ITAR-TASS: SUKHUMI, ABKHAZIA. SEPTEMBER 25, 2014. Abkhazian president elect Raul Khajimba taking an oath at his inauguration ceremony. (Photo ITAR-TASS/ Vladimir Popov) Абхазия. Сухуми. 25 сентября. Избранный президент Абхазии Рауль Хаджимба на церемонии вступления в должность. Фото ИТАР-ТАСС/ Владимир Попов

ABKHAZIA: Il rilascio di un prigioniero georgiano apre una grave crisi politica

Da giorni Sukhumi, capitale della Repubblica de facto dell’Abkhazia, è teatro di una crisi politica generata dalla discussa decisione del presidente Raul Khadzhimba di ordinare il rilascio di un prigioniero georgiano; provvedimento che ha finito per scatenare l’ira dell’opposizione, che ora ne chiede le dimissioni.

Il detenuto in questione è Giorgi Lukava, originario del distretto di Gali, regione a maggioranza georgiana (mingrela) dell’Abkhazia, arrestato dalle autorità di Sukhumi nel 2012. Processato per una serie di reati commessi nel 1994, tra cui l’omicidio e il rapimento di alcuni funzionari abkhazi, quando faceva parte del gruppo “Fratelli della Foresta” (Lesnye Brat’ja), milizia armata attiva fino al 2004 tra il distretto di Gali e la regione di Zugdidi, in Georgia, Lukava è stato condannato a venti anni di carcere, successivamente ridotti a sedici.

Lo scorso 25 dicembre, dopo diversi mesi di negoziati tra l’Abkhazia e la Georgia, le autorità di Sukhumi hanno deciso di rilasciare il prigioniero georgiano, consegnandolo nelle mani delle forze di sicurezza di Tbilisi.

La notizia della liberazione di Lukava non è però passata inosservata alla società abkhaza, generando un’ondata di polemiche che ha investito in pieno il presidente Khadzhimba, aprendo di fatto una crisi politica. A capo delle proteste si sono posti i movimenti d’opposizione Amtsakhara (formazione politica in cui militano diversi veterani della guerra del 1992-93), Kyarazaa e Ainar, i cui leader hanno accusato Khadzhimba di aver tradito, con tale gesto, la memoria di coloro che sono morti per la libertà della patria, consegnando quello che a Sukhumi definiscono un “terrorista” nelle mani della Georgia.

Sentendosi in dovere di giustificare tale provvediemento, i servizi di sicurezza abkhazi hanno voluto ricordare come la scarcerazione di Lukava fosse in realtà parte di un più ampio scambio di prigionieri tra Abkhazia, Georgia e Ossezia del Sud, richiesto tempo addietro da Tskhinvali e realizzatosi nel marzo del 2016. Per una serie di problemi non precisati, il rilascio di Lukava, che le autorità di Sukhumi avrebbero dovuto scambiare insieme ad altri otto cittadini georgiani, sarebbe però saltato all’ultimo momento. Una volta risolti i problemi in questione, hanno fatto sapere le autorità abkhaze, Lukava sarebbe stato stato regolarmente consegnato alle autorità georgiane.

Le spiegazioni fornite dai servizi di sicurezza non sono però bastate a placare la rabbia dell’opposizione, che ha iniziato a mobilitarsi, convocando il 2 gennaio un consiglio politico e annunciando per il giorno successivo una manifestazione di protesta davanti agli edifici dell’amministrazione presidenziale, alla quale hanno partecipato centinaia di dimostranti. Spostatisi successivamente davanti alla sede dell’Assemblea Popolare (il parlamento locale), i manifestanti hanno indotto i membri di quest’ultima a organizzare una riunione d’emergenza, durante la quale è stata creata una commissione parlamentare d’inchiesta al fine di indagare sulla liberazione di Lukava.

Sempre più sotto pressione, Khadzhimba ha invitando la popolazione abkhaza ad astenersi dal dare ascolto agli “appelli provocatori” dell’opposizione, accusata di destabilizzare il paese, cercando di fornire in una nota ulteriori chiarimenti in merito alla vicenda. A partire dalla metà di gennaio il presidente abkhazo ha inoltre organizzato una serie di incontri con la popolazione delle città di Ochamchira, Gudauta, Gagra, Gali, Gulripshi e Tkvarcheli, al fine di spiegare la propria versione dei fatti in merito al rilascio di Lukava.

Nel frattempo però, l’opposizione ha continuato a portare avanti la propria crociata contro il Presidente, dando vita all’inizio di gennaio alla “Unione dei partiti politici e delle organizzazioni pubbliche dell’Abkhazia” (Sojuza političeskich partij i obščestvennych organizacij Abchazii), guidata dal movimento Amtsakhara e dal partito Abkhazia Unita. Come affermato dal deputato Aslan Bzhania, presidente di APRA (Fondazione per gli studi politici e socio-economici), una delle entità che compongono la neonata organizzazione, l’obiettivo della stessa sarebbe “creare la condizione per cui il capo dello Stato si dimetta volontariamente dai suoi poteri prima del previsto”.

Raul Khadzhimba ricopre il ruolo di capo dello Stato della Repubblica d’Abkhazia dal settembre 2014, quando venne nominato presidente in seguito all’esplodere di una crisi politica da lui stesso (all’epoca a capo dell’opposizione) fomentata, che si concluse con le dimissioni di Alexander Ankvab. Alle elezioni di agosto Khadzhimba ricevette circa il 50% dei consensi, riuscendo ad avere la meglio proprio su Bzhania, che ora ne chiede la testa.

Le proteste scatenate dalla liberazione di Lukava hanno origine in un contesto di prolungato malcontento generale; da tempo infatti la società abkhaza lamenta l’intensificarsi della crisi economica e l’aumento di fenomeni come la corruzione e la criminalità, chiamando la leadership politica ad attuare riforme concrete. Negli ultimi anni la popolarità di Khadzhimba è progressivamente venuta meno, facendolo diventare sempre più esposto alle critiche dell’opposizione, che ha approfittato dell’errata gestione del caso Lukava per sferrare un deciso attacco al presidente abkhazo, il quale, gestendo in maniera più chiara e trasparente il rilascio del prigioniero georgiano, avrebbe forse potuto evitare il degenerare della situazione.

Foto: RFE/RL

Chi è Emanuele Cassano

Ha studiato Scienze Internazionali, con specializzazione in Studi Europei. Per East Journal si occupa di Caucaso, regione a cui si dedica da anni e dove ha trascorso numerosi soggiorni di studio e ricerca. Dal 2016 collabora con la rivista Osservatorio Balcani e Caucaso.

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