Attentato ad Oslo, fondamentalismo cristiano e populismo

E’ successo. L’Europa ha avuto un brusco risveglio stamane. Un’autobomba è esplosa ieri nel centro di Oslo, a pochi passi dal palazzo che ospita gli uffici del primo ministro e numerose redazioni di quotidiani. Alle 15.36 una nera nube di fumo si alza dal cuore politico della città, l’attentato è avvenuto sulla Akergataa, la strada che porta alla fortezza di Akershus, lo storico bastione eretto a protezione del porto. La deflagrazione distrugge gli edifici che si affacciano sulla strada e fa saltare le finestre di tutti quelli circostanti. Lo scoppio, i detriti e le schegge di vetro si abbattono sui passanti. Una decina i morti. Il primo ministro laburista Jens Stoltenberg non era nei suoi uffici. Viene portato in un luogo segreto per alcune ore. Avrebbe dovuto recarsi all’isola di Utoya per portare i suoi saluti ai giovani laburisti in raduno, tra loro anche i suoi figli. Ad andarci è invece l’attentatore.

nella foto: il primo ministro norvegese Jan Stoltenberg

Utoya è un’isola a una decina di chilometri da Akergataa. Mentre la polizia accorre in massa verso il luogo dell’esplosione, l’attentatoretravestito da poliziotto – arriva a Utoya armato fino ai denti. Spara sui giovani con raffiche di mitra. Non si contano i corpi. Qualcuno si finge morto, invano. L’attentatore ha un colpo in canna, dritto alla testa, per ognuna delle sue vittime. Ad ora si contano 91 morti, numero destinato a salire: il primario dell’ospedale di Oslo conta venti feriti gravi.

Le agenzie ribattono la notizia, l’incredulità attraversa il vecchio continente. Si parla di matrice jihadista ma a crederci è solo qualche anima bella. Il male, che è sempre facile cercare fuori di noi, nell’altro, è invece tutto nostro: si chiama Anders Behring Breivik, trentadue anni, norvegese fino al midollo. Su di lui si susseguono notizie di nessun conto: sul suo profilo facebook o sui suoi videogame preferiti. Bisogna a tutti i costi dargli i connotati del folle, così da porre ancora una volta fuori di noi, fuori dalla normalità, il “male”. Pare che Anders Behring Breivik sia vicino ad ambienti di estrema destra. Facile associare il “male” alla croce uncinata ma, in questo caso, l’estrema destra è cristiano-populista. A questi ambienti farebbe riferimento l’attentatore, colto, ricco, che forse ha agito da solo forse si è appoggiato a movimenti analoghi fuori dalla Norvegia, in Svezia o Danimarca, dove tali movimenti sono più strutturati. Ma che abbia agito da solo o meno, è poco importante: ciò che conta è il tessuto sociale in cui questo fatto si radica.

Che esista un fondamentalismo cristiano in Europa è cosa che più volte, con le nostre esili voci, abbiamo provato a dire: che nazionalismo, religione, xenofobia e intolleranza, financo alla violenza, si leghino indissolubilmente, lo abbiamo scritto già in passato (parlando in particolare dei casi polacco e serbo) e lo ripetiamo. Con questo, si badi, non s’intende criminalizzare i movimenti cristiani ma evidenziare come l’estremismo religioso endogeno è altrettanto pericoloso che quello esogeno. L’Europa ha un tumore, l’Europa sta scivolando nel gorgo dell’intolleranza, l’Europa è in crisi di identità. In Norvegia come in buona parte del vecchio continente, il locale partito populista (denominato “partito del progresso“) ha ottenuto il 23% alle ultime elezioni parlamentari del 2009. Proprio nella provincia di Oslo ha superato il 27% dei consensi. La sua ideologia è una summa del populismo moderno: favorevole all’economia di mercato e contrario all’aumento delle tasse (quindi contrario al welfare), ritiene fondamento della società la famiglia naturale (quindi omofobia e niente coppie di fatto), richiede maggiore sicurezza e incremento delle forze di polizia (retorica della paura), è contrario alle politiche di asilo e all’immigrazione (xenofobia più o meno latente). Elementi che, pur differentemente dosati, si ritrovano in tutti i partiti del genere nel vecchio continente, Italia compresa.

Negare una relazione tra questo tipo di populismo ed episodi di violenza come quello avvenuto in Norvegia ieri, è impossibile. Le retoriche della divisione e della paura generano violenza sociale. Allo stesso tempo sarebbe troppo facile gettare la croce addosso ai partiti populisti che sono “solo” un sintomo della malattia, una malattia diffusa in tutta Europa, una malattia morale. E’ stato un brusco risveglio per l’Europa quello di stamane. L’obiettivo degli attentati di Oslo era uno solo -lo ha detto lo stesso premier Stoltenberg-: la “nostra” democrazia, il vivere civile, la coesione sociale, la tolleranza.  “Un incubo nazionale”, ha detto il premier. Un incubo europeo. Mi si permetta una pelosa osservazione: la democrazia non è immutabile, ma metterla in discussione non vuol dire distruggerla. La democrazia è la possibilità della democrazia. Il contrario è Oslo, 22 luglio 2011.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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4 commenti

  1. Spero di non turbare il vostro pregevole understatement affermando di aver letto oggi sul CorSera con raccapriccio il pezzo di Claudio Magris il quale miniaturizza l’accaduto in un fatto di cronaca nera, assimilando l’omicida nazi a un Landru o a uno Jack lo Squartatore. “Sarebbe infame, chiosa il professore “usarlo per infangare l’uno o l’altro movimento politico”. Così, in un sol botto, non solo si disinnesca un’ideologia, ma si ventila che una parte politica e la sua opposta siano da mettersi sempre allo stesso livello. Come se i progetti politici avessero lo stesso peso, la stessa etica. Come se chi sterimina, chessò, la propria famiglia, non fosse radicalmente differente da chi stermina richiamandosi a un’ideologia (per quanto naif). In questo caso poi un crimine dal peso diversissimo se non altro perchè un mucchio di penne sono rimaste inoperose nel loro calamaio non pontendosi intingere nel fondamentalismo islamico. Non esiste solo la banalità del male, ma anche la banalità tout court.
    Saluti.

    • giuseppe sparatore

      In effetti Cristina pecca(a mio avviso)d’intolleranza,nel senso che “DISCONOSCE”la matrice socio-politica che accomuna i partiti che sono al governo come all’opposizione,tant’è che hanno tollerato o,”supportato”i cani sciolti o quasi del loro ELETTORATO e,quanto ha una simiglianza con le posizioni politiche di qualche paese BALTICO che a suo tempo ebbe anche la BENEDIZIONE di GIOVANNI PAOLO II che nell’esaltare le rivoluzioni baltiche chiuse gli occhi sui GENOCIDI e le PULIZIE ETNICHE:

      • Grazie anzitutto per la partecipazione. Personalmente, ma credo di parlare a nome di tutta la redazione, non sono (siamo) militanti. Per cui non ritengo che si debba “criminalizzare” l’estremismo di destra ma credo che si debba sempre vigilare, criticare, denunciare, ragionare quando fatti come questo di Oslo portano alla luce una sotterranea (a mio avviso) crisi morale che attraversa il continente tutto. Non ho letto il corsivo di Magris ma, se le cose stanno come dice Cristina, allora condivido il suo “raccapriccio” poiché derubricando fatti del genere a cronaca nera si impedisce di ragionare sulle cause profonde che lo hanno determinato. E concordo anche che non tutte le battaglie delle parti politiche abbiano medesimo valore. Non se queste battaglie inneggiano alla violenza, al sopruso, alla discriminazione. Anche le idee più radcali, secondo me, sono importanti (fosse solo come “sintomo”) purché non escano dai limiti dell’agone democratico. Non a caso il significato originario di “libertas” è “operare entro i limiti”. Sulle osservazioni di Giuseppe, certo ci sono state colpevoli “congiunture” tra le parti politiche nei confronti di questa o quella realtà. Entrambe vanno denunciate: personalmente (lo potete leggere) ho sempre ritenuto iniquo il bombardamento di Belgrado del 1999 (governo D’Alema) come la benedizione di Giovanni Paolo II all’indipendenza croata. Qualcuno mi ha tacciato di essere filo-serbo, poi ha letto quanto scritto su Srebrenica o Vukovar e ha cambiato idea. Tutte le storture vanno denunciate, comprese quelle che fanno “comodo a tutti”. Capisco, dunque, quanto affermato da Giuseppe. Meno comprendo cosa intende dire per “comune matrice socio-politica”. Cioè, proprio non ho capito a cosa si riferisce.Che in fondo tutti i partiti sono uguali? E dove? In Norvegia, in Italia, in Europa?

        grazie ancora

        Matteo

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