UCRAINA: Il presidente Porošenko chiede lo scisma della chiesa da Mosca

Da KIEV – Lo scorso 10 aprile il presidente ucraino Petro Porošenko si è rivolto al patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo, sommo capo della Chiesa ortodossa, richiedendo di concedere l’autocefalia alla Chiesa ortodossa ucraina. Alcuni sostengono che una Chiesa ucraina indipendente sia una questione di sicurezza nazionale, altri che si tratti semplicemente di una strategia politica del presidente ucraino in vista delle prossime elezioni, previste per marzo 2019. La decisione definitiva, in ogni caso, non avverrà (e se avverrà) prima di ottobre, quindi per ora il sogno di indipendenza rimane tale.

Chiesa e Stato: enti separati?

Secondo quanto riportato nell’articolo 35 della costituzione ucraina “Chiesa e organizzazioni religiose in Ucraina sono entità separate dallo stato”. Tuttavia, nonostante l’articolo stabilisca un divieto di interferenza reciproca tra Stato e Chiesa, e malgrado le critiche del Patriarcato di Mosca, la decisione del presidente è stata sostenuta dalla maggioranza della Verchovna Rada (solamente la fazione del Blocco di opposizione – ex Partito delle regioni – si è opposta).

La struttura della Chiesa ortodossa ucraina è piuttosto insolita. Nella maggior parte dei paesi ortodossi esiste, infatti, un’unica istituzione ecclesiastica di riferimento. In Ucraina, invece, i fedeli ortodossi si identificano e dividono in tre giurisdizioni: la Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Mosca (canonica, ma sotto la giurisdizione della Chiesa ortodossa russa), la Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Kiev (costituita nel 1992 e diretta da Filaret Denisenko) e la Chiesa ortodossa autocefala ucraina (che gode del numero di parrocchie minore). Delle tre, solo l’istituzione subordinata al Patriarcato di Mosca è canonica, il che significa che è in comunione con il resto delle Chiese ortodosse, mentre le due restanti sono considerate “scismatiche” dall’ortodossia, o non riconosciute.

Quella che oggi è la Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Mosca è storicamente l’erede di quella chiesa fondata a seguito dell’introduzione del cristianesimo nella Rus’ di Kiev, che lo scorso luglio ha festeggiato il 1030° anniversario del battesimo. Per l’occasione sono state organizzate due cerimonie separate: venerdì 27 luglio si è tenuta la processione dei fedeli della Chiesa del Patriarcato di Mosca, mentre sabato 28 la cerimonia ha avuto luogo presso la chiesa del Patriarcato di Kiev, dove il metropolita Filaret Denisenko ha sfilato al fianco di Petro Porošenko.

Non è una novità la reciproca influenza tra Stato e Chiesa (ricordiamo a riguardo le elezioni del 2004 sostenute da Mosca e il sostegno alla rivoluzione arancione della Chiesa ucraina). La Chiesa, inoltre, è stata un fattore chiave anche durante gli eventi di Maidan, sebbene questi si siano dimostrati all’evidenza un fenomeno politico e sociale. L’aiuto che fedeli e istituzioni hanno apportato durante la rivoluzione (sia morale, sia logistico ed economico) non è passato inosservato e proprio per questo la Chiesa è oggi fra le istituzioni sociali di cui gli ucraini si fidano di più. Anche nel caso del conflitto in corso nell’est del paese, la richiesta di autocefalia porta il suo peso: non è più solo una questione prettamente religiosa, ma un problema politico; rappresenta per lo stato ucraino un’opportunità di decolonizzazione. I politici ucraini argomentano, perciò, il bisogno di creare una chiesa unita indipendente anche per un motivo di consolidamento nazionale.

La mossa di Porošenko in vista delle presidenziali

L’iniziativa di Porošenko sembra cadere a pennello con la sua campagna elettorale e non essere una semplice coincidenza. Sebbene l’idea di riformare lo status della Chiesa ucraina fosse già sorta in seguito agli eventi di Maidan (senza tuttavia portare ad alcuna soluzione immediata), l’attuale presidente ha iniziato a muoversi proprio quando sono emerse le preoccupazioni sul suo secondo mandato: se avrà successo, probabilmente, avrà più possibilità di essere rieletto, o almeno di concorrere al fianco di Julija Tymošenko.

Stando agli ultimi dati, non più dell’8% degli elettori è pronto a votare per l’attuale capo di stato, il quale spiega questa palese interferenza dello stato negli affari della Chiesa in maniera piuttosto franca: “Non si tratta solo di religione, c’è di mezzo la geopolitica. Per me, la creazione di una Chiesa indipendente locale ha lo stesso peso della politica visa-free, dell’accordo di associazione con l’Unione europea o della nostra lotta comune per l’adesione all’Unione europea e alla NATO, ancora da realizzarsi”.

L’incontro tra i patriarchi e l’opinione di Mosca

Il primo fine settimana di settembre è stato un duro test per l’Ucraina ortodossa: a Istanbul si è tenuto il concilio ecumenico ortodosso durante il quale, tra le varie cose, è emersa la questione relativa all’autocefalia della Chiesa ucraina. L’incontro tra il patriarca russo Kirill e quello di Costantinopoli Bartolomeo è avvenuto a porte chiuse, dunque non si possono che fare congetture.

Il discorso introduttivo di Bartolomeo, tuttavia, si è rivelato particolarmente duro, soprattutto nei confronti della Chiesa russa: il patriarca ha sottolineato come la Chiesa ucraina appartenga tuttora al territorio canonico di Costantinopoli e come essa abbia subìto fin dal XIV secolo – quando la provincia ecclesiastica di Kiev è diventata un tutt’uno con quella russa – le pressioni di Mosca. Ha anche aggiunto che, “dal momento che la Russia è responsabile dell’attuale situazione dolorosa in Ucraina, il patriarcato ecumenico ha intrapreso l’iniziativa di affrontare il problema in conformità con i poteri ad essa conferitogli dai sacri canoni e con la totale responsabilità giurisdizionale della diocesi di Kiev, dopo aver ricevuto una richiesta da parte del governo ucraino, così come le ripetute preghiere di Filaret Denisenko”.

Il sito greco romfea.org, che copre le notizie sulle chiese ortodosse a livello internazionale, citando lo stesso Bartolomeo, ha affermato che la concessione dell’autocefalia può provocare una spaccatura nell’Ortodossia di scala mondiale.

Secondo la stampa ucraina, sembrerebbe che la scrittura del tomos (così viene chiamato il decreto ufficiale per la concessione di autocefalia firmato dal capo della chiesa ortodossa) sia già in corso. Tuttavia, i due patriarchi non si sbilanciano. I rappresentanti della Chiesa ortodossa russa hanno dichiarato di ritenere l’autocefalia della Chiesa ortodossa ucraina impossibile senza il permesso di Mosca, parere condiviso dal capo della Chiesa ortodossa serba Ireneo, il quale ha definito la richiesta “estremamente rischiosa e persino catastrofica”. Secondo lui, il Patriarcato ecumenico interferirebbe negli affari religiosi ucraini “contro la volontà della Chiesa ortodossa russa”. Ireneo ritiene, inoltre, che tali azioni vadano a danneggiare l’equilibrio delle istituzioni ortodosse montenegrine e macedoni.

Il consenso di Mosca, però, non è fondamentale né determinante: affinché la decisione abbia luogo, è necessario, oltre al desiderio di Bartolomeo stesso, il consenso di tutti i capi delle chiese ortodosse locali.

Scenari possibili

Gli scenari possibili potrebbero essere due. Il primo è la deliberazione di un tomos a pieno titolo sull’autocefalia della Chiesa ortodossa ucraina che vede Filaret Denisenko come patriarca. Tale istituzione non entrerà a far parte di un certo numero di chiese nel mondo, quali la Chiesa ortodossa serba e, naturalmente, quella russa. La seconda opzione è la creazione di una Chiesa subordinata a Costantinopoli, e solo allora, a lungo termine, la creazione di una Chiesa locale a tutti gli effetti, opzione che ha già visto protagoniste le Chiese ortodosse in Finlandia ed Estonia.

Ma c’è da mettere in conto anche l’opinione del patriarca di Kiev, Filaret, il quale ha ripetutamente affermato che non obbedirà né a Mosca né a Costantinopoli. In questo caso, o Filaret accetta i termini di Porošenko, o si tira fuori dai giochi.

Foto: Agenzia di stampa del presidente ucraino

Chi è Claudia Bettiol

Nata lo stesso giorno di Gorbačëv nell'anno della catastrofe di Chernobyl, sono una slavista di formazione. Grande appassionata di architettura sovietica, dopo un anno di studio alla pari ad Astrakhan, un Erasmus a Tartu e un volontariato a Sumy, ho lasciato definitivamente l'Italia per l'Ucraina, dove attualmente abito e lavoro. Collaboro con East Journal e Osservatorio Balcani e Caucaso, occupandomi principalmente di Ucraina e dell'area russofona.

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