ISLANDA: Elezioni parlamentari. Avremo presto dei ministri pirata?

L’Islanda ha votato sabato in elezioni anticipate, a seguito delle proteste per lo scandalo dei Panama Papers che ha coinvolto il primo ministro Sigmundur Davíð Gunnlaugsson. Il nuovo Althingi, con sette partiti rappresentati, è tra i più frammentati di sempre, e sarà difficile ora formare un governo di coalizione. Benediktsson ha già rassegnato le proprie dimissioni.

Il Partito dell’Indipendenza ha mantenuto la maggioranza relativa (21 seggi) ma ha perso il proprio alleato, il Partito progressista (8 seggi), che ha visto più che dimezzati i propri voti. Una fronda pro-UE degli indipendentisti, il partito Viðreisn (Rinascita), ha ottenuto 7 seggi e si pone come king-maker. Dalla parte dell’opposizione, la Sinistra/Verdi e il Partito Pirata hanno ottenuto 10 seggi ciascuno, mentre i loro alleati Futuro Radioso e Socialdemocratici ne portano a casa 4 e 3 ciascuno. Per i socialdemocratici è il peggior risultato di sempre nel’isola nord-atlantica.

I sondaggi davano i Pirati in testa sin dalla primavera del 2015. La loro performance elettorale è stata al di sotto delle aspettative, anche se si tratta comunque di aver triplicato i voti rispetto alle elezioni del 2013. I Pirati islandesi erano volati al 43% dopo le dimissioni del primo ministro Gunnlaugsson, la cui moglie era risultata dai Panama Papers proprietaria di una compagnia offshore creditrice delle fallite banche islandesi. L’agenda politica dei Piratar è semplice: trasparenza, libertà d’informazione, democrazia diretta, partecipazione e legalizzazione delle droghe leggere. La loro capogruppo parlamentare, Birgitta Jonsdottir, è una poeta già portavoce di Wikileaks, e potrebbe divenire presidente della nuova assemblea.

Per il vicepresidente dei Pirati svedesi, Mattias Bjärnemalm, sentito da Gürkan Özturan“sarebbe fondamentale per il movimento pirata globale avere un governo con dei ministri pirati“. E secondo l’eurodeputata pirata Julia Reda “i Pirati islandesi possono essere un modello anche per altri paesi in cui gli elettori possono essere tentati di dare una chance ai Pirati, ma possono avere dubbi circa l’efficacia della loro presenza in Parlamento.” Nello scorso mandato parlamentare in Islanda i deputati pirati sono stati fondamentali per l’abolizione delle norme sulla blasfemia, nella campagna a favore di Edward Snowden e Chelsea Manning – ben oltre un semplice voto di protesta. La loro agenda elettorale include l’adozione di una nuova costituzionale, la sanità pubblica, la redistribuzione del reddito generato dalle risorse naturali, più partecipazione nelle decisioni pubbliche e la lotta alla corruzione. Per il candidato premier pirata,  Smari McCarthy, “siamo all’avvio di una nuova era di politica liberale, in cui la corruzione e l’abuso di potere sono sanzionati e il sistema è riformato per servire i bisogni del pubblico anziché dell’elite.”

“Abbiamo bisogno di un governo stabile e non di esperimenti”, ha dichiarato il leader del Partito dell’Indipendenza e ministro delle finanze uscente, Bjarni Benediktsson. L’Islanda si trova oggi a fare i conti con un boom del turismo che ha ridato fiato all’economia ma che per alcuni non è sostenibile. Reykjavik discute inoltre oggi di sollevare i controlli ai movimenti di capitale, introdotti dopo il crack bancario del 2008. Benediktsson si è detto pronto anche ad “alleanze non convenzionali” con parte dell’opposizione.

Ma il leader di Rinascita, Benedikt Jóhannesson, ha escluso la possibilità di entrare in coalizione con il Partito dell’Indipendenza o con i Progressisti. “E’ più probabile che troveremo un accordo con altri partiti”. Una coalizione a cinque tra tutti i partiti dell’opposizione non è ancora esclusa, quindi, anche se l’eterogeneità ideologica potrebbe costituire un ostacolo per la tenuta di un futuro governo. Intanto, con 30 donne su 63, il parlamento islandese è oggi il migliore quanto a parità di genere in Europa.

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Chi è Davide Denti

Dottore di ricerca in Studi Internazionali presso l’Università di Trento, si occupa di integrazione europea dei Balcani occidentali, specialmente Bosnia-Erzegovina.

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