contro tutti

Le elezioni presidenziali che si terranno a fine marzo sono viste da molti come un passo cruciale per il paese. I candidati principali rimangono, secondo i recenti sondaggi, divisi da pochi voti (ulteriori dettagli sui candidati qui). Sebbene sia ad oggi difficile prevedere in che direzione virerà l’Ucraina, il recente scandalo che coinvolge persone molto vicine all’attuale presidente, Petro Porošenko, avrà probabilmente l’effetto di mescolare ulteriormente le carte. Non solo dal punto di vista elettorale, ma soprattutto negli schieramenti informali intorno ai principali candidati.

Corruzione…ancora

A finire nella bufera è stavolta la compagnia statale che si occupa di attrezzatura militare ed equipaggiamento delle forze armate, UkrOboronProm. Secondo il lavoro investigativo svolto dai giornalisti di “Nashi Groshi” ed uscito in tre puntate, la compagnia statale avrebbe usato compagnie terze per mascherare l’acquisto di parti di ricambio per mezzi militari dalla Russia. Niente di particolarmente significativo, se non si considerasse il fatto che dallo scoppio del conflitto in Donbass nel 2014 Kiev ha ufficialmente interrotto ogni tipo di cooperazione con il “paese aggressore” nella sfera militare.

I dettagli messi a nudo dai giornalisti, però, sembrano andare ben oltre. Quello che rappresenta il vero fulcro dello scandalo infatti è il fatto che UkrOboronProm si sarebbe servita di queste compagnie terze, ed in alcuni casi fittizie, per inflazionare il prezzo d’acquisto finale. Lo schema appare piuttosto semplice. UkrOboronProm acquista materiale bellico da ‘compagnie amiche’ che, a loro volta, acquistano le stesse componenti in Russia. Il problema sta nel fatto che il prezzo finale, quello pagato da UkrOboronProm, è tra le 3 e le 7 volte più alto rispetto a quello di mercato. In quali tasche vada a finire la differenza non è difficile immaginare.

Così, a finire sotto accusa sono – verrebbe da dire di nuovo – uomini vicini al presidente Porošenko. Uno dei coordinatori dello schema sarebbe, infatti, il vice presidente del Consiglio di Sicurezza e Difesa Nazionale, Oleg Gladkovskij (immediatamente licenziato in seguito allo scandalo), mentre suo figlio, Igor, sarebbe il dirigente di una delle compagnie intermediarie. Ma non solo. Il tutto, sempre secondo la ricostruzione dei giornalisti, sarebbe stato noto da tempo al procuratore generale (alleato di Porošenko) e al Bureau Anti-Corruzione (NABU), che avrebbero esercitato pressioni per chiudere una serie di casi che puntavano il dito contro Gladkovskij, padre e figlio. E pensare che lo slogan di Porošenko è proprio “Esercito, Lingua, Fede”!

Pronti ad abbandonare la nave

Bisogna essere degli eterni ottimisti per non inquadrare il recente scandalo nel più ampio contesto della lunghissima campagna elettorale e dei vari schieramenti che si stanno formando intorno ai possibili vincitori della corsa. In molti tra i pesi massimi, si vocifera, sono pronti ad abbandonare (o lo hanno già fatto) il presidente uscente per salire sul carro di Julija Tymošenko o su quello di Volodymyr Zelenskyj, i principali candidati per la presidenza. Tra questi le figure più importanti sono quelle del ministro degli Interni Arsen Avakov e Anatolii Matios, che siede a capo della Procura militare.

Avakov, il ministro che controlla le forze di polizia e che gode di un’importante influenza sugli ambienti di estrema destra sembra ai ferri corti con Porošenko. Non solo perché si è informalmente dissociato dal presidente mettendo il veto sulla sua partecipazione al congresso del Fronte Popolare (partito del quale Avakov è uno dei leader), ma soprattutto perché continua a usare parole durissime contro l’attuale amministrazione, accusando di fatto Porošenko di preparare massicce falsificazioni ed ingerenze immediatamente prima e durante il voto.

L’estrema destra al servizio dei poteri forti

La linea di frattura che sembra delinearsi, però, non è solo tra personalità, ma piuttosto, come spesso accade in Ucraina, tra le istituzioni sotto il loro controllo. Servizi di sicurezza (SBU) da una parte – sotto controllo dell’amministrazione presidenziale – e le forze di polizia e del ministero degli Interni che rimangono fedeli ad Avakov.

Un chiaro e preoccupante sintomo della situazione è la spaccatura nel mondo dell’estrema destra. Se da una parte alcuni gruppi, C14 su tutti (quelli degli agguati e pestaggi ai campi rom a Kiev e Lviv, tra le altre cose), rimangono in stretto contatto con l’SBU e sotto l’ala del presidente, altri come il Corpo Nazionale (Nacional’nyj korpus), ala politica del famoso battaglione Azov, sembrano più propensi a rimanere fedeli al ministro degli Interni, uno dei loro principali sponsor politici.

Si spiega così il fatto che proprio i membri di C14 abbiano concentrato la loro attività contro i principali oppositori di Poroshenko, Julija Tymošenko in primis, interrompendo con la forza in svariate occasioni la sua campagna elettorale. Opposta la posizione del Corpo Nazionale che ha recentemente rotto i contatti con i ‘colleghi nazionalisti’, sfruttando la scandalo di UkrOboronProm per uscire allo scoperto. Il climax è stato raggiunto qualche giorno fa, quando i membri del Corpo Nazionale hanno prima bloccato l’amministrazione presidenziale e poi interrotto violentemente un meeting del presidente nella cittadina di Čerkasy, costringendolo alla fuga.

Il paradosso è che anche in questo caso l’arma scelta da Porošenko, oltre ai Servizi di Sicurezza cha hanno inserito prontamente nella lista nera alcuni membri del Corpo Nazionale, è il consueto appello alla ‘mano del Cremlino’. È stata proprio questa l’accusa lanciata dall’amministrazione presidenziale ai danni del Corpo Nazionale. Anche loro ora sono agenti di Mosca. Nulla di nuovo.

Sullo sfondo di queste trame politiche rimangono i problemi irrisolti e un’incertezza che nelle poche settimane che ci separano dal voto rischia di trasformarsi in una guerra di tutti contro tutti. L’unica costante sembra rappresentata dal fatto che chiunque diventi il futuro presidente dovrà assicurarsi il supporto dei soliti oligarchi e delle figure politiche che negli ultimi anni si sono garantiti il controllo di istituzioni chiave, come il ministero degli Interni.

Foto: Reuters/Gleb Garanich

Chi è Oleksiy Bondarenko

Nato a Kiev nel 1987. Laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l'Università di Bologna (sede di Forlì), si interessa di Ucraina, Russia, Asia Centrale e dello spazio post-sovietico più in generale. Attualmente sta svolgendo un dottorato di ricerca in politiche comparate presso la University of Kent (UK) dove svolge anche il ruolo di Assistant lecturer. Il focus della sua ricerca è l’interazione tra federalismo e regionalismo in Russia. Per East Journal si occupa di Ucraina e Russia. Collabora anche con Osservatorio Balcani e Caucaso.

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