SERBIA: Se un criminale di guerra sale in cattedra

Da BELGRADO – L’ex comandante delle truppe serbe di stanza a Pristina durante la guerra del Kosovo, il generale Vladimir Lazarević, è stato pubblicamente omaggiato dal ministro della difesa serbo Aleksandar Vulin. Non solo, il ministro ha infatti dichiarato che sarebbe un onore vedere Lazarević insegnare all’accademia militare di Belgrado. Tale dichiarazione di per sé non sarebbe nemmeno troppo controversa, se non fosse però che Lazarević è un criminale di guerra. Nel suo curriculum militare rientrano infatti anche operazioni di pulizia etnica nel periodo tra il 1998 e il 1999, nel pieno della guerra in Kosovo.

Chi è Lazarević?

Nella prima metà del 1999, il generale Lazarević ebbe il controllo su tutte le truppe armate nella regione del Kosovo. Tra marzo e giugno 1999, le truppe sotto il comando di Lazarević eseguirono azioni di pulizia etnica, espellendo la popolazione albanese in quella che fu chiamata “Operazione ferro di cavallo” – un episodio determinante proprio per l’inizio dei bombardamenti NATO sulla Repubblica Federale di Jugoslavia.

Dopo la fine della guerra, Lazarević continua la sua carriera militare, sempre tra i più alti gradi dell’esercito serbo-montenegrino. Nel 2003 arriva l’accusa di crimini contro l’umanità e crimini di guerra del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Il tribunale dell’Aja chiede conto ai generali Lazarević, Pavković, Lukić e Đorđević dell’espulsione della popolazione albanese dalla regione del Kosovo in quella che la giurisprudenza del tribunale inquadra come “impresa criminale congiunta” (joint criminal enterprise).

Nel 2009 arriva la sentenza di condanna per crimini contro l’umanità e per violazione delle consuetudini di guerra a 15 anni di prigione. Nel 2015, dopo aver scontato i due terzi della condanna, torna in libertà, ricevendo le onoreficenze militari al suo arrivo all’aeroporto di Niš, alla presenza di diversi ministri.

Riscrittura della storia?

Che quanto in atto nell’ex Jugoslavia sia un tentativo di reinterpretare i fatti della guerra degli anni ’90, accusando “l’altro” per le proprie responsabilità militari, non è una notizia che stupisce più di tanto. Tuttavia, si tratta di una prassi che, paradossalmente, è più in voga oggi piuttosto che nell’immediato dopoguerra. La diretta conseguenza di questa reinterpretazione della storia recente è la riabilitazione, morale nonché istituzionale, dei personaggi chiave di quel periodo. Il desiderio di vedere Lazarević insegnare ai cadetti serbi da parte del ministro Vulin non è dunque dovuto alle particolari conoscenze in campo militare dell’ex generale – considerando, tra l’altro, che lo stesso Vulin per quanto sia ministro della difesa non ha mai effettuato il servizio militare – ma esclusivamente per riaffermare la giustezza delle azioni militari serbe e fornire al pubblico l’immagine di un martire-eroe che ora andrà ad insegnare alle future generazioni militari del paese.

In via del tutto simile, il processo di riabilitazione degli ex comandanti delle guerre degli anni ’90 ha riguardato anche Veselin Šljivančanin. Ex colonnello dell’Esercito Popolare Jugoslavo, già condannato dal tribunale dell’Aja a dieci anni per le torture compiute a Vukovar nel 1991 a danno della popolazione croata, Šljivančanin ad inizio 2017 diventò testimonial della campagna elettorale del partito di governo, il Partito Progressista Serbo del presidente Aleksandar Vučić.

Come sottolineato da Loic Tregoures per Balkan Insight, si tratta di un chiaro esempio di dissonanza cognitiva, attraverso il quale coloro che sono stati condannati per i crimini commessi diventano ora difensori della causa serba, se non addirittura eroi nazionali. Tale processo viene oltremodo incentivato sulla base dei crimini degli “altri”, che fungono da giustificazione e contrappeso per le accuse dei “propri” crimini. Naturalmente, questo processo ha ricadute a livello sociale, dal momento che Lazarević andrebbe ad insegnare alle future generazioni militari della Serbia e dai cadetti non verrebbe visto come un criminale di guerra, ma come un esempio da seguire per la difesa del paese.

Come all’epoca di Milošević

Mentre nell’immediato dopoguerra Lazarević ricevette da parte del regime di Milošević onoreficenze e avanzamenti di carriera, il comportamento dell’attuale governo di Belgrado in merito ai crimini degli anni Novanta sembrerebbe ancor più preoccupante. Oltre all’ “orgoglio” di Vulin, fanno riflettere le parole del primo ministro Ana Brnabić che ha dichiarato che Lazarević è “un uomo libero che ha saldato il conto con la giustizia”. Una dichiarazione che ha sì del vero ma che allo stesso tempo non scagiona i colpevoli dalle loro responsabilità passate, soprattutto qualora questi andassero a ricoprire funzioni pubbliche di carattere educativo. E soprattutto, non dà alcun contributo alla presa di coscienza dei crimini compiuti, né tanto meno al processo di riconciliazione nella regione.

Chi è Giorgio Fruscione

Giorgio Fruscione è Research Fellow e publications editor presso ISPI. Ha collaborato con EastWest, Balkan Insight, Il Venerdì di Repubblica, Domani, il Tascabile occupandosi di Balcani, dove ha vissuto per anni lavorando come giornalista freelance. È tra gli autori di “Capire i Balcani occidentali” (Bottega Errante Editore, 2021) e ha firmato due studi, “Pandemic in the Balkans” e “The Balkans. Old, new instabilities”, pubblicati per ISPI. È presidente dell’Associazione Most-East Journal.

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