La guerra in Siria: un riassunto della situazione e delle fazioni in lotta

La guerra in Siria si trascina ormai da più di 5 anni. Diventa sempre più difficile orientarsi nel groviglio di milizie che combattono sul campo e distinguere i diversi orientamenti politici e ideologici delle fazioni in lotta. Gli interessi delle potenze straniere, le opposte propagande e l’intervento militare di alcuni paesi complicano ancora di più il quadro. Ecco una guida essenziale alle forze in campo, una mappatura completa per comprendere chi combatte in Siria oggi.

Stato Islamico

isis-flagLo Stato Islamico (IS) nasce dall’esperienza di al-Qaeda in Iraq, l’organizzazione guidata dal giordano Abu Musab al-Zarqawi, all’indomani dell’invasione americana del 2003. È conosciuto anche come Stato Islamico d’Iraq e del Levante (ISIS o ISIL) o con il termine dispregiativo Daesh. È guidato da Abu Bakr al-Baghdadi, autoproclamatosi Califfo col nome di Ibrahim. In Siria e Iraq, a partire dal 2013, l’IS ha portato a compimento un processo di territorializzazione già visibile negli ultimi anni in molte cellule locali di al-Qaeda. A differenza dell’al-Qaeda delle origini, più attenta all’ortodossia ideologica che a proporre concrete alternative alle popolazioni locali, l’IS ricerca e ottiene fin da subito un capillare controllo del territorio attraverso il suo apparato militare, un’amministrazione proto-statale ramificata e l’uso accorto e raffinato della propaganda. La scissione da al-Qaeda risale a inizio 2014.

A ciò l’IS è arrivato grazie a una sapiente politica di alleanze locali con le tribù sunnite di Anbar (Iraq occidentale), rinnovata durante il 2013, e raccogliendo tra le sue fila ex esponenti iracheni del partito Baath. Sfruttando prima il caos iracheno e poi il conflitto civile in Siria si è imposto come formazione egemone rispetto al resto della galassia ribelle siriana, da cui ha facilmente drenato molti combattenti. Una ulteriore opera di reclutamento è diretta all’estero e ha permesso all’IS di attrarre decine di migliaia di foreign fighters provenienti da tutto il mondo.

La sua strategia è stata sintetizzata nella formula “durare e espandersi”. Per quanto riguarda Siria e Iraq, i suoi proventi derivano dai soldi custoditi nelle banche conquistate negli ultimi anni, dalle tasse che raccoglie sul territorio, dal traffico di petrolio (ha commerciato con il regime, più saltuariamente con alcuni gruppi ribelli, si è affidato a intermediari per i traffici verso Turchia, Giordania e Kurdistan iracheno) e di manufatti archeologici. Ha avuto accesso al sistema bancario internazionale e ha ricevuto supporto da un cospicuo numero di finanziatori privati, in gran parte localizzati nei paesi del Golfo.

Ma la formula “durare e espandersi” va intesa anche come una strategia di lungo termine, con un orizzonte geografico ben più ampio del quadrante mediorientale, tale da permettere all’organizzazione di sopravvivere anche a una sconfitta in Siria e Iraq. Da fine 2014 altri gruppi hanno richiesto l’affiliazione all’IS, che ad oggi vanta franchise in Nigeria, Algeria, Libia, Egitto, Arabia Saudita, Yemen, Caucaso, Afghanistan, Pakistan. In alcuni di questi casi (ad esempio in Libia) la nascita di un nuovo gruppo è  stata progettata direttamente dall’IS e coordinata da inviati di alto profilo dello Stato Islamico. In parallelo, l’IS ha sviluppato una serie di cellule di fuoco in grado di compiere attentati anche sofisticati.

Dopo aver raggiunto l’apice dei suoi successi nella prima metà del 2015, l’IS ha subìto la pressione della Coalizione internazionale a guida Usa, delle offensive guidate dalle milizie sciite irachene e dai reparti speciali iraniani, delle SDF controllate dai curdi siriani dell’YPG e, in misura minore, delle offensive russo-siriane. Una serie di omicidi mirati ai principali esponenti dell’IS ne ha minato le capacità. Stime del Pentagono ad agosto 2016 parlano di 15.000-20.000 militanti attivi in Siria e Iraq, in netto calo rispetto ai 60-80mila stimati nel 2014. Anche l’afflusso di foreign fighters è crollato: secondo l’intelligence Usa nel 2016 sono arrivati non più di 50 militanti al mese, mentre in passato si arrivava anche a 2000 ingressi al mese. La maggior parte è transitata dalla Turchia, che non ha sostanzialmente fatto nulla di efficace per impedire l’afflusso.

La galassia ribelle
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Clic per ingrandire. Mappa di Thomas van Linge (@arabthomness)

Il fronte ribelle, che nei primi mesi della guerra in Siria era riunito sotto l’etichetta del Free Syrian Army (FSA), è ora frammentato in centinaia di gruppi armati, a loro volta riuniti in coalizioni di varia grandezza e non di rado in contrasto tra loro. Sono però tuttora accomunati dall’opposizione al regime di Assad e ai suoi alleati (Russia, Iran, Hezbollah) e dal supporto finanziario, militare e politico da parte di altre potenze (paesi del Golfo, Turchia, Usa).  I gruppi ribelli abbracciano un ampio spettro di posizioni politiche e ideologiche, che vanno dal laicismo e la richiesta di democrazia, alle idee della Fratellanza Musulmana, al salafismo, fino alle posizioni di al-Qaeda e alla vicinanza con l’ideologia jihadista.

La classificazione di ciascun gruppo sotto una precisa etichetta è ormai da tempo questione politica di primaria importanza. Se per il regime di Assad l’intera opposizione (anche quella pacifica, che invase le strade nel 2011) è sempre stata bollata come “terrorista”, gli Usa e l’Occidente hanno invece posto una distinzione tra “terroristi” e “moderati”, fornendo supporto a quest’ultimi. Operazione resa ancora più complessa dalla reale situazione sul campo: per non soccombere, molti gruppi tendono a lasciare in secondo piano le divergenze ideologiche e a stringere alleanze tattiche con formazioni anche molto distanti per idee e prospettive sul futuro della Siria. La necessità militare, quindi, è più forte della visione politica. Ciò è lampante nel caso di Idlib, Hama e Aleppo: in queste zone si trovano 60-90mila ribelli, divisi in circa 60 gruppi, che coprono l’intero ventaglio ideologico e politico. Senza un’alleanza sul terreno, sarebbero stati spazzati via da tempo, soprattutto in seguito all’intervento della Russia in Siria.

Per comodità, i ribelli si possono dividere in 3 grandi gruppi:

Ribelli ‘moderati’ – Si rifanno a moventi laici e chiedono una qualche forma di democrazia per il dopo-Assad. Hanno un reclutamento principalmente locale e sono stati nel tempo sempre più marginalizzati rispetto alle altre formazioni ribelli. Oggi in genere contano poche centinaia di uomini per unità. La più corposa è la Divisione 13, che si è più volte scontrata con le milizie jihadiste ribelli. Dopo il fallito cessato il fuoco di settembre 2016, la Divisione 13 si è fusa con altri due gruppi moderati (Suqur al-Jabal e Divisione Nord) formando il Free Idlib Army.

Ribelli jihadisti – Sono strettamente legati a Jaysh Fatah al-Sham (JFS, l’ex Fronte al-Nusra legato direttamente ad al-Qaeda). Condividono una forte presenza di combattenti stranieri e in molti casi la reticenza a scontrarsi con l’IS. In alcuni casi perseguono la creazione di un Emirato islamico in Siria. È stato massiccio il passaggio di combattenti da queste formazioni verso l’IS nel periodo di rottura tra Stato Islamico e al-Nusra. A titolo di esempio, una di queste formazioni, Jund al-Aqsa, nata da una costola di al-Nusra, nel febbraio del 2016 ha lanciato un’offensiva congiunta insieme all’IS su Khanasir, contro l’esercito di Assad. Altri gruppi ribelli jihadisti sono formati da miliziani originari del Caucaso e dell’Asia centrale come Ajnad Kavkaz, Katibat al Tawhid wal Jihad (uzbeki), Jaish al-Muhajireen wal-Ansar (fondato a suo tempo da Abu Omar al-Shishani, in seguito diventato uno dei leader dell’IS), Turkistan Islamic Party in Syria (uiguri).

Zona grigia – Ne fanno parte gruppi salafiti per i quali non è sempre facile stabilire con certezza il grado di condivisione dell’ideologia qaedista. Infatti tendono, in generale e tenuto conto della fluidità della guerra in Siria, a utilizzare una retorica non appiattita sulle posizioni qaediste di JFS e in alcuni casi tentano di accreditarsi come ‘moderati’ per ottenere supporto dall’Occidente e aumentare il proprio peso politico in sede negoziale. Casi emblematici in questo senso sono Jaysh al-Islam e Ahrar al-Sham (vedi sotto). Altri gruppi che rientrano in questa categoria sono al-Zenki (dalla seconda metà del 2016 sempre più vicino a Jaysh Fatah al-Sham), Jaysh al-Sunna, Ajnad al-Sham.

È quindi frequente nella guerra in Siria constatare che la situazione sul campo e l’intreccio di interessi delle potenze estere dà origine ad alleanze e offensive congiunte con un altissimo grado di ambiguità sul piano politico e ideologico. Un esempio lampante è rappresentato dai diversi gruppi armati che combattono sotto l’ombrello turco nel nord della Siria, in seno all’intervento della Turchia il 24 agosto 2016. In questo caso un esercito Nato (quello di Ankara) appoggia con le sue Forze speciali gruppi tanto diversi come la Divisione Sultan Murad (costruita attorno all’identità turcomanna e al nazionalismo turco), Liwa al-Mu’tasim (che ha ricevuto armi dagli Usa), Faylaq al-Sham e al-Zenki (islamisti, con dubbi sulle reali affiliazioni e l’ideologia realmente supportata), elementi di Ahrar al-Sham (gruppo cui i vertici di al-Qaeda affidarono il compito di giudice nella controversia tra al-Nusra e l’IS).

Jabat Fatah al-Sham (ex Fronte al-Nusra)

La guerra in Siria: un riassunto della situazioneNel luglio 2016 il leader del Fronte al-Nusra Abu Muhamad al-Golani ha annunciato di aver sciolto ogni legame con al-Qaeda, assumendo la nuova denominazione (JFS). In realtà è una mossa cosmetica senza alcuna reale conseguenza nell’orientamento di JFS. La motivazione va rintracciata nel tentativo di unificare il fronte ribelle (soprattutto nel nord della Siria), sotto crescente pressione del regime e dei suoi alleati, in particolare ad Aleppo, e di mantenere la propria posizione egemonica nella galassia ribelle. Infatti è uno dei pochi gruppi ribelli, insieme ad Ahrar al-Sham, ad essere presente in tutto il settore occidentale della Siria, in modo massiccio a Idlib e Aleppo, con alleanze a geometria variabile a Dara’a e Quneitra. È anche il perno di diverse coalizioni militari ribelli come Jaysh al-Fatah (Idlib) e Ansar al-Sharia (Aleppo, fino alla caduta della città in mano al regime a metà dicembre 2016). È il gruppo ribelle con la maggior capacità militare, che lo rende di fatto punto di riferimento da cui è difficile prescindere per il resto della galassia ribelle. Si stima che disponga di circa 10mila uomini.

Creata all’inizio del 2012 su ordine di Ayman al-Zawahiri, il successore di Osama bin Laden alla guida di al-Qaeda, JFS mantiene verosimilmente come obiettivo principale nella guerra in Siria quello della sua versione precedente al-Nusra, cioè la creazione di un emirato islamico. Oltre alla componente militare, JFS ha sviluppato una forte propensione verso il proselitismo (dawa), che si esplicita tramite la fornitura dei servizi essenziali alla popolazione e l’amministrazione politico-giudiziaria del territorio. Dopo la rottura con l’IS, con cui era stato alleato, l’allora al-Nusra ha lasciato le aree centrali della Siria (Raqqa, Deir ez-Zour) per stabilirsi nella provincia di Idlib. L’abilità militare dei suoi componenti e la buona disponibilità di armamenti pesanti ne ha fatto un punto di riferimento per molti combattenti stranieri.

Ahrar al-Sham

La guerra in Siria: un riassunto della situazioneÈ un gruppo estremista salafita con fitti e duraturi legami con esponenti legati ad al-Qaeda e fautore di una pluriennale alleanza con l’ex Fronte al-Nusra. Non ha mai giurato formalmente fedeltà ad al-Zawahiri ed è strutturato in modo meno centralizzato di JFS. Tra i suoi leader passati figurano però personaggi come Abu Khalid al-Suri, vicino ad Abu Musab al-Suri (uno degli strateghi di spicco di al-Qaeda e soprannominato l’”architetto del jihad globale”), che al-Zawahiri designò come arbitro nella disputa tra IS e al-Nusra. La maggioranza della leadership originaria di Ahrar al-Sham (spazzata via da un’esplosione mai chiarita nel settembre 2014) proveniva dalle fila del movimento islamico siriano protagonista della rivolta nei primi anni ’80. La nascita del gruppo è quindi stata possibile grazie a un’amnistia concessa da Assad nei primi mesi della guerra civile, che ha svuotato carceri come Sednaia dei detenuti politici, con il fine di far deragliare le proteste fino ad allora pacifiche e creare una giustificazione per l’intervento con la forza, alimentando la retorica settaria.

A partire dal 2014, tuttavia, sono stati molti i tentativi di Ahrar al-Sham di accreditarsi come fautore di un islamismo politico dai toni moderati (sia per ottenere finanziamenti e supporto militare dall’estero, sia per non venire estromesso dall’agone politico al termine della guerra civile). Ha ricevuto copiosi finanziamenti dal Qatar. È uno dei principali membri della piattaforma diplomatica sponsorizzata dall’Arabia Saudita. Il suo leader attuale è Abu Ammar al-Omar, succeduto a fine novembre 2016 a Abu Yahia al-Hamawi (anche lui ex detenuto di Sednaia). Le stime più recenti indicano i suoi effettivi in circa 20mila uomini.

Jaysh al-Islam

jaysh al islamGruppo ribelle di orientamento islamista-salafita passato attraverso diversi mutamenti e alleanze, dal 2013 ha la fisionomia attuale. Raccoglie sotto un’unica bandiera circa 50 milizie minori. Il leader storico del gruppo, Zahran Alloush, è stato ucciso in un raid russo alla fine del 2015. La zona di operazioni principale è Damasco, nei quartieri di Douma e Ghouta est, ma ha partecipato insieme a JaF nell’offensiva su Idlib e Jisr al-Shugur nel 2015, schierandosi quindi di fianco al Fronte al-Nusra e Ahrar al-Sham. Nella prima metà del 2016, però, si sono verificati scontri tra ribelli, nel corso dei quali Jaysh al-Islam ha combattuto contro Faylaq al-Rahman (appoggiata da al-Nusra e Ahrar al-Sham). Nonostante la sua posizione egemone nel contesto ribelle a Damasco sia stata messa in discussione, Jaysh al-Islam può ancora contare su una sapiente gestione dell’economia di guerra nell’area (con modalità spesso para-mafiose). Il principale finanziatore estero del gruppo è l’Arabia Saudita e rappresenta uno dei principali gruppi della piattaforma diplomatica sponsorizzata dai sauditi.

Jabat al-Janoubia (Fronte del Sud)

southern frontRaro modello di cooperazione tra ribelli perché non egemonizzato dalle formazioni islamiste più estreme, il FS è il principale raggruppamento nel sud della Siria. È nato all’inizio del 2014 e raccoglie circa 50 piccole milizie variamente eredi del FSA. È attivo principalmente nelle aree di Quneitra, Daraa e Sweida. Non è strutturato in modo rigido, piuttosto la sua azione si sviluppa come un coordinamento e una fluida creazione di alleanze momentanee tra le diverse milizie. Occasionalmente, alcuni suoi componenti hanno lanciato offensive congiunte insieme ad al-Nusra. Nemico comune nella zona è il gruppo Khalid ibn al-Walid, attivo lungo il confine con Israele e Giordania e legato all’IS.

Il FS riceve supporto finanziario, militare e logistico dall’Occidente e da numerosi paesi arabi tramite il Centro di Operazioni Militari di Amman in Giordania. Ha tra le sue priorità il ripristino delle normali funzioni amministrative e giudiziarie sul territorio, con una strategia che mira a costruire una solida base di supporto tra la popolazione. Dal giugno 2016 gruppi come Ahrar al-Sham hanno cercato di ampliare la loro influenza anche in queste aree, finora senza risultati di rilievo.

New Syrian Army (Jaysh Suriya al-Jadid)

Gruppo ribelle fondato nel novembre 2015 e attivo al sud, lungo il confine con la Giordania e l’Iraq. È localizzato attorno ai campi di al-Tanf ed è di fatto una creatura degli Usa, che hanno fornito ai ribelli addestramento, armi e supporto logistico insieme ad altri paesi arabi. Finora scarsamente efficace, ha sviluppato offensive contro l’IS verso al-Qaim e al-Bukamal. Potrebbe rivestire un ruolo più rilevante nel prossimo futuro, in vista dell’offensiva finale sulle roccaforti dell’IS di Raqqa e Deir ez-Zour.

Syrian Democratic Forces (Forze Democratiche Siriane)

syrian democratic forcesCoalizione nata alla fine del 2015 nel nord-est della Siria, con l’obiettivo dichiarato di contrastare l’IS. La maggior componente militare è inquadrata nell’YPG e nell’YPJ, le milizie curde legate al partito curdo-siriano Pyd e al Pkk. Sono attive anche nel cantone curdo di Efrin e nel quartiere di Sheik Maqsud a Aleppo. Le Syrian Democratic Forces (SDF) sono state costruite attorno a un raggruppamento precedente chiamato Burkan al-Furat (Vulcano dell’Eufrate), che riuniva alcune brigate del vecchio Esercito Siriano Libero (Liwa Thuwar Raqqa, Jaysh al-Thuwar) e le forze curde. Attualmente combattono sotto questa etichetta anche milizie turcomanne (Seljuk Brigade) e altre arabe (al-Sanadid, legata all’influente tribù Shammar). Godono dell’appoggio esplicito degli Stati Uniti (armi, unità delle Forze speciali, logistica, supporto aereo) e rappresentano per la Coalizione internazionale la principale forza sul campo nella guerra in Siria e specificamente nella lotta all’IS. In questa cornice, da novembre 2016 sono impegnate in una lenta offensiva verso Raqqa, ‘capitale’ siriana dell’IS.

Nonostante sporadici scontri con l’esercito di Assad nel nord-est del Paese, le SDF non hanno finora lanciato alcuna offensiva contro il regime, mentre hanno talvolta lanciato offensive insieme a Russia e Hezbollah contro formazioni ribelli. Da dicembre 2015 hanno conquistato porzioni di territorio a ovest dell’Eufrate, fino a Manbij. La loro presenza in quest’area è uno dei fattori scatenanti dell’intervento turco in Siria nell’agosto 2016. Benché le Forze speciali Usa (alleate sia della Turchia che delle SDF) tentino di evitare scontri tra i due gruppi, la situazione è altamente instabile e potrebbe precipitare nel corso dell’avanzata verso al-Bab.

L’amministrazione provvisoria del Rojava (Kurdistan occidentale in lingua curda, cioè la Siria del nord) promuove un assetto federalista per la Siria e intende formalizzare questa situazione de facto tramite elezioni entro marzo 2017, nonostante l’opposizione della quasi totalità delle potenze in gioco che temono possa trasformarsi in una secessione dalla Siria. Le SDF costituirebbero la forza armata a difesa di questa eventuale regione autonoma.

Esercito Arabo Siriano (SAA)

syrian armed forcesL’esercito regolare della Siria fedele al regime di Assad. Nonostante potesse contare sulla supremazia aerea e su buoni armamenti, dall’inizio del 2015 si è rivelato in seria difficoltà nel contenimento dei diversi gruppi ribelli arrivando a controllare solo un quarto dell’intero territorio nazionale. Composto inizialmente da circa 220.000 uomini, a causa del prolungato conflitto e delle numerose defezioni si stima che il numero di effettivi sia ora più che dimezzato. Poche sono le unità che prendono effettivamente parte ai combattimenti. Tra queste vanno segnalate reparti di élite come la Forza Tigre di Suheil al-Hassan e la 4° Divisione Corazzata.

Nel corso della guerra in Siria al SAA è stato affiancato un secondo organismo, le National Defense Forces (NDF), che per numero di effettivi rivaleggia con l’esercito regolare. Si tratta di unità nate dall’irregimentazione delle Shabiha, di fatto pseudo-milizie attive localmente sul territorio in grado di esercitare un controllo capillare, originariamente (anche prima del 2011) gruppi criminali dediti a traffici di vario tipo e contrabbando con il placet del regime. Sulle NDF è particolarmente forte l’influenza delle forze iraniane e potrebbero rivelarsi un asset per Teheran al termine del conflitto. Sono occupate principalmente nella gestione di posti di blocco in tutta la Siria occidentale.

Russia

L’intervento russo in Siria a sostegno di Assad risale a settembre 2015. Da allora reparti dell’esercito di Mosca sono dislocati sul territorio, benché anche in precedenza la Russia fornisse supporto militare di altro tipo ad Assad. L’obiettivo principale nel breve periodo è consolidare e mettere in sicurezza il regime nell’area costiera di Latakia e lungo l’asse Damasco-Aleppo, scongiurando il collasso del residuo di struttura statuale ancora in piedi e soprattutto dell’esercito, nonché la perdita di un prezioso alleato nella regione. Per questo lo sforzo militare nella guerra in Siria si è concentrato finora sui ribelli – indistintamente – attorno a Aleppo, Idlib e Hama, mentre poco è stato fatto contro l’IS (l’azione più importante è stata l’offensiva su Palmira nel 2016).

A marzo 2016 la Russia ha annunciato ufficialmente il disimpegno, ma in realtà la qualità della sua presenza sul campo non è stata modificata sensibilmente. A settembre 2016 sono stimati circa 4mila militari russi in Siria. Sussistono molti dubbi sulla reale sostenibilità dello sforzo bellico in Siria per la Russia, anche da fonti russe. Il grosso degli uomini è impiegato a Latakia e presso la base militare navale di Tartus. Sono presenti reparti delle Forze speciali (Specnaz) affiancati al SAA anche con funzione di individuazione bersagli. In Siria sono presenti anche caccia e elicotteri da combattimento russi, principalmente presso la base di Hmeimim.

Iran

L’Iran ha garantito il suo sostegno nella guerra in Siria attraverso i reparti specializzati nelle operazioni all’estero (la Forza Qods del generale Soleimani) e, più di recente, con l’invio della 65° Brigata aviotrasportata Nohed (i cosiddetti berretti verdi). Inoltre, l’Iran continua a gestire l’afflusso in Siria di decine e decine di milizie sciite, principalmente provenienti dall’Iraq. È il frutto della poderosa macchina di reclutamento messa in moto sia attraverso canali più tradizionali, sia tramite campagne mirate sui social media, che ha come minimo comune denominatore il richiamo alla difesa dei luoghi santi degli sciiti in Siria, primo tra tutti la moschea di Sayyeda Zeinab a Damasco. Tra queste, le milizie principali sono Harakat Hezbollah al-Nujaba, Liwa Abu Fadl al-Abbas, Liwa Dhulfiqar. Il controllo che l’Iran esercita su queste milizie, oggi diffuse anche in aree a maggioranza sunnita, è tale da poter rovesciare il rapporto di forza con il SAA e aumentare enormemente l’influenza di Teheran su  Damasco. È attiva anche una milizia a base afghana, al-Fatemyoun. Infine, determinante già dal 2013 è stato l’apporto del gruppo libanese Hezbollah, che continua a partecipare alle principali offensive a fianco del SAA e delle milizie sciite.

Chi è Lorenzo Marinone

Giornalista, è stato analista Medio Oriente e Nord Africa al Centro Studi Internazionali. Master in Peacekeeping and Security Studies a RomaTre. Per East Journal scrive di movimenti politici di estrema destra.

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