ROMANIA: Urne aperte in tutto il Paese, si elegge anche il Sindaco di Bucarest

Domenica 5 giugno gli elettori romeni saranno chiamati alle urne per scegliere i nuovi consigli amministrativi di tutte le città e delle 41 contee che compongono il Paese. Parliamo dunque di un appuntamento tanto importante quanto variegato, e che vedrà al suo interno l’elezione del Sindaco Generale di Bucarest.

 Inutile dire che la principale battaglia politica si stia concentrando proprio sulla capitale, orfana di un sindaco democraticamente eletto dallo scorso settembre, quando Sorin Oprescu fu arrestato con l’accusa di corruzione. Oltre alla rilevanza politica di colui che si guadagnerà questa carica – spesso anticamera di un futuro da protagonista nella politica nazionale – i risultati potranno anche dare importanti indicazioni sulle percezioni politiche dei cittadini romeni, a pochi mesi dalla caduta del governo socialdemocratico di Ponta. I primi sondaggi non fanno ben sperare, indicando che solo il 50% dell’elettorato romeno ha intenzione di votare.

I candidati alla carica di Sindaco Generale sono 12, tra cui spiccano gli esponenti dei due partiti principali, Gabriela Firea del Partito Socialdemocratico (PSD) e Catalin Predoiu del Partito Liberale Nazionale (PNL), dati distanti di pochi punti dai sondaggi. La prima è una ex giornalista di Intact, già introdottasi nell’ambiente politico nel lontano 1999 quando fu chiamata a ricoprire la carica di consigliere per l’allora Primo Ministro Mugur Isarescu. Il suo nome è però divenuto noto solo negli ultimi anni, a causa di alcune dichiarazioni alquanto discutibili balzati alle cronache. Nel 2014, quando era portavoce del candidato alla presidenza Ponta, Firea dichiarò che il suo avversario Ioannidis non doveva essere eletto perché non aveva figli. Molto più recentemente un suo commento sulle donne, la cui dimostrazione di forza si baserebbe sulla loro capacità di pulire e badare quotidianamente al proprio marito, ha fatto storcere la bocca a molti.

Nel campo del centrodestra, il nome di Catalin Predoiu è arrivato in extremis, dopo il ritiro di tre possibili candidati costretti a fare un passo indietro per questioni legali (Ludovic Orban, arrestato anch’egli per corruzione durante la campagna elettorale), circolazione di notizie infamanti (Marian Munteanu, accusato di una vecchia affiliazione con la polizia segreta di Ceausescu) o iniziali cattivi risultati dei sondaggi (Cristian Busoi). Predoi ha dalla sua parte l’esperienza accumulata come Ministro della Giustizia, ed ha dichiarato che, in caso di vittoria, porterà a termine i progetti iniziato quando era nel Governo.

Tra gli altri candidati, che sembrano avere minori probabilità di successo, salta agli occhi la presenza di altri due ex giornalisti: Robert Turcescu del PMP (Partito del Movimento del Popolo) e Liviu Avram, indipendente, ex reporter del giornale Adevarul. Secondo alcuni analisti, l’alto numero di giornalisti candidati affonda le proprie radici nell’intreccio indissolubile tra politica e media in Romania. Dato che la classe politica non è capace di auto-rinnovarsi in modo efficiente, sono proprio i giornalisti, prime vittime e allo stesso tempo possibili carnefici di un sistema corrotto in ogni strato, che decidono di scendere in campo direttamente.

Proprio per dare un giro di vite alla corruzione dilagante, una peculiarità che ha contrassegnato l’intera campagna elettorale è stata l’insolita stretta sui mezzi di diffusione e propaganda dei candidati. A tutti i partiti romeni è stato infatti imposto di disporre manifesti con dimensioni non superiori a fogli A3 (50×35 cm), così come di non consegnare qualsiasi tipo di gadget e materiale promozionale che potesse turbare un corretto svolgimento della competizione elettorale. Questo severo restringimento trae origine da quanto accaduto durante le ultime elezioni, quando i partiti più grandi non solo avevano occupato qualsiasi spazio disponibile con i loro manifesti, ma si erano anche ingraziati l’elettorato con cene offerte e consegne dirette di cibo associato a materiale pubblicitario (fecero scalpore in questo senso le borse dei candidati contenenti olio e farina, o le grigliate di pollo di Popescu, poi condannato per corruzione).

Eppure, il principale strumento con cui i grandi partiti riescono a perpetrare il loro monopolio non sembra essere legato alle pratiche diffuse delle campagne elettorali, quanto alle regole del sistema elettorale stesso. Il turno unico con un’alta soglia di sbarramento ha sempre dato un palese vantaggio a tutti i partiti più grandi e ai candidati più popolari, permettendo nel passato elezioni di sindaci con meno del 30%. Dopo la caduta di Ponta, il PNL ha chiesto al nuovo governo tecnico di Ciolos di emendare la legge elettorale locale ponendo un doppio turno: una proposta che era nell’aria da tempo, ma che è sempre stata bocciata da quasi tutti i partiti, in ultima istanza dal PSD che ha dichiarato antidemocratico un cambio così radicale a pochi mesi dal turno elettorale. Le organizzazioni civiche ed il think tank EFOR hanno dichiarato che una modifica del sistema elettorale sarebbe l’unico modo per rendere effettivamente democratiche le elezioni e ridurre finalmente il potere dei due partiti maggiori.

Chi è Vittorio Giorgetti

Laureato in Relazioni Internazionali e Studi Europei all'Università di Firenze con una tesi sul rapporto odierno tra i Balcani Occidentali e l'Unione Europea. Dopo due brevi collaborazioni con l'Institute of International Relations di Praga e lo European University Institute di Firenze, attualmente si occupa di europrogettazione e cooperazione e sviluppo. Parla inglese, spagnolo e francese.

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