STORIA: Quando l’Italia salvò la Serbia. Una storia dimenticata

La Prima Guerra Mondiale, per l’Italia, cominciò il 24 maggio 1915 con la dichiarazione di guerra all’Austria-Ungheria, dopo aver abbandonato la Triplice Alleanza ed esser passata all’opposto schieramento, insieme a Francia, Inghilterra e Russia. Il motivo del cambio di fronte va individuato nel Patto di Londra dell’aprile del 1915, con il quale le forze della Triplice Intesa promisero ampie concessioni territoriali al Regno d’Italia, in cambio di un suo intervento. Le terre cui mirava maggiormente l’Italia riguardavano anche la penisola balcanica – Istria, Dalmazia e alcuni territori albanesi, tra cui la città di Valona.

Ed è proprio dalla città di Valona che comincia la storia inedita del salvataggio della Serbia da parte dell’Italia.

Antefatto: la ritirata della Serbia attraverso l’Albania

La Serbia venne aggredita dall’Austria dopo l’ultimatum seguito all’assassinio dell’arciduca Ferdinando da parte di Gavrilo Princip. Nei primi mesi della guerra, l’esercito serbo diede dimostrazione di grande coraggio ed abilità militare, nonostante la netta inferiorità numerica e logistica. Tuttavia, nell’ottobre del 1915, il governo serbo ordinò la ritirata. Gli eserciti austriaco e tedesco erano infatti in controllo della parte settentrionale del paese, inclusa Belgrado, e le truppe bulgare avanzavano da sud, dopo aver occupato gran parte del territorio dell’odierna Macedonia. Il primo ministro Nikola Pašić ordinò quindi la ritirata verso il Montenegro e attraverso le montagne dell’Albania, per raggiungere poi le coste del mar Adriatico. Qui avrebbero trovato le navi alleate, pronte a trasportare in salvo l’esercito serbo sull’isola greca di Corfù e quindi, dopo un periodo di riposo, a Salonicco, sul Fronte Macedone, da cui avrebbero riconquistato la penisola balcanica.

La ritirata attraverso le alture albanesi, conosciuta nella cultura serba come “golgota albanese”, durò dal novembre 1915 fino al febbraio 1916 e provocò la morte di decine di migliaia di uomini, per via di freddo, fame e stenti.
Secondo la storiografia serba fin qui studiata sui libri di storia, gli oltre 300 mila serbi – tra casata reale, governo, soldati, civili e prigionieri – nonché l’artiglieria e i rifornimenti alimentari, sarebbero stati trasportati a Corfù grazie all’aiuto di Francia e Inghilterra, che misero a disposizione diverse navi.
Inoltre, pare che l’imbarco dei serbi fu ostacolato proprio dagli italiani che occuparono Valona e che fu solo grazie all’intervento dello zar Nikola II Romanov, che minacciò di ritirarsi dal conflitto, a consentire il salvataggio dell’esercito serbo.

L’azione umanitaria italiana

Tuttavia, Mila Mihajlović, impiegata presso la RAI, ha portato alla luce una storia diversa, grazie alla sua pubblicazione “Per l’Esercito Serbo – Una Storia Dimenticata”. Questo libro si basa sulla scoperta di un documento omonimo risalente al 1917, emesso dal Ministero della Marina del Regno d’Italia, che spiegherebbe come andò realmente.
Furono 350 imbarcazioni della marina militare italiana a portare in salvo l’esercito serbo, e non le navi francesi. Altro dettaglio nuovo è che i soldati serbi vennero prima trasportati in Italia per ricevere cure e solo in un secondo momento sull’isola greca.
A conferma dell’intervento umanitario dell’Italia è stata portata alla luce anche una lettera di ringraziamenti del primo ministro Nikola Pašić del 22 febbraio 1916, in cui afferma: “per il trasporto dei serbi dall’Albania, esprimo i miei più sinceri ringraziamenti alla monarchia italiana per l’immediato ed efficace intervento della marina del Regno d’Italia”.

Come sottolinea la Mihajlović, questo dettaglio è di rilevanza storica fondamentale, dal momento che l’esercito serbo a Corfù ebbe modo di riorganizzarsi e prendere parte allo sfondamento del fronte meridionale, contribuendo così alla vittoria finale nella Grande Guerra.

Un’altra storia?

La vera domanda è perché questa storia sia rimasta taciuta. Secondo l’autrice, dal momento che all’Italia vennero fatte importanti promesse territoriali sul mar Mediterraneo, questa sarebbe diventata una potenza egemone nella regione, fatto inaccettabile sia per la Francia che per l’Inghilterra. Le promesse del Patto di Londra rimasero infatti lettera morta.
Uno dei motivi è senz’altro che tali concessioni territoriali sarebbero state a discapito della stessa Serbia, che dopo la guerra avrebbe formato insieme agli ex territori dell’Impero d’Austria-Ungheria, il Regno di Serbi, Croati e Sloveni.

Alla domanda sul perché questo documento sia rimasto all’oscuro dell’opinione pubblica, l’autrice afferma come anche nel primo dopoguerra ci sia stata una guerra mediatica, della quale fu vittima l’Italia, a tutto vantaggio di francesi e inglesi, cui fu riconosciuto il merito di aver salvato la Serbia.

Probabilmente, se all’Italia fossero stati riconosciuti i meriti del proprio intervento umanitario la storia sarebbe rimasta la stessa, ma forse, oggi, nel cuore di Kalemegdan, la fortezza nel centro di Belgrado, non avremmo un monumento di dieci metri “alla Francia”, ma un riconoscimento al nostro paese.

Chi è Giorgio Fruscione

Giorgio Fruscione è Research Fellow e publications editor presso ISPI. Ha collaborato con EastWest, Balkan Insight, Il Venerdì di Repubblica, Domani, il Tascabile occupandosi di Balcani, dove ha vissuto per anni lavorando come giornalista freelance. È tra gli autori di “Capire i Balcani occidentali” (Bottega Errante Editore, 2021) e ha firmato due studi, “Pandemic in the Balkans” e “The Balkans. Old, new instabilities”, pubblicati per ISPI. È presidente dell’Associazione Most-East Journal.

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