Speciale “Ebrei in Polonia”: I primi anni dell’indipendenza

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La questione della convivenza tra la minoranza ebraica e gli altri cittadini polacchi nella Polonia indipendente sorta l’11 novembre 1918, alla fine della prima guerra mondiale, e durata fino all’invasione nazista il 1° settembre 1939, ritorna ciclicamente all’attenzione degli storici. In particolare oggi, mentre le destre moderate ed estreme riprendono forza, anche se non piena legittimazione, in gran parte dell’Europa Centro-orientale, pare opportuno e importante ripercorrere gli anni della Polonia tra le due guerre.

Lo stato appena sorto ricevette la denominazione di Seconda Repubblica di Polonia, in quanto con la Prima ci si riferiva alla federazione, culla del parlamentarismo e della democrazia nobiliare, nata dall’Unione della Corona di Polonia con il Granducato di Lituania attorno al 1400 e protrattasi fino alle spartizioni del XVIII secolo. I confini del nuovo stato furono stabiliti in forma definitiva solo nel 1922, al termine delle guerre con l’Unione Sovietica, l’Ucraina e la Lituania. Nell’immediato la Repubblica ereditò amministrazioni, leggi e valute dei tre Imperi, asburgico, russo e prussiano, che si erano spartiti i territori polacchi per più di cento anni. Queste differenti normative rallentarono per i primi tempi il dispiegarsi in Polonia di un’autentica indipendenza politica e amministrativa.

La giovane Repubblica, guidata dal capo dello Stato, il generale Józef Piłsudski, e sostenuta dalla Costituzione del 1921, era sostanzialmente democratica e garantiva, anche in ossequio alla firma dei Trattati di pace che contenevano un paragrafo sulla protezione delle minoranze, l’effettiva uguaglianza tra tutti i cittadini: polacchi, che costituivano circa il 69% dell’intera popolazione, lituani, ucraini, tedeschi, ebrei e bielorussi.

Nel progetto politico di Piłsudski era prevista la ricostituzione della federazione polacco-lituana, ma le sue aspirazioni durarono lo spazio di un mattino poiché si scontrarono immediatamente con le aspirazioni nazionaliste di molti ucraini e lituani, anch’essi affascinati dal mito nazionale che la fine della grande guerra e lo scioglimento degli imperi avevano portato con sé. In questa prospettiva si inseriva anche il Partito Nazional-democratico, Narodowa Demokracja, conosciuto con l’abbreviazione derivata dalle due iniziali ND – Endecja, guidato da Roman Dmowski e vincitore delle elezioni del 1922, che perseguiva l’idea di uno stato limitato ai territori abitati in maggioranza da polacchi e che vedeva nei gruppi minoritari potenziali “minacce” allo stato. Questa vittoria e l’infrangersi del suo sogno federale condussero Piłsudski alle dimissioni e al ritiro a vita privata.

Nella visione politica di Endecja gli ebrei erano considerati una minoranza sui generis e più problematica rispetto alle altre, che non aveva aspirazioni territoriali, era estremamente variegata anche al suo interno ed era soggetta a un antico quanto persistente pregiudizio di matrice religiosa. Per nulla omogenea, la minoranza sfuggiva a definizioni univoche e non concedeva spazio ad atteggiamenti uniformi né a categorizzazioni rassicuranti.

Nelle grandi città gli ebrei rappresentavano un terzo della popolazione, mentre erano molto pochi nella parte occidentale del paese; nella zona orientale erano perlopiù poveri, dediti al piccolo commercio, ma, allo stesso tempo, non mancavano figure di grandi imprenditori e proprietari di fabbriche. Erano sicuramente numerosi, nel 1921 arrivavano ai 2,8 milioni e rappresentavano il 10,5% della popolazione, dieci anni dopo erano arrivati alla cifra di 3,4 milioni, ma rappresentavano solo il 9,7% della popolazione. Si può dire che il 10% di loro fosse totalmente assimilato, non senza la dimostrazione di un certo disprezzo da parte dei correligionari osservanti. Le relazioni tra ebrei e cittadini polacchi non ebrei erano molto variegate: a rapporti formali e lavorativi si affiancavano amicizie profonde e matrimoni misti, in altri casi tra i due gruppi non intercorreva alcuna relazione, soprattutto fra quegli ebrei, già sudditi russi e austriaci, che parlavano prevalentemente in yiddish e non conoscevano alcuna parola di polacco. Alcuni ebrei erano sostenitori della Polonia indipendente, per altri era del tutto irrilevante, altri ancora, soprattutto i comunisti, si dichiaravano a essa ostili, ma solo in quanto la vedevano come ostacolo alla rivoluzione mondiale. In sostanza non c’erano grandi differenze tra polacchi ed ebrei per quanto riguardava il pluralismo politico. Gli ebrei inoltre partecipavano attivamente alla vita del loro paese: nel 1922 in parlamento sedevano 35 deputati ebrei, suddivisi in ben sette gruppi.

Le organizzazioni politiche erano, infatti, numerose ed esprimevano punti di vista differenti, quando non addirittura contrastanti. Due di esse erano state fondate a Vilna (l’attuale Vilnius) prima della guerra: il Bund nel 1897, partito social-democratico, non sionista, nettamente di sinistra, e Mizrachi, partito sionista religioso nel 1902. Gli altri erano: Poalei Zion (Partito dei lavoratori di Sion), di sinistra e sionista, di cui faceva parte David Ben-Gurion, futuro primo ministro di Israele; Agudat Israel (Unione di Israele), partito conservatore, ortodosso, leale allo stato polacco e organizzato nella federazione mondiale denominata Unione israelitica, e, infine, il Partito dei Sionisti Generali, di tendenze secolari. Le differenze più evidenti riguardavano sostanzialmente l’aderenza religiosa e il rapporto con il sionismo, differenze che talvolta sfociarono anche in aperta rivalità.

In ogni caso, durante i primi anni della Seconda Repubblica, gli ebrei godettero di una sostanziale uguaglianza con i cittadini polacchi e le altre minoranze, se si esclude qualche episodio di intolleranza e alcune restrizioni contro di essi, transitate nella Polonia indipendente quali residui delle normative prussiane, austro-ungariche e russe e rimaste in vigore soprattutto per motivi burocratici. Infatti, sebbene la Costituzione all’art. 96 affermasse che “Tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge”, l’art. 126 stabiliva che tutte le leggi in contraddizione con la Costituzione medesima avrebbero dovuto essere rimosse dal Parlamento, i cui lunghi tempi di lavoro non permisero di eliminarle se non nel 1931.

Così, nei territori che erano stati sottomessi all’Impero russo agli ebrei per lungo tempo furono preclusi alcuni posti pubblici e l’accesso ad alcuni istituti scolastici, mentre in quelli sottoposti all’Impero Austro-ungarico fu vietato l’uso dell’yiddish negli incontri pubblici. Inoltre la sottoscrizione del Trattato sulle minoranze garantiva agli ebrei il riposo al sabato, ma una legge del 1919 aveva definito la domenica come giorno di riposo obbligatorio, ad eccezione che per centrali elettriche, hotel, ristoranti e realtà analoghe. Di conseguenza gli ebrei osservanti erano tenuti a chiudere le proprie attività commerciali per due giorni consecutivi. D’altra parte, sebbene l’yiddish e l’ebraico non fossero riconosciute come lingue ufficiali della Repubblica, nella maggior parte del territorio potevano essere usate liberamente e gli ebrei avevano il diritto di gestire proprie organizzazioni politiche, culturali, economiche, religiose e scolastiche. La cittadinanza polacca era garantita a tutti gli ebrei che vivevano in Polonia e ai membri delle comunità ebraico-polacche residenti all’estero. Molti di questi ultimi, proprio in quegli anni, chiesero e ottennero la cittadinanza.

Per quanto riguarda gli episodi di intolleranza, va segnalato in particolare nel 1921 la prima introduzione del numero chiuso per gli studenti ebrei presso le Facoltà di legge e di medicina di Leopoli (l’attuale L’viv). La restrizione venne introdotta su iniziativa arbitraria del rettore, poi costretto a ritirarla per ordine del Ministero dell’istruzione in quanto in palese violazione della Costituzione. Iniziative analoghe, in realtà, si ripeteranno tra il 1924 e il 1925 presso diverse università, forti dell’autonomia gestionale che le contraddistingueva, ma non si trasformeranno mai in legge. L’ostilità verso gli studenti ebrei fu però spesso molto diffusa e insidiosa tanto da rappresentare una sorta di selezione informale: se nel 1924 gli studenti universitari ebrei rappresentavano il 21% della totalità degli iscritti, nel 1934 erano solo più il 9%.

IMMAGINE: Yivo Digital Archive on Jewish life in Poland

Chi è Donatella Sasso

Laureata in Filosofia con indirizzo storico presso l’Università di Torino. Dal 2007 svolge attività di ricerca e coordinamento culturale presso l’Istituto di studi storici Gaetano Salvemini di Torino. Iscritta dal 2011 all’ordine dei giornalisti. Nel 2014, insieme a Krystyna Jaworska, ha curato la mostra Solidarność nei documenti della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli di Milano. Alcune fra le sue ultime pubblicazioni sono: "La guerra in Bosnia in P. Barberis" (a cura di), "Il filo di Arianna" (Mercurio 2009); "Milena, la terribile ragazza di Praga" (Effatà 2014); "A fianco di Solidarność. L’attività di sostegno al sindacato polacco nel Nord Italia" (1981-1989), «Quaderni della Fondazione Romana Marchesa J.S. Umiastowska», vol. XII, 2014.

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2 commenti

  1. Se ben ricordo, Pilsudski fu un democratico e liberale in senso autoritario (ossimoro). Svolse sun ruolo e una politica abbastanza agressivi nel tentativo di difendere l’identità politico nazionale propriamente polacca, tanto che nel periodo tra le due guerre i vicini si sentirono poco propensi a buoni rapporti di vicinato con la nuova entità statale polacca.
    Sbaglio?

    • Donatella Sasso

      Gentile Paolo,
      innanzi tutto grazie per il tuo commento. Effettivamente è come dici tu, nei prossimi articoli previsti sul tema la questione sarà meglio eviscerata, qui mi premeva soprattutto mettere in evidenza la relazione con la minoranza polacca.

      Grazie ancora, a presto

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