REUTERS/Marko Djurica

SERBIA: Centinaia di migranti bloccati al confine con l’Ungheria

Da giorni centinaia di migranti sono bloccati al confine tra Serbia ed Ungheria, a seguito delle recenti misure prese dal governo Orbán al fine di ridurre il flusso migratorio nel paese.

E’ passato un anno da quando l’Ungheria è finita al centro delle polemiche per le sue politiche anti migratorie, che sembravano essere culminate con l’innalzamento di una barriera al confine con Serbia e Croazia. Oggi il paese è nuovamente sotto i riflettori a causa delle continue nuove misure volte a ridurre il numero di profughi all’interno dei suoi confini. L’ultima legge entrata in vigore il 5 luglio scorso ne rappresenta un perfetto esempio.

Secondo la nuova legge, già duramente criticata dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), le forze dell’ordine ungherese hanno l’obbligo di ricondurre qualsiasi immigrato trovato entro 8 km dalla frontiera del Paese presso le zone di transito presenti al confine con la Serbia, da dove dovrebbero poi partire le procedure legali per il riconoscimento dello status di rifugiato. Questa misura sarebbe quindi volta alla riduzione dell’immigrazione illegale, come ha sostenuto anche uno dei massimi esponenti del governo Orbán, Lázár. Nella realtà dei fatti, almeno negli scorsi giorni, questo non è avvenuto. Il governo serbo, ed in particolar modo il ministro Aleksandar Vulin, accusano infatti l’Ungheria di usare questa nuova legge per espellere gli immigrati e ricondurli in territorio serbo, senza quindi ammetterli alle zone di transito, riducendo di fatto il numero dei possibili richiedenti asilo nel Paese. Questo, comprovato da quanto successo il 7 luglio scorso, rappresenterebbe una chiara violazione del diritto internazionale.

A partire dal 7 luglio, infatti, diverse testate giornalistiche hanno riportato la notizia di centinaia di migranti bloccati al confine tra Serbia ed Ungheria, abbandonati a sé stessi. Secondo i media Serbi, nei giorni successivi all’entrata in vigore della nuova legge, la polizia ungherese avrebbe cominciato a spostare illegalmente centinaia di immigrati attraverso nuovi passaggi creati nella barriera che separa il confine con la Serbia. L’accusa, per molti, è che il governo ungherese abbia l’intenzione di spostare a poco a poco, in piccoli gruppi, migliaia di migranti per il momento sotto sua custodia, facendoli tornare in Serbia con la promessa di poter legalmente accedere alle zone di transito. Ciò non starebbe avvenendo, come dimostrato dal fatto che già giovedì circa 350 persone erano in attesa di poter accedere a queste zone protette, di fatto formando due nuovi campi profughi all’interno del confine serbo, mentre il numero delle persone accettate giornalmente è sceso a 30. Nel frattempo il numero dei poliziotti e dei militari messi a controllare la frontiera avrebbe subito un aumento del quasi 50%, mentre un nuovo equipaggiamento sarebbe stato fornito alle forze dell’ordine, tra cui elicotteri per il pattugliamento dei confini.

La decisione dell’Ungheria di respingere quanti più migranti possibile in attesa del referendum fissato per il prossimo ottobre, con il quale si chiederà alla popolazione di votare in favore o contro l’accettazione delle quote di migranti stabilite dall’ Unione Europea, potrebbe avere conseguenze disastrose per la Serbia. Infatti, se da una parte il Primo Ministro serbo Vučić ha dichiarato che il suo paese si sarebbe preso ogni responsabilità sui migranti rimasti al confine con l’Ungheria, condannando aspramente il comportamento del governo Orbán, dall’altra il governo ha più volte espresso lo stato d’emergenza in cui grava la Serbia, che dall’inizio del 2016 è stata attraversata da almeno 100.000 migranti (nell’anno precedente erano più di 650.000), dimostrando che la così detta rotta Balcanica ancora esiste, nonostante stia diventando quasi impossibile entrare in Ungheria.

Foto: Reuters/Marko Djurica

Chi è Silvia Trevisani

Nata nel nord-est italiano, vive e lavora tra Zagabria e Copenaghen. Possiede una laurea triennale in Studi Internazionali (Università di Trento) e una magistrale in Interdisciplinary research and studies on Eastern Europe (Università di Bologna). Appassionata di Balcani, interessata agli studi di genere e spaventata dai neofascismi, ne scrive per East Journal. Parla inglese, francese e, dopo una rakija, serbo-croato.

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