Orban in Italia, la montagna partorirà il topolino

L’incontro tra il primo ministro ungherese, Viktor Orbán, e il ministro dell’Interno italiano scalda un’estate che si appresta a finire, e con l’estate finiranno i giochi e gli amori fatui al solleone. L’autunno verrà presto con i suoi ripensamenti, e una fredda dose di realismo spezzerà incantesimi e miraggi mostrando con impudica schiettezza la cruda realtà delle cose. Capiremo allora che certi amoretti da spiaggia non sono adatti ad ogni stagione. Così l’arrivo del piccolo premier magiaro suona come un’ultima canzone, un’ultima chimera, prima di fare la valigia e tornare alla realtà. La canzonetta in questione parla di un Viktor Orbán assurto a leader di una fantomatica opposizione anti-europeista capace, secondo alcuni, di rovesciare il tavolo dei trattati in virtù di una rinnovata e chiara visione del futuro politico e sociale del nostro continente. Peccato che non c’è nessuna visione, nessuna coesione e nessun piano di battaglia.

I quattro di Visegrad, ognuno per suo conto

L’Ungheria, la Repubblica Ceca e la Slovacchia, la Polonia – i “quattro di Visegrad“, come li chiamano i giornali, con accenti da film western – sarebbero il nucleo duro di un sempre più ampio movimento di dissenso rispetto alle politiche europee che potrebbe trovare nell’Austria e nell’Italia nuovi e decisivi alleati. Ma è davvero così? A ben vedere i pistoleri dell’est sparano a salve.

Il gruppo Visegrad, fondato nel 1991 allo scopo di sviluppare la cooperazione regionale dopo il collasso del comunismo, è servito più come rete diplomatica che come blocco politico capace di influenzare il corso degli eventi europei. L’ingresso nell’UE e la partecipazione alla NATO sono stati i primi obiettivi comuni ma anche gli unici: una volta raggiunti, i paesi del gruppo hanno cominciato a competere per ottenere maggiori investimenti occidentali.

Nel 2015, a seguito della crisi dei rifugiati, i quattro di Visegrad hanno rivitalizzato le reciproche relazioni diplomatiche facendo blocco comune di fronte ai progetti europei. Ma l’unità è solo apparente. Lo dimostrano le tensioni sorte in merito alle regole di libera circolazione dei lavoratori che alcuni paesi – Francia in testa – vorrebbero fossero più stringenti. I governi di Praga e Bratislava si sono detti pronti ad accettare nuove norme, facendo quadrato attorno alla proposta di Macron, mentre Budapest e Varsavia hanno recisamente rifiutato il piano. Una divisione che ne cela di più profonde, poiché i ventilati piani per un’Europa a più velocità spingono alla competizione per entrare nel gruppo dei ‘più veloci’. I quattro di Visegrad non rappresentano davvero un blocco unito né sono in grado di esprimere una visione comune del futuro dell’UE. Al contrario, la competizione regionale li spinge a seguire percorsi diversi e concorrenziali.

Austria, irredentismo e difesa dei confini

I quattro di Visegrad non sono quindi nella condizione di sviluppare piani di azione comuni poiché hanno interessi differenti. Se è vero che quei paesi sono variamente dominati da pulsioni nazionaliste, è anche vero che il nazionalismo rende supremo l’interesse proprio a scapito di quello altrui. I nazionalismi si escludono a vicenda e non possono durevolmente allearsi. I più attenti ricorderanno come, qualche anno fa, il premer ungherese, Viktor Orbán, e quello slovacco, Robert Fico, agitassero retoriche irredentiste e patriottarde accendendo gli animi della minoranza magiara in Slovacchia (ben il 10% della popolazione) facendo temere un conflitto nel turbolento cuore europeo.

Un caso non dissimile a quello che vede oggi coinvolte Austria e Italia. Il governo di Vienna, dominato da un’alleanza tra il partito popolare e il partito della libertà (FPÖ), formazione irredentista di estrema destra, ha più volte manifestato l’intenzione di offrire il passaporto austriaco (e quindi la cittadinanza) alla popolazione di lingua tedesca e ladina dell’Alto Adige / Südtirol. Un’iniziativa che, oltre a rappresentare un caso di ingerenza politica da parte austriaca, rischia di dividere la società alto-atesina finalmente giunta a pacifica coesistenza dopo un secolo di conflitti e incomprensioni.

Il governo italiano in carica dovrà affrontare la questione. E non sarà facile. FPO e Lega sono formalmente alleate e fanno parte dello stesso partito europeo, il Movimento per le Nazioni e per la Libertà (MENL) ma in ambito alto-atesino la Lega sta cercando di affermarsi come partito di raccolta del voto italofono, mettendosi in aperta opposizione con i sostenitori – locali e austriaci – del doppio passaporto. Altro – incandescente – esempio di come i sovranismi siano destinati a scontrarsi.

A dividere Austria e Italia c’è poi la questione dei migranti. Se entrambi i governi vogliono “difendere i confini“, ricacciando indietro i migranti, per Vienna il confine è il Brennero. Il cancelliere austriaco Kurz ha ricordato che il Trattato di Dublino (quello che il governo italiano afferma di voler cambiare) prevede che i migranti debbano restare nel paese di primo ingresso. Vale la pena ricordare che confine del Brennero è già stato più volte chiuso da parte austriaca. Il governo italiano accusa l’Europa di aver “lasciato solo” il nostro paese di fronte all’emergenza migratoria, ma sono proprio gli Orbán, i Kurz, e i vari leader “forti” di cui l’attuale governo si dice alleato che mettono l’Italia all’angolo.

Nessuna alleanza è possibile

Nessuna alleanza è possibile tra governi cosiddetti sovranisti semplicemente perché i rispettivi interessi, nel medio periodo, finiscono inevitabilmente per confliggere. La visita di Orbán in Italia non porterà alla nascita di un fronte capace di rovesciare il tavolo europeo, tutt’al più servirà a cercare limitate intese tra i due partiti, la Lega di Salvini e la Fidesz, in previsione delle prossime elezioni europee. Ritenere che il primo ministro ungherese possa essere il catalizzatore del dissenso europeo è attribuirgli troppa importanza, anche perché Orbán siede tra le fila del partito popolare europeo (PPE) e ha contribuito all’elezione di Jean-Claude Juncker a presidente della commissione europea.

Orbán non viene in Italia nelle vesti di premier ma in quelle di leader del suo partito. Non si tratta della visita ufficiale di un capo di governo ma di un vertice tra due movimenti politici. La cornice dell’incontro è infatti la Prefettura di Milano, non Palazzo Chigi o – al limite – il Viminale.

Alla fine, come diceva il poeta Orazio, la montagna partorirà il topolino. Il tormentone sovranista suona già come un disco rotto: mentre si chiudono gli ultimi ombrelloni c’è chi sente le note false del motivetto e si chiede se le promesse di cambiamento verranno mantenute o se tutto si risolverà in una nostalgia d’estate.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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2 commenti

  1. La partita vera nella UE è sulla banca centrale e sul bilancio.

    Ed è lì che si vedrà se il governo italiano avrà fegato o finirà come Tsipras.

    O riusciamo a uscire dall’euro o il paese crollerà su se stesso.

    E credo più che altro che si sta tendando ormai di ripristinare l’Europa pre atto unico.

    Solo una gestione tra stati di questioni comuni e comunque gestite in ampia autonomia.

    L’UE (per le persone comuni – ovvero la plebaglia europea secondo Jacques Attali) è stata una vera sciagura per le classi sociali più deboli, soprattutto per quelli del Sud Europa, anche se ci ricomprenderei la Francia.

    Credo molto semplicemente che stiamo vedendo il lento smantellamento della UE a favore della ritrovata sovranità nazionale.

    Il resto, lo ha dimostrato la storia recente (velleitari Stati Uniti d’Europa), sono pura fantascienza.

    Ma una fantascienza molto pericolosa.

    Se non altro questa crisi quarantennale chi ha lasciato almeno una cosa positiva, l’annientamento di quei partiti che si definivano socialisti ma che alla fine hanno tradito i più deboli.

    Adesso la gente se ne accorta e li sta piano piano liquidando, una cultura politica sterile che ha solo rafforzato la grande finanza speculativa internazionale e i soliti noti, visto che anche la piccola e media impresa rischia in questo sistema di essere annientata.

    Stupisce sempre che su EastJournal non ci sia mai un’analisi economica degli eventi, come se l’economia non fosse un problema importante. Non che sia l’unico ovviamente, ma di certo non è secondario, soprattutto dopo la sciagura della moneta unica.

  2. Vi posto questo articolo sulla politica economica di Orban tratto da Bloomberg che è stato ripreso da un sito sovranista italiano di sinistra.

    Scelto perché spiega come mai Orban sia tenuto in piedi dalle istituzioni neoliberiste europee.

    Visto che in Ungheria attua una politica neoliberista temperata. Nei fatti tiene il recinto abbastanza largo da avere l’appoggio delle persone svantaggiate dalla globalizzazione.

    Di fatto però Orban è neoliberista, anche se temperato. Resisterà la sua politica economica?

    Ai posteri la sentenza di certo a sinistra non si ode niente.

    https://sollevazione.blogspot.com/2018/08/ungheria-inchiesta-sulla-orbanomics-di.html

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