UCRAINA: Sfollati nel proprio paese. Il problema dei rifugiati interni

Da SUMY, UCRAINA – La guerra del Donbass, in corso nell’Ucraina orientale da ormai quasi tre anni, ha costretto centinaia di migliaia di persone a fuggire dalle città coinvolte nei bombardamenti. Nonostante il desiderio di tornare nelle loro vecchie case e riprendere la vita quotidiana di prima, molti hanno trovato rifugio all’estero, chiedendo asilo agli stati dell’Unione Europea o partendo verso la vicina Russia. Altri, tuttavia, hanno scelto di non abbandonare il loro Paese natale, sperando in un cambiamento e cercando una sistemazione temporanea all’interno del territorio ucraino.

Vivere da sfollati nel proprio Paese

Secondo il Ministero degli affari sociali dell’Ucraina, i rifugiati interni ammontano a circa 1,8 milioni di persone, un numero da non sottovalutare. Un ulteriore problema che si somma alle già numerose difficoltà che deve affrontare l’Ucraina. L’Internal Displacement Monitoring Centre afferma che con queste cifre l’Ucraina occupa un posto rilevante nella classifica mondiale degli sfollati interni, tanto che la crisi domestica dei rifugiati è considerata come una delle più grandi d’Europa dopo le guerre jugoslave del 1991-2001.

Le storie di queste persone sono tante, spesso simili fra loro: si fugge da casa per sottrarsi ai costanti bombardamenti, in attesa di ritornare dopo poche settimane e di riprendere la solita routine, sperando di non trovare solo macerie. Eppure, nonostante i numerosi accordi di cessate il fuoco, i bombardamenti continuano e gli sfollati interni non rivedono ormai casa dall’estate del 2014.

Il progetto “Speranza”

Alla periferia della città di Charkiv, situata a meno di 200 km dalle zone colpite dal conflitto armato, sono stati installati dei contenitori metallici grigi simili a dei container, provvisti di elettricità, acqua corrente e riscaldamento, nonché di servizi di base. Questa città di 1,4 mila abitanti è una delle tante che riesce oggi ad accogliere una parte degli sfollati interni (IDP) provenienti dalle regioni limitrofe, inflitte dalla guerra.

Il progetto, chiamato “Speranza”, è stato interamente finanziato dal governo tedesco e costruito dall’azienda GIZ con l’aiuto di una cooperazione internazionale. Viene gestito dai membri dello staff affiancati da un gruppo di volontari appartenenti alla Croce Rossa e all’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati. Le tre istituzioni ne controllano il buon funzionamento, garantendo il servizio medico d’urgenza gratuito e creando attività ricreative e pedagogiche per i bambini. L’accoglienza non è completamente gratuita, tuttavia i rifugiati riescono a coprire le spese minime previste grazie al denaro che ricevono dal governo, pari a circa 30 euro al mese.

Inizialmente era considerato un servizio temporaneo che aiutasse le famiglie di sfollati a superare l’inverno, fornendo loro un tetto sopra la testa e una protezione minima. Ma il conflitto nel Donbass persiste, senza dare risvolti positivi e le strutture continuano perciò a funzionare, per ora, a tempo indeterminato.

Foto: spiegel.de

Chi è Claudia Bettiol

Nata lo stesso giorno di Gorbačëv nell'anno della catastrofe di Chernobyl, sono una slavista di formazione. Grande appassionata di architettura sovietica, dopo un anno di studio alla pari ad Astrakhan, un Erasmus a Tartu e un volontariato a Sumy, ho lasciato definitivamente l'Italia per l'Ucraina, dove attualmente abito e lavoro. Collaboro con East Journal e Osservatorio Balcani e Caucaso, occupandomi principalmente di Ucraina e dell'area russofona.

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