GEORGIA: La scuola musulmana che nessuno vuole

C’è una scuola a Kobuleti, cittadina sulla costa del mar Nero, nella regione dell’Agiaria, dove i bambini diventano vittime dell’odio degli adulti. Si tratta di una scuola musulmana che da anni è presa di mira da chi, i musulmani, non li vuole. E cosa c’è di meglio che sfogare la propria intolleranza su una scuola? Così, nel 2014, una testa di maiale fu appesa alla porta di ingresso dell’istituto. Che bella trovata! Molto originale! Alla politica non dispiacque e infatti non fece nulla. Un silenzio che fece comprendere come l’odio potesse agire impunemente trovando persino delle sponde nelle istituzioni locali. A quell’evento seguirono episodi di violenza e aggressioni ai danni di persone musulmane senza che la politica intervenisse. Anzi, nel 2016 il sindaco assestò un altro colpo decidendo di chiudere l’acqua alla scuola. Ovviamente nessuno disse nulla. Senz’acqua da dare da bere ai bambini, senza possibilità di fruire dei bagni, la scuola chiuse i battenti.

Ma, anche in Georgia, c’è una legge contro le discriminazioni e ci sono giudici per farla rispettare. Come riportato da OC Media, la corte di Batumi, principale città della regione, ha intimato all’azienda municipalizzata delle acque di ricominciare ad erogare il servizio.

Giustizia è fatta. E invece no. Il sindaco ha detto di non poter obbedire alla legge perché “la popolazione è contraria”. Quella stessa popolazione che ha appeso una testa di maiale sulla porta della scuola, che si è sentita libera di agire perché la politica, tacendo, acconsentiva, e che oggi diventa squallida giustificazione per proseguire impunemente a discriminare una minoranza.

I problemi della comunità musulmana

I problemi per la comunità musulmana locale non sono cominciati nel 2014. Da tempo gruppi di fondamentalisti cristiano-ortodossi compivano incursioni danneggiando le proprietà e le istituzioni musulmane. Secondo una relazione redatta dall’ufficio del pubblico ministero che si è occupato del caso di Kobuleti, le violenze contro le minoranze religiose e i crimini connessi sono un problema diffuso che non viene adeguatamente contrastato dalle autorità. Come ricordato da OC Media, nella stessa regione, nel 2016, gruppi di fondamentalisti cristiani hanno manifestato contro l’apertura di un cimitero musulmano presso il villaggio di Adigeni accoltellando tre persone musulmane locali. Le violenze contro la comunità islamica vengono tollerate dalle istituzioni e spesso le vittime non denunciano per timore di rappresaglie.

Un atteggiamento che trova nella politica locale e nazionale appoggio e legittimazione. I beni immobili della comunità musulmana, ad esempio, subiscono una tassazione diversa rispetto a quelli di proprietà della chiesa ortodossa. Una discriminazione fiscale giudicata incostituzionale dalla Corte costituzionale georgiana. Dall’inizio degli anni Novanta, con la ritrovata indipendenza, la Georgia ha assistito al sorgere di un nazionalismo che ha rovesciato sulle minoranze interne il proprio carico di intolleranza. La guerra civile (1991-1993) e i successivi conflitti con le repubbliche separatiste sono il risultato di una malintesa identità georgiana che vede nella religione un’elemento forte di aggregazione.

Una regione dalla storia particolare

L’Agiaria è una regione dalla storia particolare. Dopo essere stata parte dell’impero ottomano, è poi diventata una Repubblica socialista autonoma in seno all’URSS finché, nel 1991, con il collasso dell’ordine sovietico, ha rivendicato (e ottenuto) una nuova autonomia regionale. Padrone dell’Agiaria è stato, da allora, Aslan Abashidze che ha forzato l’autonomia fino a trasformare la regione in una sorta di feudo personale, sottratto al controllo di Tbilisi e dotato di proprie forze armate. Lo scontro con Tbilisi si acuì nel 2004, allorché l’allora presidente Saakashvili – deciso a riportare la regione sotto il controllo centrale – diede un ultimatum ad Abashidze che, smobilitato l’esercito locale, accettò di dimettersi.

L’autonomia della regione si deve, fin dall’epoca sovietica, proprio alla presenza di una numerosa minoranza musulmana (addirittura il 50% della popolazione nel 1991). Oggi, anche a seguito di una massiccia opera di “ortodossizzazione” della società, la comunità musulmana dell’Agiaria rappresenta il 30% circa della popolazione. Si tratta di una comunità antica, risalente a quando la regione era parte dell’impero ottomano e parte della popolazione si convertì all’Islam. Stiamo quindi parlando di georgiani musulmani, non di gruppi etnici in qualche modo “estranei” alla famiglia kartvelica (cioè, appunto, georgiana). Questo rende la discriminazione se possibile ancor più grave in quanto non si motiva con la perniciosa idea della difesa dell’identità nazionale da una supposta invasione islamica – come avviene in Europa – ma è il risultato di una volontà di ‘pulizia’ interna. Uno scenario non dissimile da quello che alimentò le guerre jugoslave nei primi anni Novanta.

Intanto la scuola di Kobuleti, senz’acqua e presa di mira dal fanatismo religioso e dall’ignoranza nazionalista, rimane ancora chiusa e senza giustizia.

 

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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