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CALCIO: Deniz Naki, calciatore curdo accusato di propaganda terrorista

È curdo, è alevita ed è fiero di esserlo. Non ha mai nascosto l’orgoglio delle proprie origini: il numero della sua maglia, il 62, è quello che identifica Dersim, la sua provincia di origine (oggi chiamata Tunceli). Ora Deniz Naki rischia di pagare questo orgoglio caro, ancora una volta. La vicenda sportiva e umana di Deniz Naki si fonde con la storia di repressione dei curdi di Turchia. Recentemente il calciatore è stato formalmente accusato di propaganda terrorista e dovrà difendersi dalle accuse di fronte a una corte turca, rischiando fino a cinque anni di reclusione.

Nato in Germania da una famiglia di origine curdo/alevita, Naki fece parlare di sé nel 2009, quando vestiva la maglia del St. Pauli e salutò un gol all’Hansa Rostock con il gesto del tagliagole. Lasciato il Millerntor-Stadion, Naki vestì la maglia del Paderborn prima di trasferirsi in Turchia al Gençlerbirliği. Il supporto espresso per i curdi impegnati nella lotta di liberazione di Kobanê contro lo Stato Islamico non gli procurò simpatie: il centrocampista subì un assalto una domenica ad Ankara e, preoccupato per la propria incolumità, decise di lasciare il club nonostante il contratto lo legasse al Gençlerbirliği per altre due stagioni.

Deniz Naki ora gioca per l’Amedspor, squadra di Diyarbakır (la capitale non ufficiale del Kurdistan turco) che milita nella terza divisione turca (2.lig) e che l’anno scorso fece scalpore per la sua cavalcata in Türkiye Kupası, la Coppa di Turchia. Nonostante la città fosse il punto focale dello scontro tra esercito turco e PKK e fosse soggetta a una campagna militare condannata aspramente da Amnesty International, la squadra raggiunse i quarti di finale, eliminando il Bursaspor – con cui erano già sorte diverse controversie con squadre di Diyarbakır in passato – e fermandosi solo al ritorno contro il titolato Fenerbahçe. L’intero percorso della squadra in coppa fu costellato di episodi controversi, tra cui un raid delle forze dell’ordine turche presso il quartier generale della squadra.

Il più controverso degli episodi fu proprio legato a Deniz Naki che, dopo essere andato a segno nell’ottavo di finale contro il Bursaspor, inviò il seguente tweet dal proprio profilo Twitter: «Dedichiamo questa vittoria a coloro che hanno perso la vita e ai feriti durante la repressione nella nostra terra che va avanti da più di 50 giorni. Siamo fieri di essere un piccolo spiraglio di luce per la nostra gente in difficoltà. Come Amedspor, non ci siamo sottomessi e non ci sottometteremo. Lunga vita alla libertà!».

Il tweet costò a Naki una squalifica di dodici partite (il giocatore ha terminato di scontarla e ha già segnato quattro reti in sette partite disputate in questa stagione), ma ora le accuse si sono fatte più gravi. L’investigazione sul caso ha portato infatti il procuratore della corte criminale di Diyarbakır a etichettare sette messaggi pubblicati da Naki sui propri profili social come propaganda terrorista e ad accusare l’attaccante di «creare antagonismo e odio tra due differenti sezioni della società, […] glorificare i terroristi e il terrorismo» e «presentare le forze di sicurezza come colpevoli di massacri contro la popolazione della regione».

Il 4 settembre 2015 Naki aveva scritto «Mille saluti agli eroi di Dersim» dopo che due guerriglieri del PKK erano stati uccisi nella sua città d’origine; il 4 gennaio 2016 aveva criticato l’assedio e il coprifuoco imposti alla città di Cizre, costati la vita a oltre 200 civili: «Pensate a un padre i cui due bambini sono stati uccisi e giacciono senza vita di fianco a lui; non può nemmeno seppellirli perché c’è un coprifuoco a Cizre». In un terzo post, invece, Naki indossava un vestito tradizionale per il Newroz, il capodanno curdo, interpretato dalla corte come un abito militare.

La curva del St.Pauli, dove Deniz Naki giocò tra il 2009 e il 2012, ha espresso il proprio sostegno esponendo lo striscione «Deniz Naki… uno di noi!». La società tedesca ha espresso la propria solidarietà pubblicando, in occasione dell’incontro con il Werder Brema, un foglio partita in cui tutti i giocatori e lo staff del St.Pauli erano riportati con il cognome Naki e con il numero di maglia 23 che il calciatore indossava quando giocava ad Amburgo, con l’eccezione dei turchi Cenk Şahin ed Ersin Zehir.

Il calciatore ha rilasciato una dichiarazione, ammettendo di aver scritto tutti i post di cui è accusato con la sola riserva rispetto al post del 4 settembre 2015 («Anche un mio amico in Germania ha accesso al mio account. Potrebbe averlo pubblicato lui»). Il calciatore ha continuato dicendo: «Il mio obiettivo con quelle pubblicazioni era di lanciare messaggi di pace. Ho sempre espresso chiaramente le mie opinioni. Nessuno può gioire alla morte di qualcun altro. I miei post rappresentano il mio punto di vista personale. Voglio fratellanza, unità ed eguaglianza per ognuno in questo paese».

Foto: Deniz Naki Official (Facebook)

Chi è Damiano Benzoni

Giornalista pubblicista, è caporedattore della pagina sportiva di East Journal. Gestisce Dinamo Babel, blog su temi di sport e politica, e partecipa al progetto di informazione sportiva Collettivo Zaire74. Ha collaborato con Il Giorno, Avvenire, Kosovo 2.0, When Saturday Comes, Radio 24, Radio Flash Torino e Futbolgrad. Laureato in Scienze Politiche con una tesi sulla democratizzazione romena, ha studiato tra Milano, Roma e Bucarest. Nato nel 1985 in provincia di Como, dove risiede, parla inglese e romeno. Ex rugbista.

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