UNGHERIA: L’accusa a Bruxelles che sa di propaganda

Nelle ultime settimane, il governo ungherese ha iniziato la campagna elettorale per le elezioni europee all’insegna dell’euroscetticismo. Infatti, in una serie di manifesti in giro per le strade di Budapest sono stati ritratti il filantropo George Soros e il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker affiancati dalla frase: “Avete il diritto di sapere cosa Bruxelles sta pensando di fare”.

La débâcle

Sulla propria pagina Facebook, il governo ungherese ha spiegato di voler informare i propri cittadini rispetto a un presunto piano di immigrazione voluto da Bruxelles per mettere a rischio la sicurezza dell’Ungheria. Se in principio non era chiaro quale fosse questo “piano” a cui si riferiva il governo, successivamente si è capito che le accuse si riferivano al sistema della carta blu per concedere visti a lavoratori specializzati extra-europei. Il sistema prende spunto dalla carta verde statunitense, ma resta al paese membro la possibilità di decidere se e quante carte blu concedere.

Il portavoce di Juncker, Margaritis Schinas ha risposto alle accuse sostenendo che: “Sia scioccante come teorie del complotto così assurde abbiano potuto diffondersi fino a raggiungere i principali canali d’informazione. Non c’è cospirazione. Gli ungheresi meritano di avere fatti, non finzione.” Dopo un botta e risposta con la Commissione, il governo ungherese ha dichiarato che ritirerà i cartelloni il 15 marzo.

Ciononostante, il 19 febbraio la Commissione ha pubblicato un documento informativo con il quale ha voluto rispondere punto per punto alle accuse del governo a guida Fidesz:

Accusa: “Vogliono introdurre quote di ricollocamento obbligatorie”. Risposta: “Le quote di ricollocamento sono rimaste in vigore per due anni al picco della crisi migratoria e l’Ungheria non ha mai ottemperato all’impegno. Accettare migranti avviene su base volontaria.

Accusa: “Vogliono indebolire il diritto degli Stati membri di difendere i propri confini”. Risposta: “Dal 2016 la Commissione ha messo a disposizione degli Stati membri 10.000 guardie di confine”.

Accusa: “Vogliono facilitare l’immigrazione introducendo visti migratori”. Risposta: “Né la Commissione né gli Stati membri hanno intenzione di proporre visti umanitari”.

Accusa: “Vogliono dare denaro alle organizzazioni che supportano la migrazione”. Risposta: “La Commissione combatte il traffico di persone e lavora con agenzie non-governative per salvare i rifugiati dal traffico illegale di persone”.

Accusa: “Vogliono assistere la migrazione fornendo carte prepagate”. Risposta: “Le carte prepagate sono destinate a rifugiati già presenti sul territorio greco. Questa norma è stata pensata per assistere gli Stati membri”.

Il teatro dell’assurdo

La vicenda è sintomo di un grave problema. Il governo di Viktor Orbán ha fatto consapevolmente disinformazione, camuffando la realtà per guadagnarsi la fiducia dell’elettorato. Per quanto ironico possa suonare, in un circolo vizioso di paura, Orbán teme che se i cittadini ungheresi smettessero di aver paura di un’invasione di migranti non lo rivoterebbero. Ogni politico racconta i fatti dal proprio punto di vista, ma finanziare campagne elettorali che trasformano o inventano fatti è molto più grave. Tanto più se queste campagne elettorali sono finanziate con i soldi dei cittadini. Secondo un’indagine di Atlatszo, dal 2010 il governo ha speso 216 milioni di euro in propaganda, e la cifra è aumentata progressivamente ogni anno.

In un racconto che ha dell’assurdo c’è una certa coerenza. Il governo ungherese, a guida Fidesz, fa campagna elettorale contro Juncker, leader del Partito Popolare Europeo di cui lo stesso Fidesz fa parte. D’altro canto, Orbán si è fatto eleggere democraticamente per uccidere la democrazia.

Foto tratta dalla pagina Facebook del governo ungherese

Chi è Gian Marco Moisé

Dottorando alla scuola di Law and Government della Dublin City University, ha conseguito una magistrale in ricerca e studi interdisciplinari sull'Europa orientale e un master di secondo livello in diritti umani nei Balcani occidentali. Ha vissuto a Dublino, Budapest, Sarajevo e Pristina. Parla inglese e francese, e di se stesso in terza persona.

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