RUSSIA: Il sostegno all’estrema destra in Europa orientale

La Russia di Putin sostiene direttamente e indirettamente la crescita dell’estrema destra in Europa orientale, al fine di destabilizzare la politica interna degli stati membri UE. Lo denuncia un rapporto redatto da “Political Capital”, think tank indipendente ungherese. Un ruolo nella radicalizzazione della vita politica dei paesi interessati che si rivolge in particolar modo a quei movimenti politici e paramilitari più vicini alle posizioni ideologiche eurasiatiste, in aperta opposizione all’asse euro-atlantico.

Punto di partenza

All’origine del rapporto vi è l’omicidio d’un ufficiale di polizia ungherese da parte di István Györkös, leader del Fronte Nazionale Ungherese 1989 (MNA). Il 26 ottobre scorso, Györkös si rese infatti responsabile d’una sparatoria contro due agenti dell’NNI (National Bureau of Investigation), durante un’operazione di controllo nel villaggio di Böny, a ovest di Budapest, sede d’un campo d’addestramento dell’MNA.

Successive analisi condotte da Political Capital hanno rivelato come l’MNA fosse stato finanziato dalle strutture dell’intelligence russa a partire dal 2012. Fra le pagine dell’analisi, si legge che «il caso è solo un esempio della radicalizzazione sostenuta dal Cremlino fra i movimenti estremisti di destra e sinistra in Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca e Polonia».

La situazione nei paesi del gruppo di Visegrád

Secondo la relazione di Political Capital  il Cremlino sarebbe da tempo attivo in questa direzione, in particolar modo nei paesi del blocco di Visegrád.

In Ungheria, ad esempio, Mosca avrebbe provveduto ad addestrare intere formazioni paramilitari di movimenti d’ispirazione eurasiatista, quali il Movimento giovanile delle 64 Contee (HVIM), l’Armata dei Fuorilegge (Betyársereg) e le squadre di Farkasok. Lo stesso Movimento per un’Ungheria migliore (Jobbik), con le sue importanti percentuali di rappresentanza in Assemblea Nazionale, appare fra le formazioni politiche finanziate direttamente da Mosca, come del resto Hungarian Spectrum aveva già evidenziato in un’attenta analisi condotta nel gennaio del 2016 (o lo stesso Political Capital con il saggio del 2015 intitolato I Am Eurasian).

In Slovacchia la situazione non appare di certo differente, con un dettagliato focus sul gruppo filorusso detto Slovenski Branci, fondato nel 2014, di chiara ispirazione paramilitare e già attivo nel conflitto ucraino, dopo una fase di addestramento condotta direttamente da ex ufficiali Spetsnaz, a sostegno delle formazioni secessioniste del Donbass.

Per quanto riguarda l’area polacca e ceca, invece, secondo Political Capital «il Cremlino è altamente capace di infiltrare partiti estremisti e organizzazioni paramilitari, facili da comprare o controllare».

La Repubblica Ceca era già finita nell’occhio degli osservatori quando nel 2016 fu dimostrato come persino il partito francese del Front National, guidato da Marine Le Pen, si era rivolto a Mosca, attraverso la First Czech Russian Bank, per l’ottenimento d’un prestito di circa 9 milioni di euro.

Conseguenze

La strada imboccata da Mosca appare avere almeno tre ordini di motivazioni. In primis, puntare alla destabilizzazione socio-politica degli stati in cui tali movimenti operano. In secondo luogo, la legittimazione esterna del regime russo attraverso, ad esempio, il supporto ideologico alle azioni intraprese dall’amministrazione Putin. Infine, il dispiegamento d’una complessa rete di disinformazione avente come finalità la diffusione, all’interno dello scenario UE, d’una capillare propaganda filo-russa e d’un sempre più marcato euroscetticismo. Una strategia che, di fatto, incrinerebbe il sistema d’alleanza NATO e scardinerebbe il già fragile assetto comunitario.

A oggi, appaiono ancora fiacche le risposte fornite dai paesi in questione; forse una conseguenza delle sempre più incisiva influenza economica del Cremlino nell’area.

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