UCRAINA: Il picchio russo metallico di Chernobyl-2

Da CHERNOBYL, UCRAINA La nuvola di polvere radioattiva che nel 1986 ha provocato l’evacuazione dell’intera città di Pripjat’ ha lasciato traccia anche nella città chiusa di Chernobyl-2. Qui, tra la vegetazione spontanea, si nasconde il Picchio Russo, un sistema radar conosciuto anche come Duga-3 e sospettato di aver causato il disastro nucleare.

Un picchio metallico chiamato Duga-3

Nascosto fra le foreste radiottive della Polesia c’è un picchio particolare che ha smesso di farsi sentire nel 1989, con la fine della Guerra Fredda. Un picchio con un battito strano, dal suono metallico e tagliente, e molto fastidioso. Si tratta del Duga-3, un sistema di trasmissioni radio in grado di captare radar a lungo raggio e facente parte di una delle installazione militari più potenti dell’Unione Sovietica. The Russian Woodpecker, come venne poi soprannominato, era infatti un impianto che arrivava a disturbare le comunicazioni di buona parte del mondo e destare una certa curiosità e preoccupazione ovunque. In grado di captare missili balistici intercontinentali immediatamente dopo il lancio, i sovietici, in caso di attacco da parte degli Stati Uniti (o di qualsiasi altro avversario), avrebbero potuto individuare istantaneamente qualsiasi minaccia.

Un’occhiata alle mappe satellitari dell’area ci mostra questa gigantesca struttura arcuata (“duga” in russo significa appunto “arco”) connessa all’impianto nucleare di Chernobyl da due linee elettriche di 330 kiloVolt, e appartenuta al sistema anti-missilistico dell’ex-URSS. Questo sistema di antenne, lungo più di mezzo chilometro e alto più di 150 metri, è la versione migliorata del Duga-1 e Duga-2, costruiti entrambi nei pressi della cittadina ucraina di Mykolaïv e comunicanti con quelli della città chiusa di Lian-2, situata sull’autostrada tra Chabarovsk e Komsomolsk-na-Amure, nella Federazione russa. Il sistema Duga-3 funzionava grazie a un array di trasmettitori e uno di ricevitori distanti circa 60 km l’uno dall’altro e situati tra Chernobyl-2 e Liubech-1, le due città chiuse che ospitavano rispettivamente l’antenna e l’oscillatore del radar. L’intera struttura, costata oltre i 7 milioni di rubli, è stata scoperta solo con il crollo dell’Unione Sovietica, anche se i sospetti uscirono in seguito all’incidente nucleare.

Un woodpecker a capo del disastro nucleare?

In seguito al disastro nucleare, Duga-3 è finita a far parte della Zona di esclusione, rimanendo praticamente intatta, seppur arrugginita. Tappa per i turisti amanti dell’orrido che visitano Chernobyl e vietata ai non addetti ai lavori in quanto area dedicata allo “spionaggio spaziale”, la base è oggi visitabile ma completamente abbandonata, se non si contano i militari del posto di blocco situato vicino al cancello d’ingresso, ancora decorato con due stelle rosse risalenti all’epoca sovietica. Tutto sembra essersi congelato nel tempo: si possono ancora scorgere i murales tematici del realismo socialista, poster con falce e martello e apparecchiature radio dell’epoca. Vera icona della guerra fredda, la città chiusa di Chernobyl-2, ora deserta, era segnata sulle mappe come “campeggio estivo” e contava più di 1.500 persone operative che gravitavano nei suoi pressi.

Da anni si pensa di smantellare le enormi strutture di ferro arrugginito considerate un pericolo, in quanto il loro crollo potrebbe causare un micro-terremoto non indifferente, soprattutto per il materiale radioattivo presente. Le apparecchiature di valore sono state esportate nella stazione gemella di Komsomolsk-na-Amure già nel 1987, quando la dirigenza sovietica capì l’entità del disastro ecologico avvenuto l’anno prima.

La fusione del reattore numero 4 ha gravemente danneggiato il Picchio, che ha tuttavia smesso di funzionare definitivamente ben tre anni dopo la catastrofe. Da allora, il sospetto che il woodpecker fosse stata la causa del disastro nucleare non è mai stata smentita completamente e la segretezza che circondava questa installazione di sicuro non ha aiutato a chiarirne la questione. Sull’argomento nessuno si è mai addentrato in quanto gli archivi restano ancora chiusi, ma esiste l’idea che l’incidente possa essere stato innescato da un terremoto, come in Giappone, e non da un errore umano come dichiarato nella versione ufficiale del KGB. A questo proposito è uscito un documentario diretto da Chad Garcia, vincitore del Gran Premio della Giuria al Sundance Film Festival nel 2015, che racconta la storia di Fedor Alexandrovič, artista ucraino contaminato dalle radiazioni. Ne “Il complotto di Chernobyl” Fedor indaga sulle ragioni della catastrofe nel bel mezzo della rivoluzione ucraina, portando alla luce verità e congetture a cui si può credere o non credere.

Da “picchi” a “container” e “girasoli”

Recentemente alcuni radioamatori hanno avvertito un segnale molto simile a quello di Duga-3. Il segnale inquietante è stato analizzato da diversi esperti, che ne hanno accertato l’autenticità e la provenienza. Ricorda effettivamente il woodpecker in tutte le sue caratteristiche e probabilmente si tratta di un nuovo radar russo a lungo raggio (Over the Orizon) chiamato Kontainer (29Б6 «Контейнер») il cui trasmettitore è situato a Kovylkino, nella Repubblica di Mordovia. Operativo dal dicembre 2013, l’impianto riesce a captare missili balistici fino a una distanza di 3000 chilometri. Al contrario del suo predecessore Duga, le perturbazioni causate alle ionosfera sono di gran lunga minori e il segnale molto meno percepibile rispetto a quello del picchio sovietico, e ciò grazie ai continui miglioramenti effettuati, sempre in evoluzione. Kontainer non è però l’unico tipo di radar che la Russia sta costruendo all’interno dei suoi territori, soprattutto in Siberia e Kamchatka, dove spuntano anche i Sunflower (“Подсолнух” – girasole in russo), radar ancora più precisi che riescono a rilevare la presenza di oggetti non visibili in quanto posti sul lato del pianeta nascosto dell’orizzonte. Una vera sfida alle leggi della fisica, che non lascia di certo tranquilli.

Chi è Claudia Bettiol

Nata lo stesso giorno di Gorbačëv nell'anno della catastrofe di Chernobyl, sono una slavista di formazione. Grande appassionata di architettura sovietica, dopo un anno di studio alla pari ad Astrakhan, un Erasmus a Tartu e un volontariato a Sumy, ho lasciato definitivamente l'Italia per l'Ucraina, dove attualmente abito e lavoro. Collaboro con East Journal e Osservatorio Balcani e Caucaso, occupandomi principalmente di Ucraina e dell'area russofona.

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