Foto RFE/RL

BALCANI: Tra aggressioni e minacce, la libertà di stampa è in pericolo

Giornalisti sottoposti a pressioni continue per limitarne l’indipendenza, giornalisti oggetto d’intimidazioni e minacce quotidiane, giornalisti come “obiettivi aperti da attaccare”: questo il clima nel quale si troverebbero a lavorare gli operatori dell’informazione in Bosnia e, più in generale, nei Balcani, secondo quanto denunciato dall’Associazione dei giornalisti di Bosnia non più tardi di un mese fa, subito dopo l’ennesimo episodio di violenza subito da un cronista.

A farne le spese, questa volta, è stato Vladimir Kovacevic, giornalista bosniaco del canale televisivo BN TV, malmenato sotto casa propria a Banja Luka. Un episodio che arriva pochi giorni dopo un’altra aggressione, questa volta “solo” verbale, ai danni di Dino Jahic, caporedattore del Centro per il giornalismo investigativo della Serbia, attaccato dal presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, con l’accusa di essere il terminale di una sedicente organizzazione finanziata dall’estero per “rovesciare i governi della regione”.

Due episodi molto diversi tra loro, dunque, ma accumunati dal fatto di colpire giornalisti scomodi, impegnati da anni con inchieste che coinvolgono i vertici politici e istituzionali dei rispettivi paesi. Non è un caso, infatti, che Kovacevic sia stato aggredito di rientro da una manifestazione organizzata per chiedere giustizia per David Dragicevic, il giovane morto nel marzo scorso a Banja Luka, ufficialmente per un incidente, più credibilmente torturato e assassinato da criminali che hanno poi goduto della copertura della polizia e delle autorità, locali e non solo. Un episodio che ha creato molto imbarazzo politico, anche ai massimi livelli. Così come non è un caso che l’attacco subito da Jahic sia giunto all’indomani della pubblicazione di un’inchiesta del Centro per il Giornalismo Investigativo di Sarajevo sul patrimonio dei politici bosniaci, incluso il presidente Dodik.

I fatti che hanno coinvolto Kovacevic e Jahic non sono isolati, purtroppo. Sarebbero almeno 40, dall’inizio dell’anno, i giornalisti oggetto di aggressioni, fisiche e non, nella sola Bosnia. In segno di protesta l’emittente televisiva BN TV ha aperto i programmi con il messaggio “chiediamo alla Polizia della Republika Srpska di trovare i colpevoli”, mentre l’associazione dei giornalisti di Bosnia ha dichiarato che nel caso in cui i colpevoli non fossero stati individuati avrebbe ritenuto “rei di questo atto criminale i più alti ufficiali delle forze dell’ordine e le istituzioni della RS”. Invano, naturalmente, perché al di là delle prese di distanza di circostanza nulla è stato fatto per assicurare i responsabili alla giustizia e quella dell’impunità è una costante che si ripropone sempre uguale, come rilevato da Civil Right Defender.

La pesante ingerenza governativa sui media, come quella che con ogni probabilità ha portato alla chiusura del giornale indipendente “Vranjske Novine” in Serbia, tanto per citare un caso recente, è un problema che non sembra trovare soluzione, manifestandosi con modalità che si ripetono, identiche, da paese a paese nei Balcani: dalla distribuzione arbitraria e poco trasparente dei fondi statali fino alla collocazione in posizioni chiave di personaggi vicini ai partiti di governo. Il risultato è l’allineamento dei principali media su posizioni filo governative e, conseguentemente, la scarsa pluralità dell’informazione, come dimostrato anche dall’iniqua distribuzione degli spazi televisivi assegnati ai vari leader politici.

La situazione è ulteriormente aggravata dal fatto che, oltre alla polarizzazione dell’audience su pochi (e controllati) media pubblici, il processo di privatizzazione, laddove avviato, è rimasto di fatto disatteso ed è stato portato avanti secondo meccanismi che hanno provocato non solo l’espulsione dal sistema informativo di migliaia di giornalisti, ma anche la concentrazione di molti media in poche mani. E che tali mani sono, spesso, molto vicine ai partiti al potere, col risultato paradossale di sbilanciare ulteriormente il sistema informativo.

Non deve sorprendere, pertanto, che l’ultimo rapporto di Reporters sans Frontieres (RSF) collochi i paesi dell’ex Jugoslavia a metà della classifica mondiale per la libertà di stampa e, nel caso del Montenegro, addirittura oltre il 100° posto: posizione, quest’ultima, da mettersi in relazione anche ai recenti attentati che hanno coinvolto due giornalisti impegnati nell’investigare il mondo della criminalità organizzata, Sead Sadikovic e Olivera Lakic.

Nel rapporto di RSF si evidenza, tra l’altro, come il sistema di controllo dell’informazione si eserciti, anche, in maniera più “subdola” rispetto a quella della prevaricazione fisica: contratti brevissimi e rischio continuo di licenziamento, paghe sotto i minimi sindacali e la spada di Damocle di costosissime cause legali sono utilizzati, di frequente, come strumenti efficaci per esercitare pressione, portando ad atteggiamenti di autocensura.

L’asfissiante controllo statale sull’informazione e l’ingerenza connessa a puri interessi economici sono, anche, alla base della permeabilità delle società balcaniche alle fake news, come indicato dal Media Literacy Index che anche quest’anno segnala i paesi dell’area come tra i più vulnerabili in Europa.

Un rapporto, quello tra politica e informazione, storicamente difficile, in tutti i paesi dell’area balcanica. E le proteste di piazza a Sarajevo dello scorso 28 agosto riportano alla memoria, come riaffioranti da un passato evidentemente attuale, le manifestazioni di Sarajevo del 1992 con migliaia di partecipanti che si opponevano a una legge che imponeva il controllo governativo sulla stampa. Un anno dopo Milosevic e Tudjman avrebbero avviato le “purghe” dei rispettivi sistemi informativi, con l’allontanamento di centinaia di giornalisti non vicini ai propri regimi.

Chi è Pietro Aleotti

Milanese per caso, errabondo per natura, è attualmente basato in Kazakhstan. Svariati articoli su temi ambientali, pubblicati in tutto il mondo. Collabora con East Journal da Ottobre 2018 per la redazione Balcani ma di Balcani ha scritto anche per Limes, l’Espresso e Left. E’ anche autore per il teatro: il suo monologo “Bosnia e il rinoceronte di pezza” ha vinto il premio l’Edizione 2018 ed è arrivato secondo alla XVI edizione del Premio Letterario Internazionale Lago Gerundo. Nel 2019 il suo racconto "La colazione di Alima" è stato finalista e menzione speciale al "Premio Internazionale Quasimodo". Nel 2021 il racconto "Resta, Alima - il racconto di un anno" è stato menzione di merito al Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti.

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