La guerra in Siria spiegata facile

La guerra in Siria è un conflitto difficile da raccontare e riassumere. Abbiamo tentato di evidenziare i passaggi chiave, gli interessi – mutevoli – e gli equilibri di forze attraverso lo schema della domanda e risposta, seguendo un andamento perlopiù cronologico. Per farlo abbiamo dovuto semplificare, escludendo alcuni aspetti. L’intenzione è quella di offrire ai lettori un quadro complessivo del conflitto fornendo strumenti essenziali a una corretta comprensione della vicenda. L’articolo è stato scritto con la collaborazione della nostra redazione Medio Oriente.

Come è cominciata la guerra in Siria?

Quello che è successo in Siria non comincia come una guerra, comincia con manifestazioni pacifiche che hanno coinvolto migliaia di siriani, organizzati in comitati locali, sull’onda di quelle che sono state chiamate “primavere arabe”, ovvero un vasto movimento di protesta che ha coinvolto gran parte del mondo arabo. Quella in Siria è diventata una guerra nell’autunno del 2011 a causa della reazione di Assad che ha represso con forza le proteste, sparando sulla folla. Messi di fronte all’impossibilità di manifestare pacificamente una parte dei siriani ha dunque preso le armi.

Chi ha preso le armi?

Si tratta di tre categorie di persone. La prima è quella di coloro che prima dimostrava pacificamente ma che la repressione ha esasperato. La seconda è composta da quei soldati e membri della forze di sicurezza che hanno disertato a seguito della condotta di Assad dando vita all’Esercito Siriano Libero. La terza sono i fondamentalisti islamici. Questi ultimi si dividono i due parti: da un lato quelli che erano nelle carceri di Assad e sono stati liberati dal regime con un’aministia; dall’altra persone che sono confluite in Siria dall’estero (Iraq, Libia, Giordania).

Come si è sviluppata la guerra?

Una prima fase della guerra è quella che va dal 2011 alla metà del 2013 e che ha visto contrapporsi il regime di Assad e l’Esercito Siriano Libero. In questo periodo gli scontri hanno coinvolto tutta la Siria segnando la sconfitta di Assad che ha rapidamente perso il controllo di tre quarti del paese, oltre a città importanti come Raqqa, Hama e Homs. Contestualmente però anche i fondamentalisti islamici hanno cominciato a reclutare uomini e farsi arrivare armi acquisendo sempre più potere. E più il loro potere e la loro capacità economica aumentavano, più erano in grado di attrarre combattenti provenienti anche dall’Esercito Siriano Libero che, così, si è sempre più disgregato. Assad, dal canto suo, per far fronte alla situazione chiede aiuto a Hezbollah, organizzazione politico militare sciita libanese, essendo l’alleato più prossimo (anche geograficamente).

… i fondamentalisti islamici, ma chi sono?

Si possono dividere in due grandi gruppi, quello dell’Islam politico, conservatore più che fondamentalista, con idee anche radicali ma che non intende creare uno stato islamico o un grande califfato, e che ruota attorno alla Fratellanza Musulmana, da circa un secolo il più grande movimento politico panarabo. L’altro gruppo è composto dagli jihadisti veri e propri, in larga parte provenienti dall’estero, che ruotano attorno alla rete di al-Qaeda. I due gruppi sono stati anche in conflitto tra loro durante la guerra.

Siamo arrivati al 2013, come procede la guerra?

Dalla seconda metà del 2013 la guerra entra in una nuova fase che vede la comparsa e l’ascesa dell’ISIS, segnando al contempo la definitiva frammentazione dell’Esercito Siriano Libero che si sfalda creando decine di piccoli gruppi armati.

Come nasce l’ISIS?

Bisogna anzitutto sapere che, dal 2011, in Siria era attiva una formazione militare jihadista chiamata Fonte al-Nusra, branca locale di al-Qaeda. Questa formazione entra in crisi proprio alla metà del 2013 quando al-Qaeda in Iraq riesce a penetrare nel paese e impone una fusione dei due gruppi. Ma al-Nusra non ci sta a fondersi, così comincia una guerra tra le due fazioni che vede al-Nusra sconfitta. La vittoria di al-Qaeda in Iraq spazza via anche i rimasugli dell’Esercito Siriano Libero nell’est del paese. Al-Qaeda, già presente in Iraq, vede così estendersi il proprio controllo anche sulla Siria e battezza il nuovo e più grande dominio col nome di Stato Islamico dell’Iraq e della Siria, da cui l’acronimo ISIS. Tuttavia l’ISIS non controlla tutta la Siria ma solo la parte orientale. In quella occidentale rimangono Assad e il suo esercito, alcuni gruppi sopravvissuti allo sfascio dell’Esercito Siriano Libero, e i militanti di al-Nusra sfuggiti all’ISIS.

E gli americani stanno a guardare?

Stanno a guardare finché l’ISIS, che combatte su due fronti, da un lato la Siria e dall’altro l’Iraq, conquista l’importante città di Mosul e minaccia Baghdad. Così, nel settembre 2014 gli americani attaccano l’ISIS ma solo in Iraq, senza colpirlo nei territori siriani. Prima di quella data gli Stati Uniti hanno addestrato e armato vari gruppi ribelli la cui azione, però, era risultata poco efficace.

Quindi in Siria la guerra continua come prima?

Più o meno, poiché la presenza dell’ISIS fa il gioco di Assad. L’ISIS infatti non attacca mai Assad ma solo i suoi nemici, cioè i fondamentalisti che ruotano attorno ad al-Nusra e i gruppi nati dal crollo dell’Esercito Siriano Libero. Un favore ricambiato da Assad, che non attacca mai l’ISIS. Non che le due parti non siano mai entrate in conflitto, vedi Palmira, tuttavia non si è quasi mai trattato di scontri con una qualche rilevanza strategica. Malgrado questa situazione, al-Nusra riesce a riorganizzarsi grazie alle armi e agli aiuti provenienti dalla Turchia e dai paesi del Golfo Persico, come Arabia Saudita e Qatar, che sono i veri finanziatori del fondamentalismo islamico internazionale.

Arriviamo quindi al 2015, cosa succede?

Rivitalizzata, al-Nusra colpisce duramente Assad e quasi lo spazza via anche dalle province occidentali. Nell’estate del 2015 il regime assadiano è sul punto di cadere. I fondamentalisti vicini ad al-Nusra erano davvero a un passo dalla vittoria. Entra però in gioco l’Iran, storico alleato di Assad, che organizza dei gruppi armati a sostegno del regime siriano. Ma non basta, anche la Russia decide di intervenire. Siamo nel settembre del 2015. Mosca entra in guerra al fianco di Assad e la situazione si rovescia portando il regime a riconquistare la città di Aleppo, seconda città della Siria, che in parte era caduta nelle mani dei fondamentalisti e in parte era controllata dai ribelli. L’assedio di Aleppo dura da luglio a dicembre del 2016 con uno degli attacchi più pesanti che la storia ricordi.

Assad riconquista Aleppo, e quindi?

E quindi la guerra è sostanzialmente finita. La Siria che conta è di nuovo nelle mani di Assad, che controlla le città più importanti. I fondamentalisti resistono in alcune sacche ma senza poter comunicare tra loro, senza armi e senza rifornimenti. La riconquista di Aleppo segna la conclusione ideale della guerra. Sono infatti seguiti i primi colloqui di pace, anche se finora non hanno dato esiti positivi.

Ma come fa a essere finita la guerra se c’è ancora l’ISIS?

Una volta trovato un accordo di pace che stabilisca il futuro della Siria, l’ISIS verrà facilmente spazzato via o, più probabilmente, si eclisserà per riemergere, sotto altro nome, in futuro. I fondamentalisti sono infatti abili nel mimetizzarsi nella società e sanno quando è il momento di sparire e restare nascosti fino al momento propizio, fino alla prossima guerra.

Ci sarà un’altra guerra?

La pace in Siria non risolverà il problema del fondamentalismo islamico. Stabilirà un equilibrio, peraltro temporaneo, del Medio Oriente e delle sue sfere di influenza ma la partita resta aperta e in futuro la regione dovrà fare nuovamente i conti con il fondamentalismo religioso e i suoi finanziatori.

Si è tanto parlato dei curdi, loro cosa c’entrano?

I curdi sono una minoranza storicamente crescente in Siria, da sempre repressi, oppositori del regime sono tuttavia scesi a patti con Assad nel luglio 2012 quando il raìs siriano ha dovuto spostare le sue truppe ad Aleppo. In quell’occasione il regime di Damasco lasciò campo libero a patto che rivolgessero le loro armi contro l’ISIS e non contro i lealisti. E così fecero, concentrando i loro sforzi prima verso al-Nusra e poi contro l’ISIS. Occorre ricordare che i curdi sono gli unici ad aver resistito all’avanzata dell’ISIS nel paese, anche grazie all’aiuto americano.

Arriviamo all’intervento russo…

Nel settembre 2015 intervengono i russi a sostegno di Assad il quale non avrebbe retto ancora a lungo da solo. I russi intervengono a favore di Assad perché hanno interessi condivisi, in particolar modo i russi sono interessati a mantenere il controllo sulle basi militari che il regime aveva concesso loro, garantendo così i propri interessi nel Mediterraneo. Insieme ai russi intervengono direttamente anche gli iraniani con l’invio di truppe regolari.

E cosa succede?

Succede che Assad comincia a vincere grazie all’aiuto degli alleati. Assad si concentra contro i fondamentalisti nella parte occidentale, vicini ad Aleppo e ai gangli vitali del regime, dove l’ISIS non c’è e non viene colpito. Riesce così a riprendersi ampie fette di territorio fino all’assedio di Aleppo iniziato nel luglio 2016 e concluso a dicembre dello stesso anno. Con una delle offensive più pesanti che la storia contemporanea ricordi, l’esercito di Damasco riesce a riconquistare Aleppo, seconda città del paese, riaffermando così il proprio controllo su tutta la Siria che conta, e dividendo il fronte dei nemici. La riconquista di Aleppo segna la conclusione ideale della guerra.

Cosa vuol dire?

Assad ha vinto la guerra, la presenza dell’ISIS non è rilevante per gli equilibri post-bellici poiché i curdi, gli americani e gli iraniani lo spazzeranno via. La parte importante del paese, nell’ovest, è ormai nelle mani di Assad. I pochi gruppi ribelli rimasti nella parte occidentale non sono più in grado di riguadagnare posizioni. Questa situazione è stata sancita dall’apertura di canali diplomatici finalizzati a trovare un accordi di pace tra Assad e i ribelli.

Cosa dobbiamo attenderci per il futuro della Siria?

Ristabilita la pace, spazzato via l’ISIS, il regime opererà pesanti epurazioni cercando di estirpare alla radice il problema del radicalismo islamico, colpirà i militanti dei Fratelli Musulmani o di altri gruppi dell’Islam politico, e lo farà con ferocia. Il paese si troverà in un clima di repressione, la società civile che si era opposta al regime ne risentirà e verrà probabilmente emarginata. Il regime dovrà poi restituire il favore agli alleati. Resta la speranza incarnata dai comitati locali che, fin qui, hanno riempito il vuoto politico e civile lasciato da Assad. Questi comitati hanno lavorato nelle zone di guerra per fornire quei servizi fondamentali che prima forniva lo stato, come elettricità, acqua, assistenza sanitaria. Oggi questi comitati rappresentano l’embrione per ricostruire una società civile in Siria, unica vera garanzia per una pace duratura nel paese.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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