GEORGIA: Pore Mosulishvili, un eroe per due mondi

A Kvemo Machkhaani, piccolo villaggio della regione georgiana della Cachezia, sul monumento dedicato ai Caduti della Seconda Guerra Mondiale si legge una citazione di Stalin: “Gloria eterna agli eroi morti in battaglia per l’onore e la vittoria della nostra patria”.

Le parole suonano ironiche, considerando lo stato di abbandono del monumento, ma nel periodo tra gli anni settanta e la fine della guerra fredda, questo villaggio è stato una tappa obbligata nel tour dei membri del Partito Comunista Italiano in Georgia.

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La ragione di questo pellegrinaggio è che a Kvemo Machkhaani si trova la Casa-Museo in memoria di Pore Mosulishvili, il più noto fra i georgiani che, a partire dal 1943, si sono uniti alla Resistenza italiana. Il suo ruolo è stato riconosciuto ufficialmente con l’assegnazione postuma della Medaglia d’Oro al valore militare italiana (1970) e quella di Eroe dell’Unione sovietica (1989).

Il testo in Gazzetta Ufficiale che motiva l’assegnazione della Medaglia d’Oro spiega come Mosulishvili combatté nell’Armata Rossa dal 1939 al 1944 quando, catturato, venne messo a capo di un reparto composto da ex prigionieri russi che in Italia, nei pressi di Stresa, ricevette compiti di presidio, retrovia e controllo dell’attività partigiana.

Tuttavia, nel settembre 1944, “il georgiano disertava dall’esercito tedesco alla testa di una settantina di militari suoi connazionali al completo di armamento e di equipaggiamento, ed entrava come partigiano combattente nelle formazioni italiane operanti in Lombardia”.

Il 3 dicembre 1944, accerchiato con il suo reparto e dopo aver esaurito totalmente le munizioni in un lungo combattimento nei pressi del paese di Belgirate, “stava per accedere all’ultima intimazione di resa del nemico che prometteva salva la vita a tutti a condizione che il comandante del reparto si consegnasse vivo, egli spontaneamente […] si presentava all’avversario dichiarando di essere lui il comandante. Contemporaneamente, con mossa fulminea estraeva la pistola e si faceva esplodere alla tempia l’ultimo colpo gridando: «Viva la Russia, viva l’Italia libera»”.

Nel dopoguerra la narrazione della vita di Mosulishvili è progressivamente entrata nel discorso propagandistico italiano e sovietico sulla commemorazione della guerra.

Secondo lo storico Pietro Prini, autore del libro “Terra di Belgirate”, ricordare personaggi del calibro di Mosulishvili per gli ex partigiani significava riconoscere non solo il valore del caduto georgiano, ma anche “il carattere di concreta solidarietà internazionalista che la Resistenza aveva assunto”. Per questo la Medaglia d’Oro, rilasciata dal Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, venne consegnata ai famigliari da una delegazione di partigiani novaresi recatisi in Georgia nel 1970.

Tale delegazione trovava il governo sovietico particolarmente ricettivo sul tema della commemorazione del conflitto mondiale. Infatti, come sottolinea la storica Nina Tumarkin nel libro “The Leaving and the Dead”, il mito della “Grande Guerra Patriottica” si è istituzionalizzato in Unione sovietica solo dopo la morte di Stalin e, in particolare durante l’epoca di Brezhnev, quando la memoria collettiva del conflitto divenne uno strumento di promozione nazionalistica.

Nel 1972, venne quindi istituita la Casa-Museo a Kvemo Machkhaani e, similmente, nel 1987, a Belgirate, aprì la Baita della libertà, entrambe in memoria di Mosulishvili.

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Dopo il crollo dell’URSS e la seguente guerra civile in Georgia, il museo è stato abbandonato e si sono persi i rapporti con l’Italia che erano stati stretti fino alla fine degli anni ottanta. Nel 2011, tuttavia, il comune di Sighnaghi ha finanziato la riapertura del museo per rilanciare il turismo della città. 

Oggi, la Casa-Museo è una tipica abitazione contadina abitata dai parenti di Mosulishvili. All’interno si trovano alcuni strumenti agricoli dell’epoca, fotografie e ritratti del partigiano. Il luogo riceve poche decine di visitatori l’anno e l’impressione è che il mito di Mosulishvili, abbia perso ogni importanza nel discorso propagandistico georgiano.

Foto di Aleksej Tilman (luglio 2017)

Chi è Aleksej Tilman

È nato nel 1991 a Milano dove ha studiato relazioni internazionali all'Università statale. Ha vissuto due anni a Tbilisi, lavorando e specializzandosi sulle dinamiche politiche e sociali dell'area caucasica all'Università Ivane Javakhishvili. Parla inglese, russo e conosce basi di georgiano e francese.

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