LETTONIA: Le scuole in lingua russa a rischio chiusura?

Da qualche mese in Lettonia la riforma dell’istruzione è di nuovo al centro delle polemiche. Lo scorso 22 marzo, il Parlamento lettone ha infatti approvato una serie di emendamenti alla legge sull’istruzione; questi sanciscono una nuova fase della transizione verso un rafforzamento dell’uso del lettone nelle scuole delle minoranze linguistiche.

Secondo il presidente Vējonis, che l’ha promulgata lo scorso 2 aprile, la riforma “darà a tutti i giovani l’opportunità di ottenere un’istruzione di qualità, per studiare e lavorare in Lettonia”; essa formerà inoltre “una società più unita e uno stato più forte”. Eppure, già da febbraio le scuole russe protestano contro la riforma, considerata “assimilazionista” e definita “un gravissimo errore” dal sindaco di Riga Nils Ušakov.

Analizziamo le origini della questione, e sfatiamo qualche falso mito riguardante la “liquidazione” delle “scuole russe” in Lettonia.

All’origine delle polemiche

Retaggio dell’epoca sovietica, quando le strutture scolastiche iniziarono ad essere separate a seconda della lingua di insegnamento, ancora oggi il sistema scolastico lettone presenta una spaccatura tra le scuole cosiddette “lettoni” e “delle minoranze”.

Dopo aver ritrovato l’indipendenza e riaffermato il lettone come unica lingua ufficiale, nel 1998 la Lettonia adottò una nuova Legge sull’istruzione. In un paese in cui il 44% della popolazione aveva come lingua madre una lingua diversa da quella nazionale, la lingua lettone fu presentata come principale vettore d’integrazione delle minoranze. Ebbero così inizio le polemiche sulle modalità (e la necessità) del passaggio al lettone come lingua di insegnamento per tutti.

Quello delle “scuole russe”, i cui alunni sarebbero destinati all’esclusione dalla vita sociale e pubblica del paese poiché non padroneggiano la lingua nazionale, è però oggi un mito da sfatare: in Lettonia, l’istruzione completamente in lingua russa non esiste. Già dal 1998 infatti, si è introdotto un sistema basato sul bilinguismo, in cui parte dell’insegnamento si svolge nella lingua nazionale. Concretamente, le scuole delle minoranze possono scegliere tra 4 programmi, che si differenziano per la percentuale di materie insegnate nell’una o nell’altra lingua durante il ciclo di studi.

Fin dall’inizio, era stato reso esplicito il carattere “transitorio” della legge sull’istruzione: dopo un periodo di adattamento, si sarebbe passati al pieno insegnamento in lingua lettone nelle scuole medie superiori. Il cambiamento, inizialmente previsto per il primo settembre 2004, fu contrastato da una serie di proteste organizzate dalle scuole russe. Le manifestazioni del 2004, tra le più importanti nella storia recente del paese, e la pericolosa polarizzazione del dibattito pubblico sul tema dell’istruzione convinsero il governo a fare marcia indietro. Venne così adottato un compromesso, vigente ancora oggi, secondo il quale il 60% delle materie sono insegnate in lettone, e il 40% in russo.

Le novità della riforma

I nuovi emendamenti, che verranno attuati in maniera graduale tra il primo settembre 2019 e il primo settembre 2021, introdurranno cambiamenti significativi.

Già nelle scuole materne (a partire dai 5 anni di età), il lettone assumerà un ruolo predominante a partire dall’anno scolastico 2019/20. Nelle scuole primarie e medie inferiori (dai 7 ai 12 anni), la metà delle materie saranno insegnate in lettone, e anche l’esame finale (equivalente in Italia all’esame di terza media) si dovrà sostenere in lettone.

Per le classi medie superiori, il lettone diventerà la lingua d’insegnamento per l’80% delle materie fino al 1 settembre 2021. A partire dall’anno scolastico 2021/22, la fase di transizione si concluderà e si effettuerà il passaggio al pieno insegnamento in lettone. Le scuole (superiori) delle minoranze si distingueranno quindi da quelle “lettoni” solo per la possibilità di studiare (nella propria madrelingua) la lingua, la letteratura e altre discipline storico-culturali legate alla comunità di appartenenza.

Di discriminazione e altri problemi

All’inizio dell’anno scolastico 2015/16, su 811 strutture scolastiche esistenti in Lettonia, erano 104 le scuole delle minoranze a ricevere sussidi statali; di queste, 94 avevano come lingua principale d’insegnamento il russo. Le cifre fanno capire come mai siano principalmente i russofoni a sentirsi “minacciati” dalla riforma, e perché la legge sull’istruzione lettone faccia scandalo anche a Mosca.

Varie testate russe hanno descritto la riforma come “l’abolizione dell’istruzione in lingua russa” (Ria Novosti) o addirittura “un genocidio linguistico” (Russia Today). La Duma di stato russa ha inoltre proposto di intraprendere delle “misure economiche” contro la Lettonia, tra cui delle sanzioni contro i politici lettoni favorevoli alla riforma “discriminatoria”.

Ma quello della discriminazione, tanto evocato, è un altro mito da sfatare: lo stato lettone, garantendo l’insegnamento in lingua russa e finanziamenti alle scuole non-lettoni, non discrimina le minoranze sul piano dell’istruzione secondo gli standard europei. A ben guardare, i problemi legati alla riforma dell’istruzione in Lettonia sono altri.

In primo luogo, già dal 2004, gli insegnanti lamentano un calo nella qualità dell’insegnamento nelle scuole delle minoranze, dovuto alla carenza di personale qualificato che possa insegnare in lettone e in russo, nonché alla bassa qualità dei libri di testo forniti per l’insegnamento bilingue. Inoltre, se da un lato c’è stato un notevole miglioramento nel livello di padronanza della lingua ufficiale tra gli alunni, dall’altro si è osservato un peggioramento dei risultati agli esami di stato negli anni successivi alla riforma.

In secondo luogo, in un paese molto diviso dal punto di vista linguistico e politico, l’istruzione è un pomo della discordia che racchiude e amplifica tutte le controversie legate ai diritti delle minoranze e alla loro integrazione, polarizzando l’opinione pubblica. E un problema che la legge sull’istruzione, nonostante le riforme, non è mai riuscita (e non pensa nemmeno) a risolvere è quello della segregazione del sistema scolastico, che rimane come ai tempi sovietici diviso tra le diverse comunità linguistiche, e non riesce a sfruttare il potenziale bilinguismo (o plurilinguismo) dei suoi giovani per creare una società più coesa.

Campagna elettorale

Lo status quo fa anche comodo a diversi partiti politici che strumentalizzano la questione per assicurarsi i voti del rispettivo elettorato. Non ci sono dubbi quindi che la riforma dell’istruzione sia un tema scottante in vista delle elezioni parlamentari del prossimo ottobre.

Per alcuni partiti, la campagna elettorale è già cominciata: Tatiana Ždanok, leader dell’Unione Russa di Lettonia, ha già rinunciato al proprio mandato da eurodeputata per poter tornare in Lettonia a difendere le scuole russe. Insieme all’associazione Per la difesa delle scuole russe (Štab zaščity russkih škol), il partito ha promesso di portare avanti le proteste. Tuttavia, come sottolinea Novaja Gazeta, la figura di Ždanok, nota per le sue opinioni filorusse, potrebbe essere divisiva e spingere molti russofoni, che pur sarebbero contrari alla riforma, a dissociarsi dal movimento – in un contesto internazionale che, tra le ingerenze di Mosca in difesa dei “compatrioti” all’estero e la guerra in Ucraina, è radicalmente cambiato rispetto al 2004.

Nel frattempo, Igor Melnikov, ex membro di Armonia e oggi leader dell’euroscettico Partito d’Azione (Rīcības partijas), ha presentato un ricorso riguardante la riforma dell’istruzione presso la Corte Costituzionale, che dovrà valutarlo entro il 20 maggio. Anche il partito Armoniache si trova all’opposizione in parlamento ma che è al potere a Riga, starebbe considerando di ricorrere alla Corte Costituzionale, nonché di sopperire alla riforma attraverso un programma di corsi supplementari in lingua russa offerti ai residenti della capitale.

Immagine: Grani.lv

Chi è Laura Luciani

Nata a Civitanova Marche, è dottoranda in scienze politiche presso la Ghent University (Belgio), con una ricerca sulle politiche dell'Unione europea per la promozione dei diritti umani e il sostegno alla società civile nel Caucaso meridionale. Oltre a questi temi, si interessa di spazio post-sovietico in generale, di femminismo e questioni di genere, e a volte di politiche linguistiche. E' stata co-autrice del programma "Kiosk" di Radio Beckwith.

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