In Cina si diffonde il sospetto verso le minoranze, a rischio le relazioni con l’Asia Centrale

Il rapporto tra il governo centrale cinese e l’ovest del paese non è mai stato semplice, a decenni di lotta ai movimenti separatisti del Xinjiang si è aggiunta la paura che il fondamentalismo islamico faccia breccia tra la popolazione locale degli uighuri, di etnia turca e di fede musulmana. La diffusione di video dell’ISIS, contenenti minacce specifiche alla Cina, hanno addirittura portato il presidente Xi Jinping a parlare della costruzione di un “muro di ferro” a protezione del Xinjiang. Negli ultimi mesi sono inoltre state adottate nuove misure per prevenire la radicalizzazione della regione.

Proibizione del burqa per le donne e della barba per gli uomini, divieto d’ingresso in moschea per i minorenni, obbligo ai negozianti di non chiudere le saracinesche durante il ramadan; queste sono alcune delle norme, volte a combattere i tre mali del separatismo, terrorismo ed estremismo, a cui i musulmani del Xinjiang devono adeguarsi. Dall’ottobre 2016 agli uighuri sarebbero anche stati ritirati i passaporti, mentre a coloro che si trovavano all’estero per motivi di studio è stato recentemente intimato il rientro in patria, pena la possibilità di condanne fino a dieci anni di carcere.

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Tuttavia il fenomeno che preoccupa anche gli osservatori internazionali è quello dei centri di rieducazione, dove sarebbero inviati tutti i sospetti di possibili legami con l’estremismo islamico. Per dare adito a sospetti basta avere fatto un pellegrinaggio alla Mecca oppre avere compiuto diversi viaggi all’estero. Alle famiglie degli internati, il cui numero è pressoché sconosciuto, a volte non viene nemmeno comunicato il luogo di detenzione, una privazione della libertà non derivante da procedimento giudiziario e contraria alla stessa costituzione cinese, in particolare all’Art.37.

Di particolare interesse notare che ad essere sempre più coinvolte sono anche le altre minoranze turche e musulmane del Xinjiang, vale a dire i kazaki ed i kirghisi. Ad essere colpiti sono soprattutto coloro che hanno lasciato la Cina ed ottenuto la cittadinanza kazaka e kirghisa (chiamati rispettivamente oralmans e kairylman), quando tornano nel paese d’origine per visitare dei parenti o per altri motivi. Non sono rari i casi di persone scomparse nel nulla lungo il confine tra la Cina e le repubbliche centroasiatiche, tra questi anche studenti rientrati in famiglia per le vacanze.

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Il coinvolgimento di cittadini kazaki e kirghisi sta diventando motivo di imbarazzo nei rapporti tra Pechino e le repubbliche confinanti, con le quali sono in corso importanti accordi commerciali. Se l’Asia Centrale è un territorio dove i cinesi hanno fatto importanti investimenti, dall’altro rappresenta un luogo dove l’Islam può essere professato più liberamente che nel Xinjiang, il che lo rende sospetto agli occhi delle autorità cinesi. La situazione rischia di diventare un vero grattacapo per i governi centroasiatici, tesi tra interessi economici ed esigenze legate alla politica interna.

Gran parte delle popolazioni di questi paesi vedono negli investitori cinesi degli sfruttatori delle risorse locali e nei lavoratori giunti a costruire strade ed infrastrutture una pericolosa concorrenza. Il Kazakistan ha già visto fallire una riforma agraria per via delle proteste anticinesi, uno dei motivi per cui i media tentano di oscurare la situazione che i connazionali di origine cinese stanno vivendo. Situazione invece sfruttata dall’opposizione in chiave antigovernativa con il rischio di soffiare sul fuoco del nazionalismo, che in Asia Centrale si è spesso rivelato una miccia per esplosioni di violenza.

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Nel frattempo le autorità kazake hanno dichiarato di voler aumentare considerevolmente le esportazioni di gas verso la Cina, facendo del giacimento di Amangeldy un grande deposito per il gas proveniente da Uzbekistan e Turkmenistan. Un progetto, quello kazako, che non mancherà di creare tensioni con le altre potenze energetiche della regione, una tensione che le paure cinesi potrebbero esacerbare obbligando le repubbliche centroasiatiche a barcamenarsi in una situazione sempre più complicata in cui politica ed economia potrebbero ritrovarsi ad avere obiettivi differenti.

Fonte immagine: Max Pixel

Chi è Pietro Acquistapace

Laureato in storia, bibliofilo, blogger e appassionato di geopolitica, scrive per East Journal di Asia Centrale. Da sempre controcorrente, durante la pandemia è diventato accompagnatore turistico. Viaggia da anni tra Europa ed Asia alla ricerca di storie e contatti locali. Scrive contenuti per un'infinità di siti e per il suo blog Farfalle e Trincee. Costantemente in fuga, lo fregano i sentimenti.

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