TURCHIA: Scoppia la crisi con Israele, sospesi rapporti militari e politici

di Matteo Zola

Ankara non scherza. L’ambasciatore israeliano in Turchia è stato espulso e tutti gli accordi militari con Israele sono stati sospesi. Tutto iniziò con la Mavi Marmara, la nave battente bandiera turca che fu assaltata dall’esercito israeliano nel maggio 2010. Era, quella nave, parte del convoglio della Freedom Flottilla, la flotta umanitaria organizzata da numerose Ong e diretta a Gaza per portare aiuti. La Freedom Flottilla dichiarò di voler forzare il blocco navale su Gaza, gli israeliani prevenirono quell’azione con un blitz militare che costò la vita a nove cittadini turchi. Qualcuno interpretò l’azione come una trappola tesa da Ankara che, decisa a imporre la propria leadership sul Medio Oriente, “sacrificò” la Mavi Marmara al fuoco israeliano al solo scopo di screditare Tel Aviv guadagnando alla sua causa i popoli arabi della regione.

Certo quanto avvenne fu di gravità inaudita. Ankara da quella data inserì Israele tra i “nemici dello Stato turco” e, tralasciando le dietrologie, il governo Erdogan seppe farsi portavoce delle istanze palestinesi anche contro la superpotenza ebraica. Dopo i fatti della Mavi Marmara i governi occidentali mantennero un imbarazzante silenzio, ma la Turchia – forte della coesione sociale e politica, di un’economia in espansione, e di un esercito da otto milioni di effettivi – tuonò contro Israele senza timore delle accuse che ne sarebbero seguite. Su tutte, quella – infamante – di perseguitare il popolo d’Israele.

Oggi, a seguito della pubblicazione delle conclusioni dell’inchiesta commissionata dall’Onu sul blitz israeliano contro la Freedom Flotilla, considerate “inaccettabili” dalla Turchia, il ministro degli Esteri Davutoglu ha annunciato l’espulsione dell’ambasciatore israeliano e la “sospensione di tutti gli accordi militari” con lo Stato ebraico. Sospesi anche i contratti in campo energetico. L’inchiesta Onu ripartisce la responsabilità dell’accaduto tra Turchia e Israele, dichiarando legittimo il blocco navale su Gaza.

In questa fase”, ha spiegato il ministro degli Esteri turco, “prendiamo le seguenti misure: le relazioni tra Turchia e Israele sono ricondotti a livello di secondo segretario d’ambasciata. Tutti i responsabili con un rango superiore a quello di secondo segretario, come l’ambasciatore, rientreranno nel loro Paese entro mercoledì” ha detto il ministro. Davutoglu ha inoltre puntualizzato che il suo governo “non riconosce la legalità del blocco su Gaza“, e ha addossato a Israele la responsabilità del progressivo deterioramento nei rapporti bilaterali. La Turchia non farà marcia indietro, ha aggiunto, finchè la controparte non ne avrà accolto le richieste: in primo luogo, Ankara esige la presentazione di scuse formali, e poi congrui indennizzi alle vittime o ai loro eredi.

Benyamin “Bibi” Netanyahu ha convocato d’urgenza i suoi ministri ma il governo di Israele non sembra intenzionato a fare marcia indietro. Questa volta però il rischio è di andare a sbattere contro una Turchia che non ha paura di opporsi alla prepotenza israeliana in Medio Oriente. Un rischio da non sottovalutare mentre, ai confini del Paese, le primavere arabe – con le loro richieste di democrazia – minacciano sia i regimi arabi che la teocrazia israeliana. Israele infatti, da Paese senza Costituzione qual’è, esempio di “democrazia etnica” in cui il sistema legale abbina il common law al Talmud, rischia di venire travolta dall’autodeterminazione araba di cui la Turchia – pur non araba – cerca di essere guida politica. Solo una svolta democratica dentro Israele potrà evitare al Paese una nuova parabola bellica. E il movimento degli “indignados” locali sembra chiedere proprio questo: lavoro, diritti, democrazia e pace. Che Erdogan possa favorire anche una “primavera israeliana”?

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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3 commenti

  1. Non conosco l’inchiesta della commissione ONU sulla questione Freedom Flottilla, ma purtroppo quando si parla di Israele all’interno delle uffici delle Nazioni Unite le posizioni adottate sono ideologicamente schierate. Tendenzialmente, gli US appoggiano indistintamente Israele e l’UE, che spesso non riesce a mostrare una voce comune, approvano al massimo documenti che siano bilanciati ed equi tra Israele e la sua controparte (solitamente i Territori Palestinesi). E per bilanciati ed equi non intendo rispetto alla realtà, ma che diano un tanto ad uno e un tanto all’altro, a costo di non coincedere con quanto realmente accade. Motivo per cui alla fine (almeno in questo campo) i documenti ONU sembrano avere davvero ben poco valore.

  2. Gaetano Veninata

    ne approfitto per consigliare un bel libro sui giovani israeliani e il loro rapporto con la guerra, la politica, il rock – e i vicini arabi: http://www.annamomigliano.com/libro.php

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