TURCHIA: Verso le elezioni anticipate del 24 giugno

La Turchia si trova improvvisamente nel bel mezzo di una campagna elettorale combattuta ed intensa. Si sarebbe dovuto votare il 3 Novembre 2019, data fissata per elezioni parlamentari e presidenziali, ma, apparentemente a sorpresa, sono state anticipate di oltre un anno e stabilite per il prossimo 24 Giugno. Come mai?

La proposta di Devlet Bahçeli

La miccia è stata accesa da Devlet Bahçeli, leader del partito nazionalista MHP nonché principale alleato di Recep Tayyip Erdoğan. A quanto pare, in passato Bahçeli ha già avuto una certa influenza in merito, come scrive Serkan Demirtaş di Hurriyet Daily News ricordando che accadde anche nel 2002. Siamo a metà aprile, più precisamente al 17 – anche i giorni, alla luce di questi repentini cambiamenti, diventano fondamentali per capirne le dinamiche – quando parlando ai suoi parlamentari in una riunione settimanale, Bahçeli afferma che la Turchia non dovrebbe aspettare così tanto per recarsi alle urne, ma piuttosto tornarci entro agosto per far sì che il nuovo sistema presidenziale già approvato con il referendum del 16 aprile 2017 possa effettivamente entrare in vigore. Lì per lì la reazione di Erdoğan è stata tiepida, mentre il leader del partito repubblicano CHP, Kemal Kılıçdaroğlu, si è mostrato subito favorevole a raccogliere il guanto di sfida, come riporta Murat Yetkin di Hurriyet Daily News in un editoriale del 18 aprile, stesso giorno in cui l’AKP (il partito di Erdoğan, Partito per la Giustizia e lo Sviluppo) ha accettato la proposta del MHP ed indetto elezioni anticipate. Sempre il 18 aprile, il parlamento turco ha esteso lo stato d’emergenza (in vigore dal 15 luglio 2016, data del tentato colpo di stato) per la settima volta. Sia CHP che Iyi parti (il partito conservatore di Meral Akşener) ed HDP (Partito curdo dei popoli) si erano già dimostrati fortemente contrari ad affrontare nuove elezioni sotto stato di emergenza. Nonostante la disapprovazione espressa anche dalla Corte Europea di Strasburgo, pare proprio che sia questa la condizione sotto cui si voterà.

L’ “alleanza dei princìpi”

Interessanti le ragioni ipotizzate da Yetkin riguardo alla proposta di Bahçeli accolta in fretta da Erdoğan, confermate dalle stesse dichiarazioni dell’attuale presidente della repubblica turca: una è, senza dubbio, la profonda crisi economica turca che vede il valore della lira sempre più svalutato; ancora la possibilità di cavalcare il sentimento nazionalista e populista fomentato dall’operazione “ramoscello d’ulivo” ad Afrin; l’aumentato consenso verso il partito curdo HDP ed infine i rischi di un’alleanza fra questo ed il partito repubblicano CHP. Quest’ultima non è propriamente avvenuta, ma si è tramutata nella creazione di un gruppo più ampio, unica reazione plausibile di un’opposizione già affaticata che discuteva l’unione delle forze ancor prima della convocazione ad elezioni anticipate. Prima si è creata l’alleanza ribattezzata “naturale” fra Iyi parti, Partito della Felicità (Saadet Partisi) e Partito Democratico, formata in data 10 aprile, quando già si paventava un dialogo anche fra Akşener e Kılıçdaroğlu. La strada è risultata percorribile grazie ad un nuovo regolamento della legge elettorale che prevede la possibilità di formare coalizioni al fine di aggirare lo sbarramento al 10%, soglia già altissima rispetto alla media mondiale. La ribattezzata “alleanza dei princìpi” (attenzione a dove mettere l’accento!) è stata trovata nei primi giorni di maggio in cui si è ufficializzata la collaborazione di ben quattro partiti diversi che ben poco hanno a che fare l’uno con l’altro, eppure condividono un tratto fondamentale: la lotta all’AKP, alla figura autoritaria di Erdoğan e soprattutto ai cambiamenti apportati dalla sua lunga presidenza. È quella che sembra un’alleanza sui valori fondamentali dello stato di diritto, come afferma lo stesso Kılıçdaroğlu e ha ripetuto spesso Mariano Giustino nella sua rassegna stampa settimanale per Radio Radicale, qualcosa di unico nella storia della politica turca. Queste elezioni sembrerebbero quindi delinearsi come un nuovo referendum sul regime di governo, una scelta fra la democrazia ed un “super presidente”, pro o contro la libertà, ma soprattutto a favore o meno dell’apertura verso l’Europa.

Dal 18 aprile ad oggi, cosa è successo?

Ripercorriamo cronologicamente le date salienti dal 18 aprile in poi, appresa l’effettività delle elezioni anticipate al 24 giugno. Il 22 aprile il partito repubblicano CHP “presta” 15 deputati all’Iyi parti per far sì che possa presentarsi alle elezioni: non dimentichiamo che Meral Akşener è stata negli scorsi mesi considerata una delle più efficaci sfidanti al potere di Erdoğan, la sua partecipazione viene quindi considerata fondamentale. Nel frattempo si inizia a vociferare che, secondo l’opinione pubblica, qualora l’ex presidente della repubblica Abdullah Gül fosse stato candidato, avrebbe avuto buone possibilità di vittoria. Gül è l’undicesimo presidente della repubblica turca, in carica fino all’agosto del 2014, viene considerato il co-fondatore dell’AKP pur essendo sempre stato particolarmente critico col suo stesso partito. Gül sarebbe quindi stato uno dei possibili nomi dell’opposizione contro Erdoğan. Gül dialoga principalmente con Saadet partisi e CHP nei giorni a venire, ma il 28 aprile l’opzione della sua candidatura viene ufficialmente esclusa per assenza di consenso. Dopo il 28 aprile, quindi, si è atteso che i partiti dell’opposizione rendessero noti i loro candidati premier entro il 9 maggio. Meral Akşener ufficializza la sua candidatura il 2 maggio insieme a Temel Karamollaoğlu, leader del Saadet Partisi dal 2016 e sindaco di Sivas dal 1989 al 1995. L’HDP straordinariamente pubblica la candidatura di Selahattin Demirtaş pur essendo in carcere dal 4 Novembre 2016 – e sebbene proprio il 13 aprile la corte penale avesse confermato la sua detenzione nel carcere di massima sicurezza di Edirne. Poi finalmente il CHP propone Muharrem Ince (parlamentare di Yalova per il CHP sin dal 2002 e sfidante di Kilicdaroglu per la leadership dopo la sconfitta elettorale del 2014). I candidati presidenti sono, tuttavia, cinque: c’è anche Dogu Perincek del Vatan Partisi che corre da solo. Le liste pubblicate in via definitiva sulla Gazzetta Ufficiale pochi giorni fa vedono quindi 6 candidati alla presidenza ed 8 partiti in lizza.

Tamam veya…? I turchi ne hanno abbastanza?

Il 3 maggio è iniziata ufficialmente la campagna elettorale, che procede non senza scontri, il primo registrato già il 6 maggio con un atto intimidatorio contro i militanti dell’Iyi parti che ha fatto cinque feriti di cui uno grave. L’8 maggio una dichiarazione di Erdoğan in vista di una eventuale sconfitta: “se il popolo dovesse dirmi che basta così – in turco “tamam” – mi farò da parte” hashtag che diventa immediatamente virale su Twitter nel feed globale. È davvero così? I turchi sono stanchi e c’è la possibilità che Erdoğan possa perdere le elezioni? Molti degli analisti sostengono che non sarà affatto facile per lui raggiungere il 50%+1, almeno subito. Eppure, la sua presenza nei dibattiti televisivi risulta preponderante rispetto agli avversari, i suoi comizi continuano ad essere un bagno di folla, così come la grande manifestazione convocata a Yenikapi in difesa dei palestinesi dopo le violenze di metà maggio nella striscia di Gaza. Erdoğan punta a mantenere il suo ruolo di difensore globale dell’Islam sunnita, come dimostra il vertice straordinario dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica tenutosi ad Istanbul lo scorso 18 maggio tanto quanto l’unico comizio estero organizzato nel cuore dei Balcani, a Sarajevo, due giorni dopo. Il governo nel frattempo lavora altrettanto per mantenere le sue promesse: il primo ministro Binali Yildirim ha approvato un piano di riforma sociale con uno straordinario pacchetto di incentivi a pensionati e giovani imprenditori, condoni edilizi ed abbuoni per i test d’ingresso all’università. Gli ultimi sondaggi pronosticano il raggiungimento del 42% per Erdoğan al primo turno ed un testa a testa fra Ince ed Aksener entrambi al 21%. Il vero timore dell’attuale presidente è la possibilità che al secondo turno questa opposizione così propensa al dialogo converga su un solo candidato premier. Staremo a vedere.

 

fonte immagine: Daily Sabah

Chi è Eleonora Masi

Classe 1990, una laurea in Relazioni Internazionali ed esperienze in Norvegia, Germania, ma soprattutto Turchia, di cui si occupa dal 2015. Oltre a coordinare la redazione dell'area del Vicino Oriente per East Journal svolge il ruolo di desk per The Bottom Up mag. Ha ideato e prodotto il podcast "Cose Turche" che racconta gli ultimi 10 anni della Turchia dal punto di vista dei millennial che li hanno vissuti sulla loro pelle.

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