Morawiecki Shoah

POLONIA: “Anche gli ebrei responsabili della Shoàh”

La polemica sulla cosiddetta “legge sulla Shoàh” voluta dal governo polacco non si placa. Il premier Morawiecki, ai margini della Conferenza di Monaco, incalzato dai giornalisti ha dichiarato che anche “gli ebrei sono responsabili della Shoah“. Una dichiarazione infelice che tradisce una visione parziale e distorta, quella che i polacchi siano stati “più vittime degli altri” delle atrocità commesse durante la Seconda guerra mondiale. Il vittimismo polacco ha profonde radici, quanto l’antisemitismo, e produce corto circuiti. L’affermazione di Morawiecki, per come è stata estrapolata dai giornali, sembra offrirsi a letture strumentali ma inserita nel suo contesto appare non meno allucinata: “E’ estremamente importante capire che, ovviamente, non sarà punibile [dalla “legge sulla Shoàh”, ndr.] e non sarà considerato criminale chi dirà che ci sono stati perpetratori polacchi – perché ci sono stati anche perpetratori ebrei, perpetratori russi, perpetratori ucraini …. non solo perpetratori tedeschi”. Da qualunque prospettiva si guardi questa frase, appare priva di logica, un controsenso, un’idiozia palindroma impossibile da parafrasare. Ma quali sono le cause di tale idiozia?

“Campi di sterminio polacchi”

Anzitutto bisognerebbe ricordare a Morawiecki che quando gli ebrei hanno perseguitato altri ebrei (dai Judenrat ai Kasermenpolizei) lo hanno fatto sotto costrizione, minaccia, o comunque a causa della situazione, mentre i nazisti – e non solo – lo hanno fatto per scelta. Questa semplice considerazione è mancata al premier polacco che ha messo tutti sullo stesso piano.

Il governo polacco – come si diceva – ha istituito una legge “sulla Shoàh” che punisce (con multa o carcere fino a tre anni) chiunque “attribuisca alla nazione polacca o allo stato polacco la responsabilità o la corresponsabilità di crimini compiuti dal Terzo Reich tedesco oppure i crimini contro l’umanità”. E’ una reazione all’uso crescente di definire “polacchi” i campi di sterminio nazisti stabiliti in Polonia durante dal Seconda guerra mondiale. Qualche storico americano ha cominciato a definirli così, “campi di sterminio polacchi“. Un errore, una semplificazione inaccettabile ma … c’era bisogno di una legge?

Non ci furono campi di sterminio polacchi, nel senso che non furono i polacchi a stabilirli, gestirli e organizzarli. Su questo non ci piove. Anzi, i polacchi contano il maggior numero di Giusti fra le Nazioni, quasi ottomila, a dimostrazione dell’impegno nel salvare gli ebrei dal genocidio. I polacchi resistettero fin da subito – nei territori del Governatorato sorse l’Armia Krajowa – e con estrema tenacia, dando vita al movimento di resistenza più longevo e complesso di tutta la Resistenza europea, ma ciò non significa che – accanto alle luci – non ci siano ombre o che possano dirsi esenti da colpe. Migliaia di polacchi aiutarono i nazisti, indicando loro i nascondigli, denunciando gli ebrei e chi li aiutava. In una parola: collaborarono. E non mancarono alcuni pogrom, come quello di Kielce, a testimoniare la presenza di un radicato antisemitismo. Ed è questo che i polacchi non vogliono accettare.

BOX - CAMPI DI STERMINIO POLACCHI?

BOX - CAMPI DI STERMINIO POLACCHI?

Quelli che alcuni chiamano “campi di sterminio polacchi” furono in realtà stabiliti dalle autorità naziste all’interno dei territori occupati del Governatorato generale, ovvero la parte di Polonia non annessa direttamente al Reich. Qui i polacchi vennero cacciati dalle loro case, espropriati delle fattorie e delle proprietà, spediti nei campi di Treblinka, Maidanek e Auschwitz. Il Governatorato era un territorio presso cui “esternalizzare” la macchina dello sterminio e procedere con la germanizzazione forzata e la deportazione della popolazione locale ostile. A morire nei campi furono anche polacchi, essendo gli slavi – secondo la follia nazista – untermensh, razza inferiore, sub-umani da sterminare. Il Generalplan Ost, che prevedeva la pulizia etnica dei territori occupati, si applicò con particolare ferocia in queste regioni, dando luogo a molteplici reazioni: dalla collaborazione – tuttavia minoritaria – con l’occupante nazista, alla resistenza armata.Governatorato

Una coscienza pulita, mai usata

 

Così la legge nasconde un sentimento più profondo. Lungi dall’essere una difesa della dignità nazionale, la legge sancisce il mito della Polonia martire, sempre vittima della storia. Un vittimismo che serve a scansare le responsabilità e a pensarsi fuori dalla storia. A descrivere se stessi, a priori, come innocenti e incontaminati. La retorica nazionale presenta la Polonia come nazione cattolica, generosa con le minoranze e vittima dei vicini russi e tedeschi. Mettere in discussione questa immagine è difficile. Dall’indipendenza a oggi si è molto discusso sulle responsabilità polacche in merito alla persecuzione degli ebrei, un tema che ha sempre visto i conservatori sulle barricate. Ora che dalle barricate si è passati al governo, si è deciso di risolvere ogni problema morale vietando di parlarne: per avere la coscienza pulita basta non usarla.

Antisemitismo latente

“La retorica dell’estrema destra polacca – ha dichiarato Jan Gross, storico polacco e docente a Princeton – fa leva sul senso di colpa per quello che accadde e il timore mai sopito che i discendenti di quegli ebrei chiedano riparazioni per le proprietà razziate”. Secondo Gross la legge si inserisce in un quadro in cui gli ultraconservatori al potere fanno uso della retorica xenofoba per compattare il proprio elettorato, “con l’aiuto di quel segmento di chiesa cattolica guidato da Tadeusz Rydzyk che avalla sentimenti antisemiti”.

Ritorno a Piłsudski?

Ma c’è dell’altro. Il governo polacco è attualmente in contrasto con l’Unione Europea sia per la questione delle quote di rifugiati da accogliere, sia per la revisione dell’ordine costituzionale che sta minando l’indipendenza del potere giudiziario e trasformando la Polonia in un paese a democrazia limitata. Le parole d’ordine nazionaliste sono il velo con cui l’esecutivo nasconde la propria visione autoritaria. Il rifiuto delle quote di migranti è motivato da ragioni identitarie, quindi xenofobe, e lo smantellamento dell’ordine democratico è spacciato per tutela dell’interesse nazionale. La legge cosiddetta “sulla Shoàh” si inserisce in questo quadro: essa da un lato finge di “tutelare” l’immagine nazionale rifiutando, dall’altro, di mettere in discussione l’identità polacca dando luogo a una particolare forma di xenofobia, l’antisemitismo.

Nazionalismo, xenofobia, antisemitismo, vittimismo, pulsioni autoritarie. I polacchi hanno ragione di essere orgogliosi della propria storia e del contributo che hanno dato allo sviluppo della civiltà europea, ma la storia è anche un monito. La Polonia di questi ultimi anni ricorda da vicino quella del maresciallo Piłsudski, chiusa in se stessa e sull’orlo della catastrofe. Una catastrofe che torna ciclicamente nella storia polacca. La forte identità nazionale, l’attaccamento alla fede cattolica, sono ciò che ha consentito di sopravvivere a tutte le spartizioni, le occupazioni, le violenze cui il paese ha dovuto far fronte nei secoli, ma quegli stessi sentimenti, in tempo di pace, diventano la premessa per la catastrofe successiva. I polacchi sono ancora in tempo per tornare indietro, ma è tempo di invertire la rotta.

Foto: Stanislaw Rozpedzik/EPA

 

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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2 commenti

  1. Credo che siano vicende talmente delicate e che gli ebrei abbiano sofferto qualcosa che noi non possiamo neppure immaginare. Sarebbe meglio il silenzio invece di tante affermazioni e discorsi. La realtà è che quello che è stato fatto agli ebrei è un qualcosa di disumano e aberrante e che spero che l’umanità non concepisca mai più. Le bestie sanno essere migliori di noi avvolte. Difronte a certe cose non c’è polacco-italiano-tedesco-inglese, difronte a certe cose c’è l’umanità intesa nel suo senso più largo possibile, e credo che i politici facciano bene a pensare molto bene prima di dire qualsiasi cosa per non correreil rischio di dire bugie e fandonie che, vista la delicatezza della situazione e degli argomenti, sarebbero sicuramente fuori luogo ed inopportune. Il silenzio è d’oro. Il rispetto per i morti pure. I morti non erano ebrei. Erano esseri umani che sono stati trattati da animali da altri esseri umani. Pensate bene a ciò che dite prima di dire certe cose. Ho solo tanta pena nel cuore. Basta con le guerre. Se un muro è caduto, se un era è finita vuol dire che l’umanità intera può cambiare e può evitare che certe cose riaccadano di nuovo.
    Che Dio ci perdoni

  2. In Polonia chi aiutava ebrei aveva pena di morte ,questa è la differenza fondamentale .Chi aiutava ebrei rischiava la vita,la polizia in ghetto di Varsavia era formata da ebrei.potrei continuare e parlare di soldati di Anders quarto più grande esercito che combatte Hitler e Mussolini ma non serve a niente tutti conoscono queste storie ,e anche questo che campi di sterminio non erano polacchi ….siete sicuri che in Italia lo sanno tutti ? Io parlando con tante persone anche laureate direi proprio al contrario.

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