Golpe in Turchia, il ruolo dell’esercito e il futuro della nazione

Il colpo di stato in Turchia è fallito, e da quello che ci è dato sapere, per la maggioranza delle persone la situazione sta tornando alla normalità. Non è purtroppo stata una notte incruenta, ma si sono sostanzialmente evitati bagni di sangue di grandi proporzioni tra i civili. Queste sono in fondo le notizie più importanti per la Turchia e il suo popolo.

In realtà è stato chiaro che il colpo di stato sarebbe probabilmente fallito quasi subito dopo la dichiarazione dei golpisti. Nel giro di breve tempo tutti i partiti d’opposizione, gran parte dei vertici delle forze armate e i principali attori internazionali hanno preso le distanze dal golpe. A quel punto doveva essere evidente che questa azione maldestra e non voluta da nessuno non era solo destinata a fallire, ma che era anche assolutamente auspicabile che fallisse.

Purtroppo sui media italiani le notizie sono state riportate male e in ritardo, e i commenti spesso non avevano riscontro con lo svolgersi dei fatti in tempo reale. Generalmente si è parlato con troppa leggerezza della riuscita del golpe ignorando notizie e comunicati che, per un osservatore attento, stavano già orientando le cose in modo diverso. Al di là della copertura in merito ai fatti di questa notte, i media italiani dimostrato una grande impreparazione sul tema in senso generale. La visione dei militari come una forza in quanto tale benevola, laica e progressista è uno stereotipo che non corrisponde alla realtà dei fatti storici.

Una visione di questo tipo ignora il ruolo che i militari hanno avuto nel più importante golpe della storia turca (12 settembre 1980), che ha avuto un carattere estremamente conservatore e ha imposto una svolta che sta alla base del revival religioso, del nazionalismo a volte esasperato e del conservatorismo che caratterizza l’attuale società turca. Questo basti a sconfessare una volta per tutte la retorica stucchevole della laicità e della democrazia difese da quattro colpi di stato.

Tale idealizzazione dei militari è stata probabilmente fondamentale nell’impedire un approccio più lucido, che avrebbe evitato un’interpretazione tanto grossolana degli eventi. In genere le analisi sono state infatti caratterizzate da una fiducia mal riposta nell’opera dei militari a sostegno dello stato di diritto, e nell’aver decisamente sopravvalutato la loro coesione interna a sostegno di una certa interpretazione dell’ideologia kemalista.

Cosa attende la Turchia nei prossimi giorni? L’aspetto migliore di questa notte è stata l’unità di tutte le forze politiche nel rifiutare il colpo di stato. Ciò apre uno spiraglio importante per la riconciliazione nazionale – o per lo meno evita il peggio – e il governo farebbe bene a tenerne conto nell’immediato futuro. La politica e la società si sono globalmente dimostrate per una volta unite nella difesa delle istituzioni civili, e per la Turchia di oggi questa è una notizia quasi sorprendente.

Allo stesso modo vanno evitati facili ottimismi. Il fallimento del colpo di stato non cancella di certo tutte le difficoltà che la Turchia sta vivendo, dal terrorismo alla complicata situazione internazionale. Inoltre rimane da valutare la posizione dei vertici del partito di governo, e in particolare il presidente Erdoğan, che hanno già sufficientemente dimostrato di possedere una concezione superficiale – e forse di poco superiore di quella dei golpisti – dello stato di diritto e del corretto funzionamento di una democrazia parlamentare. C’è dunque da dubitare che siano così propensi ad avviare una grande opera di pacificazione nazionale, come sarebbe invece auspicabile e necessario.

Chi è Carlo Pallard

Carlo Pallard è uno storico del pensiero politico. Nato a Torino il 30 aprile del 1988, nel 2014 ha ottenuto la laurea magistrale in storia presso l'Università della città natale. Le sue principali aree di interesse sono la Turchia, l'Europa orientale e l'Asia centrale. Nell’anno accademico 2016-2017 è stato titolare della borsa di studio «Manon Michels Einaudi» presso la Fondazione Luigi Einaudi di Torino. Attualmente è dottorando di ricerca in Mutamento Sociale e Politico presso l'Università degli Studi di Torino. Oltre all’italiano, conosce l’inglese e il turco.

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