Rom in Europa: la possibilità di raccontarsi attraverso l’arte e i musei

La capitale tedesca si arricchirà nei prossimi mesi di uno nuovo centro unico nel suo genere a livello europeo, dedicato alla rappresentazione dei popoli rom. La notizia dell’apertura in autunno dell’Istituto Europeo per le Arti e la Cultura Rom (ERIAC) ha fatto il giro del mondo, venendo riportata da testate come New York Times, The Guardian e Süddeutsche Zeitung, tra le tante, mentre in Italia è passato tutto un po’ in sordina se non per Artribune.

La cerimonia d’inaugurazione, o meglio l’annuncio ufficiale visto che una sede non esiste ancora, è avvenuta lo scorso 8 giugno presso il ministero degli esteri tedesco. Il progetto, sostenuto anche dalla Germania, è stato approvato già nel settembre 2015 dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa e l’anno scorso, in occasione dell’anniversario del Congresso Mondiale dei Rom tenutosi a Londra nel 1971, ne è stata annunciata la creazione. Tra i padri fondatori, e finanziatori, dell’iniziativa ci sono anche l’Alleanza per l’Istituto Europeo Rom e la Open Society Foundation di George Soros, che per i primi cinque anni finanzierà l’ERIAC con 200.000€ annui.

L’Istituto sarà guidato da artisti, attivisti e ricercatori rom. Nelle parole del presidente del Consiglio d’Europa Thorbjorn Jagland il centro avrà il compito sia di mettere in luce il grande contributo di questa cultura, dove i suoi 12 milioni rappresentano la più grande minoranza in Europa, sia di permettere ai popoli rom di riconoscersi orgogliosamente nella propria storia. Per il presidente dell’ERIAC Zeljko Jovanovic si tratta di essere finalmente in grado di auto-rappresentarsi e di raccontarsi in molteplici linguaggi espressivi, senza stereotipi, pregiudizi o mediatori.

L’ERIAC è un progetto unico nel suo genere, ma nasce sull’onda di altre iniziative simili degne di nota, due delle quali sempre nella stessa Berlino. Sulla scia del successo della mostra Second Site a Londra del 2006 e del primo padiglione d’arte rom Paradise Lost alla Biennale di Venezia dell’anno dopo, la galleria Kai Dikhas, “luogo per guardare” in romanì, ha voluto colmare un vuoto in modo continuativo. Dal 2011 vi si alternano mostre di artisti contemporanei rom e sinti, in uno spazio che è concepito soprattutto come piattaforma per un dialogo alla pari all’interno della società. Il suo stesso fondatore e curatore Moritz Pankok è tra i membri del comitato scientifico internazionale di un altro progetto relativo ai linguaggi espressivi di questa minoranza etnica, ovvero il RomArchive.

L’idea di fondo del RomArchive, un archivio digitale interattivo anch’esso finanziato da un fondo tedesco, è di creare uno spazio per la visibilità delle culture e delle storie dei popoli rom. Iniziato nel 2015, proseguirà fino al 2019 creando una collezione internazionale di contributi artistici di varie discipline suddivisa per sezioni, dall’arte visiva fino alla letteratura, dalla musica al teatro, supportata da testi accademici e documenti storici, con un corollario di eventi culturali e iniziative in loco. Come nel caso dell’ERIAC, l’obiettivo è di distaccarsi da una visione egemonica dell’archivio e della rappresentazione stereotipata predominate, creando quindi nuove narrazioni eterogenee e originate dagli stessi protagonisti.

Infine, varcando i confini tedeschi, la città di Brno ospita già dal 1991 il Museo della cultura rom, un’organizzazione non governativa fondata su iniziativa di intellettuali appartenenti a questa minoranza, che dal 2005 opera sotto l’egida del Ministero della Cultura Ceco. Oltre a possedere una collezione di circa 25.000 oggetti legati agli aspetti più tradizionali e presentati nella mostra permanente, il museo organizza regolarmente mostre temporanee, promuove eventi vari, workshop per bambini e ragazzi e dispone di una biblioteca aperta al pubblico e per scopi di ricerca.

I versi di Gelem Gelem, l’inno ufficiale dei rom, confermano gli sforzi e i successi di questi progetti che promuovono un dialogo interculturale paritario e costruttivo, ovvero che si può andare in alto, se si è uniti.

Foto: Damian Le Bas’ “Globe IV” (2016) / ERIAC

Chi è Francesca La Vigna

Dopo la laurea in Cooperazione e Sviluppo presso La Sapienza di Roma emigra a Berlino nel 2009. Si occupa per anni di progettazione in ambito culturale e di formazione, e scopre il fascino dell'Europa centro-orientale. Da sempre appassionata di arte, si rimette sui libri e nel 2017 ottiene un master in Management della Cultura dall'Università Viadrina di Francoforte (Oder). Per East Journal scrive di argomenti culturali a tutto tondo.

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