UCRAINA: Il Giorno della Vittoria e la nuova memoria collettiva

Da SUMY, UCRAINA Il 9 maggio è una data che non passa inosservata. Mentre in Italia si ricordano Peppino Impastato e Aldo Moro e in Europa si festeggia la dichiarazione Schuman, in Russia e nei Paesi dell’ex-blocco sovietico il 9 maggio è festa nazionale. Sin dal 1965 il Den’ Pobedy (Giorno della Vittoria) celebra infatti la vittoria del comunismo sul nazifascismo.

Più papaveri e meno carri armati?

Il Den’ Pobedy è considerata una delle feste più importanti non solo della storia russa, bensì anche di quella ucraina. Da più di settant’anni migliaia di persone rendono omaggio ai caduti per la patria durante la Grande Guerra Patriottica. Una giornata consacrata alle parate militari come vuole la tradizione sovietica, ripresa in pompa magna da Putin.

L’Ucraina post-Majdan ha deciso tuttavia di ridisegnare questa festa rendendola meno russa (e meno militare). Il giorno festivo sovietico ha cambiato nome definitivamente il 24 maggio 2015 con il decreto del presidente Petro Poroshenko, che ha riavviato il processo di decomunizzazione dell’Ucraina. Da allora le autorità ucraine hanno deciso di salutare gli eroi della Grande Guerra Patriottica in maniera diversa, commemorandone piuttosto le vittime come si usa nell’Europa occidentale. Dal 2015 si celebra perciò anche l’8 maggio, giornata della memoria e della riconciliazione.

Le due feste finiscono per creare un po’ di confusione tra la popolazione. Accanto ai simboli ufficiali è comparso il papavero, fiore della memoria, inizialmente emblema delle vittime della Prima Guerra Mondiale nelle Fiandre, ma che rappresenta oggi le vittime di tutti i conflitti armati militari e civili dal 1914 in poi. Il chervonij mak (papavero rosso, in ucraino), usato per la prima volta in Ucraina nel 2014, è stato ideato dallo stilista Sergej Mishakin e sviluppato su iniziativa dell’Istituto ucraino per la memoria nazionale (UINR) e della televisione di stato ucraina. La sua grafica rappresenta da un lato il semplice papavero, dall’altro una scia di sangue che scende da un proiettile. Accanto al fiore di solito si trovano le date di inizio e fine della seconda guerra mondiale (1939-1945), così come lo slogan in lingua ucraina Mai più (Nіkoli znovu). Nel papavero ci sono innumerevoli rimandi al folklore ucraino: oltre ad essere un talismano contro le forze del male, simbolo del sole come del sangue, in molti canti tradizionali è considerato come quel fiore che nasce dal sangue del cosacco eroicamente morto per la patria.

Banditi i nastri di San Giorgio

Un altro simbolo che suscita non poche questioni nel territorio nazionale ucraino è il nastro di San Giorgio. Zorjan Shkirjak, consigliere del ministro degli interni Avakov, ha espressamente chiesto al popolo ucraino di non utilizzare nel mese di maggio, e particolarmente durante le festività dell’8 e del 9, alcun tipo di simbologia comunista.

Il nastro a strisce arancio-nere, simbolo del valore militare nella Russia moderna, è stato usato per anni come emblema del Giorno della Vittoria. Tuttavia, in seguito all’insediamento del governo filo-occidentale a Kiev, questo nastro è stato indossato da molti oppositori per esprimere sentimenti anti-Majdan e filorussi. La percezione è quindi cambiata negli anni: da simbolo sovietico contro il fascismo è diventato un segno della propaganda occulta del Cremlino.

Anche quest’anno le tensioni non mancheranno, soprattutto in Crimea e nelle zone occupate dai separatisti. La volontà di Kiev di forgiare una nuova memoria pubblica per gli ucraini mette in discussione il modo tradizionale di intendere il Giorno della Vittoria, e ciò incrinerà ulteriormente i rapporti con Mosca. Molti non comprendono come gli ucraini che combatterono al fianco della Germania nazista possano essere commemorati nello stesso modo dei cittadini sovietici che combatterono i fascisti.

Foto: Ukrajn’ska pravda

Chi è Claudia Bettiol

Nata lo stesso giorno di Gorbačëv nell'anno della catastrofe di Chernobyl, sono una slavista di formazione. Grande appassionata di architettura sovietica, dopo un anno di studio alla pari ad Astrakhan, un Erasmus a Tartu e un volontariato a Sumy, ho lasciato definitivamente l'Italia per l'Ucraina, dove attualmente abito e lavoro. Collaboro con East Journal e Osservatorio Balcani e Caucaso, occupandomi principalmente di Ucraina e dell'area russofona.

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