UNIONE EUROPEA: Muri e muretti dentro l'Europa, quando si ripristinano le frontiere

di Gabriele Merlini

E’ noto il celebratissimo dogma giornalistico secondo cui negli articoli non bisognerebbe mai usare la prima persona singolare: io l’ho imparato da un capo-redattore molto disponibile, poi trasferito dalla capitale in una sperduta provincia a seguito del fallimento della piccola testata che lo sottopagava. Però bisogna fare uno strappo alla regola stavolta poiché la contestualizzazione necessaria dell’argomento passa dalla mia esperienza diretta: ho avuto infatti l’onore di essere stato uno tra gli ultimi ad entrare in Danimarca prima del (relativo) polverone conseguente il ripristino dei controlli di frontiera in entrata.

Viaggio comodo nel nord della Germania su bus da Berlino fino Rostock, quindi traghetto notturno e ti svegli che sei già in quei paesini dai nomi adorabili tipo Gedser o Bøtø By. Adesso tocca mostrare i documenti, talvolta o sempre, dipende da tanti fattori e sopportare un po’ di fila. Sia come sia, parte proprio dal caso danese la giornalista ceca Kateřina Šafaříková per constatare l’atteggiamento -a suo parere piuttosto ambiguo– di alcuni governi della Europa centro-orientale a seguito della rinascita di nuovi muri all’interno del continente. L’articolo sta su periodico Časopis Respek.

Poiché è vero: il passo in avanti più tangibile nella vita quotidiana di tutti noi è stato l’abbattimento delle frontiere e la libera circolazione all’interno della Unione Europea. Una seccatura in meno per i cittadini del vecchio Ovest, una bellissima conquista per quelli del vecchio Est. Ma (e qui torniamo alla recente decisione danese) proprio in direzione del vecchio Est vanno a puntarsi gli indici a giustificazione delle nuove restrizioni. Scrive la Šafaříková (in inglese. Portate pazienza se non traduco): «the official reason the Danes have given for this is the rise of criminality among foreigners. What hard evidence there is points rather to fewer crimes and criminal cases involving immigrants in recent years but, as one Danish journalist told the czech weekly Respekt, Danish media began reporting a rise in crime after 2008 when Central and East European EU countries joined the Schengen area.»

Il giornalista danese si chiama Karin Larsen; quanto segue è ancora estratto dall’articolo sul Časopis Respek e ancora in inglese. «One can feel the fears of the Danes of the rise in criminality and people think it’s due to the Eastern Europeans here and the open borders.» Generalizzazioni, certo. Ma a sbandierarle poi magari vinci le elezioni o resti al potere nonostante gli scivoloni. Sarebbe come se in Italia venissero date le colpe di tutti i reati agli immigrati dal Nord Africa, no? Impensabile.

Tuttavia -si chiede la Šafaříková, ormai eretta portavoce della battaglia- dove sono i capi dei governi centro-europei in questi tempi di nuove (sbandierate) barriere e velatissime accuse? Cosa fanno o dicono? D’altronde sono i loro connazionali quelli per i quali «the freedom to travel is a new and precious commodity.» Risposta: i capi dei governi centro-europei in questi tempi dicono poco e fanno meno sull’argomento. E spesso per un fatto di agende politiche.

Però proporre il solito calderone d’oltre-cortina sarebbe sbagliato dunque vengono forniti esempi concreti: Repubblica Ceca o Slovenia, ossia nazioni che avrebbero a lungo osteggiato il cosiddetto principio di solidarietà interna (ancora sul tavolo dell’Unione Europea) secondo il quale andrebbero distribuiti i rifugiati ed i richiedenti asilo tra gli stati membri al fine di ridurre l’onere delle nazioni più esposte. Ne consegue quanto, ponendosi in questi parametri di rifiuto, non sia poi facile alzare la voce contro chi i propri muretti sceglie di rialzarli, non mostrandosi troppo propenso al dialogo. Bene, si può concludere. Ognuno allora si muova come meglio crede. Ma sempre tenendo presente che la libertà di circolazione in Europa non è arrivata per grazia divina e -conclude la Šafaříková- «it’s looking very shaky now.» Stavolta traduco: sembra parecchio traballante, di questi tempi.

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6 commenti

  1. leggendo l’articolo non ho capito però una cosa: è vero o non è vero che vi sia stato questo innalzamento dei reati in danimarca? Se è vero, non mi sembra un dramma introdurre strumenti di prevenzione e monitoraggio, dato che i dogmi in politica non esistono e la ragione fondamentale dell’esistena di un’rganizzazione statuale è migliorare le condizioni di vita dei propri cittadini.
    La risposta che viene fornita dalla giornalista ceca sembra piuttosto un’altra, ovvero che i capi di stato centro europei (il che includerebbe anche l’ungheria, che dovrebbe porsi a portavoce di battaglie civili dopo la nuova costituzione estremamente rispettosa di tutti e neutra….)dovrebbero “far sentire la pripria voce”contro queste velate accuse… Splendido, così l’opinione pubblica si sentirebbe oltre che spaventata pure spogliata dei propri diritti a pensare e formarsi un opinione sulle radici dell’insicurezza: non mi sembra il modo migliore per affrontare la vicenda. Da ultimo, tutti gli stati europei mantengono intonso il diritto a sospendere la libera circolazione in caso di gravi motivi anche attinenti all’ordine pubblico e alla sicurezza delle persone. E qui torna la domanda iniziale: ciò che affermano le autorità danesi è o non è vero?

  2. Credo tutto ruoti attorno ad una delle frasi che ho riportato nel pezzo: «One can feel the fears of the Danes of the rise in criminality and people think it’s due to the Eastern Europeans here and the open borders.» Il riferimento va dunque al sentore popolare, non a prese di posizione specifiche delle autorità danesi (da qui potrebbe per altro innescarsi la discussione sulla divergenza, talvolta percepibile, tra sentore medio diffuso e realtà dei fatti. Ma davvero è argomento gigante dunque evitiamo o rimandiamo.) Il nucleo centrale del ragionamento penso sia una scarsa propensione identificabile in alcuni governi centro-europei a difendere lo spazio Schengen, che a loro in particolare dovrebbe essere caro (si scrive: «the freedom to travel is a new and precious commodity» in riferimento all’area.) La voce che dovrebbero far sentire dunque dovrebbe essere una difesa di Schengen e non una minaccia alle autorità danesi, senza dubbio sovrane e ben consapevoli di pro e contro conseguenti quel che scelgono.
    Nel pezzo, anche nell’originale, non vedo inoltre riferimento ad eventuali drammi nell’introdurre strumenti di prevenzione e monitoraggio per garantire maggiore sicurezza ai propri cittadini, ovviamente se il tutto viene fatto all’interno di norme civili e condivise. Vedo solo un richiamo (banale o geniale, ognuno valuti) al fatto che la libera circolazione non è caduta dall’alto e necessita di cure e tutele, fermo restando quanto sia terreno scivoloso. Per altro, il pezzo originale sul tema riproponeva anche il recente caso di Italia e Francia inerente gli sbarchi. Si tratta di paragrafo che non ho riportato poiché volevo limitarmi al “gancio” centro-europeo ma segnalo il link dell’articolo intero sul Respekt. Avrei dovuto metterlo alla fine…me ne scuso.
    http://respekt.ihned.cz/respekt-in-english/c1-52037620-the-danger-of-taking-freedoms-for-granted
    Gab.

  3. Se l’uscita da Schengen l’avesse chiesta un Paese mediterraneo non glielo avrebbero permesso e si sarebbe gridato allo scandalo. La Danimarca ha ripristinato le frontiere in silenzio e molti ancora non lo sanno. Saluti!

  4. bellissimo articolo! ho scoperto da pochi qusto sito. complimenti, ottimi contenuti.
    erika gerardini

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