TURCHIA: Iran, Siria e Israele, tutti i fili di Ankara

di Silvia Padrini

Attualmente, sono due i principali attori internazionali che tentano di far pendere l’ago della bilancia verso la propria posizione nei confronti del regime siriano di Al-Assad. Turchia e Iran si stanno contendendo la posizione di protagonista nella regione, in un territorio caldissimo com’è quello di una Siria in pieno stravolgimento.

L’interventismo turco per frenare le violenze perpetrate dal regime siriano ed appoggiare l’opposizione si inserisce in contesto di pressione da più parti della comunità internazionale e nell’ampia strategia neonata all’interno della politica estera del nuovo governo Erdogan: la scarsa “socializzazione” turca nella regione mediorientale, dettata dalla forte propensione a guardare a occidente e in particolare all’UE, è oggi soppiantata dall’ambizione a diventare super-potenza regionale, obiettivo declamato come punto cardine nell’ultima campagna elettorale dell’AKP. Ankara pare disposta ad abbandonare la tradizionale politica “zero problemi con i vicini” adottata dal ministro degli esteri Ahmet Davutolu – scelta condizionata largamente dallo tsunami delle rivolte arabe che ha investito la zona e ha reso necessaria l’immediata, complessiva ridiscussione degli equilibri dell’area – per predisporre un impegno nettamente maggiore, nonché un’inedita esposizione, al fine di conquistare la posizione di leader regionale.

Ha rilievo notare come l’ascesa dell’importanza turca nell’area, con la peculiarità del crescente benchè tradizionale ruolo di ponte tra Europa e paesi arabi, stia avvenendo nella misura in cui gli Stati Uniti arretrano in punta di piedi dagli affari mediorientali. Le acrobazie diplomatiche a cui è costretta al momento Ankara implicano svariati ed eterogenei attori: il tentativo di non scontentare Europa e Stati Uniti -a maggior ragione nella delicatissima situazione attuale di rottura dei rapporti diplomatici con Israele- è contemporaneo agli sforzi per non deludere i movimenti siriani di opposizione al regime e conquistare un posto in prima fila nello scenario post-Assad; tutti questi numerosi fili sono maneggiati con la costante attenzione a non creare il nodo che potrebbe mostrarsi il più complesso da sciogliere: l’eventualità che la polarità delle posizioni turche e iraniane negli affari siriani sfoci in uno scontro aperto.

Il governo di Teheran è da lungo tempo legato a doppia corda con l’alleato siriano e non ha intenzione di rinunciare ai vantaggi che questa relazione comporta. Innanzitutto, il gigante persiano scongiura la solitudine nell’area grazie alla fratellanza religiosa con la Siria la cui elite politica è di fede sciita; inoltre, questione anch’essa ideologica ma principalmente strategica, la Siria rappresenta per l’Iran il necessario campo-base per appoggiare, finanziare ed armare il “partito di Dio” – Hizballah – nel vicino Libano.

Per questi e altri motivi, Teheran non ha digerito le ingerenze turche in Siria, arrivando ad accusare Ankara di avere fomentato le proteste contro Al-Assad, per poi mantenere buoni rapporti con il despota, portando avanti così un “doppio gioco”. Doppio gioco o necessaria prudenza diplomatica? Sta di fatto che la Turchia nel corso degli ultimi mesi ha voluto offrire inequivocabili segnali per rafforzare la propria posizione nei confronti del vicino sciita. Si è voluto sancire il sostegno turco alle opposizioni al regime siriano ospitando ad Istanbul, lo scorso giugno, la Conferenza per la liberazione nazionale della Siria. Obiettivo dell’incontro delle opposizioni era creare un governo ombra che guidi la transizione. Per quanto la frammentazione interna sia un ostacolo enorme che offusca la prospettiva di un Consiglio Nazionale di Transizione sulla falsariga di quello libico, Ankara con questo passo ha firmato il proprio pieno coinvolgimento nella politica siriana. A sottolinearlo sono anche le parole del presidente Gül, il quale ha dichiarato recentemente che Al-Assad ha “raggiunto un punto in cui qualsiasi cosa sarà troppo poco, e troppo tardi” e che ha “perso la fiducia nella Siria”.

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3 commenti

  1. Benvenuta Silvia! Un ottimo primo articolo 🙂

    Per quanto riguarda la politica estera “neo-ottomana” di Davutoglu, mi ricordo che sia arrivato a definire le rivolte in Siria come “praticamente una questione interna della Turchia”.

  2. Sullo stesso tema, è uscito un contributo interessante di Stefano Torelli su Limes:
    http://temi.repubblica.it/limes/la-turchia-sacrifica-israele/26449

    Intervistato anche a Radio Radicale, Passaggio a Sud Est
    http://www.radioradicale.it/scheda/335096

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